Come funziona una cerimonia con l'ayahuasca | Rolling Stone Italia
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Come funziona una cerimonia con l’ayahuasca

Annalisa Valeri è l'autrice di uno studio sull'uso della ayahuasca per curare le dipendenze patologiche. L'abbiamo intervistata per farci spiegare come funziona la sostanzia psichedelica più mistica che ci sia

Come funziona una cerimonia con l’ayahuasca

Manuel Medir/Getty Images

Tra gli psichedelici, l’ayahuasca è forse la più misteriosa e mistica. “Il termine ayahuasca è d’origine quechua ed è costituto da aya (morte) e huasca (liana), quindi vuol dire ‘liana della morte’, con il significato di liana che permette il contatto con il mondo degli spiriti, degli antenati”, racconta Giorgio Samorini all’interno della sua ultima opera Ayahuasca. Dall’Amazzonia all’Italia, una raccolta di scritti sulla pianta sacra curata per Shake Edizioni. 

L’ayahuasca è un decotto composto da una liana (Banisteriopis caapi) e dalle foglie di una seconda pianta (Psychotria viridis o Diplopterys cabrerana) che variano a seconda dell’area geografica e del gruppo etnico, e contiene, proprio in queste foglie, DMT, un alcaloide della classe delle triptamine allucinogene, la cosiddetta “molecola dello spirito”. Utilizzato nei rituali amazzonici, l’ayahuasca è alla base di culti religiosi sincretici riconosciuti come il Santo Daime e l’Uniao do Vegetal. 

All’interno dell’opera curata da Samorini (con cui abbiamo chiacchierato in precedenza qui) è presente un saggio curato da Annalisa Valeri e Leonardo Montecchi, intitolato Ayahuasca e psicologia del profondo, che riassume in modo egregio Psicosi e ayahuasca uno studio pubblicato nel 2019 dalla stessa Annalisa Valeri con il centro Studi e Ricerche J. Bléger di Rimini e in collaborazione con il Centro Takiwasi di Tarapoto, in Perù, dove la cerimonia dell’ayahuasca è parte integrante delle cure per le dipendenze patologiche. 

Abbiamo quindi raggiunto Annalisa per farci spiegare con maggior efficacia come funziona un percorso di cura con l’ayahuasca e in che modo possa comportare benefici per il singolo e la comunità.

Con il centro Studi e Ricerche J. Bléger di Rimini hai condotto uno studio dal titolo Psicosi e ayahuasca. Questa ricerca è avvenuta in collaborazione con il Centro Takiwasi, un’associazione che si trova nella città di Tarapoto, nell’Alta Amazzonia del Perù, dove la medicina tradizionale amazzonica, e quindi l’ayahuasca, incontra la medicina occidentale. Come nasce questo vostro lavoro?
Da psicologa e psicoterapeuta mi interessa capire come le altre culture trattino la sofferenza delle persone. Viaggiando in America Latina, mi sono avvicinata alla medicina tradizionale e a come i curanderi amazzonici gestiscano le situazioni di sofferenza. Dal 2010 sto approfondendo il tema dell’ayahuasca. Il Centro Takiwasi è una struttura dove, all’interno della comunità, si applica la terapia occidentale (psicoterapia individuale e di gruppo, lavoro in comunità) con la medicina tradizionale (ayahuasca, piante purgative e di contenzione, temazcal). Fondato da Jacques Mabit, il Centro è una ONG che si occupa prevalentemente di dipendenze patologiche. Nel 2016, tramite la Scuola di prevenzione Josè Bléger, di cui faccio parte, ho proposto al Centro, che ha una particolare attenzione alla ricerca, un progetto sulla psicosi da ayahuasca. Mi interessava approfondire e indagare come (e se) l’ayahuasca potesse essere positiva come strumento terapeutico per malesseri molto profondi (schizofrenia, bipolarismo, disturbi gravi del comportamento alimentare, depressioni etc.). 

Come è stata strutturata questa specifica ricerca?
Il Centro Takiwasi mi ha dato l’opportunità di utilizzare il materiale clinico di otto persone che avevano compiuto un percorso terapeutico interno. Al contempo, in Italia, abbiamo intervistato persone che per malesseri molto profondi si erano avvicinate all’ayahuasca in America Latina o tramite altre associazioni italiane. Quello che abbiamo capito è che la possibilità di uscire da crisi profonde, in cui in alcuni casi erano state necessarie ospedalizzazioni o farmaci, è stato possibile anche attraverso l’utilizzo dell’ayahuasca. Non tutte le persone che abbiamo intervistato sono riuscite ad uscirne, ma ci interessava capire come l’ayahuasca avesse aiutato coloro che invece avevano avuto risposte positive. Le crisi delle persone contengono sia una situazione di malessere che un potenziale trasformativo importante. In varie società antiche venivano svolti dei riti con sostanze psichedeliche per aiutare le crisi evolutive e psicopatologiche a realizzare il proprio potenziale terapeutico di cambiamento, di trasformazione. L’ayahuasca, spesso, era parte di questi riti. 

Prima di entrare nello specifico della terapia e della cerimonia dell’ayahuasca, vorrei che ci dessi le definizioni di alcune parole fondamentali per questo conversazione: ayahuasca, dieta, purga. 
L’ayahuasca definisce due cose: la pianta (banisteriopsis caapi) e il decotto composto da due differenti piante che vengono lasciate a macerare e da cui si ottiene la bevanda per la cerimonia capace di produrre effetti di dissociazione e stati modificati di coscienza. 

Come la stessa ayahuasca, ci sono piante che hanno un effetto purgativo e che hanno la funzione di purificare la persona attraverso vomito e diarrea. Spesso vengono utilizzate prima della cerimonia per permettere al corpo di essere più preparato all’assunzione della medicina (termine con cui viene indicato il decotto dell’ayahusca). La differenza tra queste piante e l’ayahuasca è che la seconda è definita pianta madre, una pianta capace di insegnare. I curanderi, difatti, negli stati modificati di coscienza prodotti dall’ayahuasca, ricevono informazioni sulle piante da utilizzare per le specifiche situazioni. 

La dieta invece è un periodo più o meno breve da praticare prima e dopo la cerimonia. Durante la dieta sono esclusi la carne di maiale, l’alcool e altri alimenti e ci si deve astenere dal sesso vivendo in una situazione ritirata. Questo serve a sviluppare una maggiore consapevolezza per l’esperienza.

Hai parlato di come l’ayahuasca sia in grado di produrre stati modificati di coscienza. Cosa si intende per stati modificati di coscienza e perché è importante che l’individuo possa indagarli?
Per stato ordinario di coscienza si intende la veglia, mentre per stati di modificati di coscienza si intendono altre modalità di funzionamento della mente come sogni, momenti visionari, estasi. La società occidentale ritiene che lo stato ordinario di coscienza sia l’unico possibile e che gli altri siano inutili o psicopatologici. Noi pensiamo invece che gli stati di coscienza sono tutti utili e arricchiscono la personalità. Crediamo debbano essere promossi. Il problema con gli stati di coscienza è che spesso rimangono dissociati e non si riesce a farli dialogare tra loro. Questo è invece possibile nella cerimonia dove l’ayahuasca è in grado di produrre stati modificati di coscienza in cui la persona entra in stati visionari in cui sono presenti visioni, ricordi, materiale inconscio personale o transgenerazionale (il ricordo di un evento successo a qualche parente di un’altra generazione come una madre o un nonno). Ci sono anche altri tipi di intuizioni che si possono ottenere da queste esperienze. Noi riteniamo ad esempio che la dimensione inconscia non sia limitata al singolo individuo e parliamo di inconscio selvatico, ovvero l’idea per cui la persona ha un’interconnessione profonda con la terra e gli animali. È anche possibile entrare in contatto con quelli che definiamo oggetti invisibili. L’oggetto attivo invisibile nella nostra società può essere l’inconscio mentre in una cultura amazzonica può essere uno spirito. Oggetti invisibili significa che questi oggetti sono reali quando producono delle sofferenze reali. Cosa siano da un punto di vista ontologico, se esistano o meno, noi non lo sappiamo, ma che producano effetti è certo. 

E come si relaziona l’individuo con questo sommerso?
La persona che assume ayahuasca all’interno della cerimonia non è completamente dentro questo stato modificato di coscienza, ma è come se avesse un osservatore esterno (quel che il filosofo e antropologo Georges Lapadasse chiama ‘cogito di transe’) che guarda a quello che sta succedendo, rimanendo consapevole. Per quello dopo la cerimonia è possibile ricordare tutto ciò che è stato visto e vissuto. A volte queste sensazioni sono molto forti, come l’idea di morte o la dissoluzione dell’ego, ma se tutto questo materiale che fuoriesce viene contenuto in un setting, in un contenitore solido con la guida di una persona esperta, durante e dopo la cerimonia, allora c’è la possibilità che quello che è successo durante possa permettere alla persona di capire e risolvere qualcosa di sé. Ad esempio un tossicodipendente potrebbe avere una visione delle ragioni dietro questi comportamenti di dipendenza. Si possono venire a trovare delle comprensioni personali, familiari, gruppali che non si avevano: questo può essere un processo terapeutico positivo. 

Un altro concetto fondamentale nel vostro pensiero è la correlazione fluida tra mente-corpo. Se nel pensiero occidentale le due parti sono divise, voi parlate di interconnessione intrinseca tra mente e corpo. 
Nel pensiero scientifico occidentale c’è una divisione tra quello che è il corpo e ciò che è la mente. Vige un’idea – molto individualista – in cui ogni individuo ha una sua dimensione, un suo inconscio, una sua mente. Dal punto di vista scientifico, questo dualismo corpo-mente è solo un prodotto culturale della nostra cultura capitalista-colonialista. Neuroscienziati come Vittorio Gallese ci dicono che non c’è una mente differenziata dal corpo. Anche l’idea che l’inconscio sia qualcosa di individuale, che noi nasciamo e finiamo in noi stessi, è un prodotto culturale. Noi della Scuola Bléger invece pensiamo che l’inconscio sia uno strato che, in qualche modo, attraversa tutta la società e che le persone nascono prevalentemente come esseri sociali, rimanendo profondamente connessi con gli altri in un mondo sociale. Per questo l’idea che in una cerimonia si possano raggiungere comprensioni che riguardano altre persone, delle memorie appunto transgenenerazionali o collettive, è una possibilità. 

Come funziona una cerimonia dell’ayahuasca?
Si inizia preparandosi con una dieta di 2-3 giorni. La cerimonia si svolge di sera all’interno di una struttura, la Maloca, dove il curandero, con il tabacco, purifica l’ambiente e l’ayahusca che, a turno, viene bevuta dai presenti, curandero compreso. Assunta la medicina, ci si mette seduti, al buio. L’effetto dell’ayahuasca comincia dopo circa 20-30 minuti e può provocare degli effetti singolari che variano da persona a persona. Avvengono così le prime visioni seguite spesso dal desiderio e dalla necessità di vomitare; questo capita alla maggioranza delle persone. Può poi accadere che si abbiano degli approfondimenti di queste visioni e dello stato modificato di coscienza che possono durare fino a 2-3 ore. Durante la cerimonia, il curandero esegue dei canti, gli icaros, come accompagnamento. L’idea è che questi icaros siano giunti al curandero dall’ayahuasca stessa. Il curandero governa le energie presenti nella cerimonia e aiuta le persone in difficoltà, accompagnando l’individuo nel suo viaggio. Dopo 2-3 ore viene chiesto se si vuole bere dell’altra ayahuasca. La cerimonia dura complessivamente 6-7 ore ovvero finché le persone non tornano allo stato ordinario di coscienza. Infine quello che viene ricordato o sognato nei giorni successi deve essere elaborato con dei professionisti in modo tale che ciò che è avvenuto nei vari stati di coscienza venga integrato così da concedere all’individuo l’opportunità di dare nuovi e più corretti significati a ciò che ha vissuto. Le cose sono un po’ diverse in Italia dove, ad esempio, gli icaros possono essere registrati. Alcune cerimonie sono fatte con dei veri curanderi provenienti da zone amazzoniche, ma delle volte sono presenti solamente dei facilitatori che cercano di gestire la cerimonia, ma che non possono essere definiti curanderi.

Ci sono posizioni discordanti sul tema dei ritiri con ayahuasca in Italia. Ne viene spesso criticato il setting, la snaturazione cosmologica e geografica, la mancanza di purezza o, anche solo, se ne parla come di una appropriazione culturale. È dunque possibile globalizzare la cerimonia dell’ayahuasca senza perderne il complesso sistema che la circonda? Qual è il tuo pensiero in merito?
Il curanderismo in Amazzonia non è rimasto puro, ma è stato colonizzato già dalla venuta degli europei e del cattolicesimo; figuriamoci oggi. Nonostante questo penso sia possibile utilizzare le conoscenze del mondo amazzonico. Per riuscire ad utilizzarle, però, bisogna fare un percorso con l’ayahuasca approfondito e ciò significa con diversi trattamenti in vari anni per studiare le varie possibili situazioni. Serve tempo. Esistono comunque curanderi che possono definirsi curanderi metropolitani. Credo sia possibile portare l’ayahuasca in altri contesti, ma riuscire a non snaturarla, a non ridurla, dipende dalla capacità di approfondimento dello studio, un lavoro molto lungo. Abbiamo a che fare con energie molto forti e bisogna tener conto che la cosmologia amazzonica e quella occidentale sono molto differenti tra loro. Bisogna studiarle entrambe. Sono sicura che l’ayahuasca possa globalizzarsi, ma dobbiamo vedere come riuscire ad utilizzarla terapeuticamente anche in contesti differenti da quelli di origine. 

Oltretutto, l’ayahuasca in Italia è legale o illegale?
La legalità dell’ayahuasca in Italia non è ben definita, è una zona d’ombra.  

Quali sono i possibili rischi di un trattamento con ayahuasca?
Possono esserci dei rischi fisici quando non ci si attiene alle regole della dieta o se si hanno disturbi cardiocircolatori e epilettici. Negli stati modificati di coscienza provocati dalla medicina si può venire in contatto con delle cose che, una volta terminata l’esperienza, se non vengono contenute, possono far star molto male. Si possono sviluppare attacchi di panico, ad esempio. C’è anche il rischio di non uscire di questi stati modificati di coscienza e questo può portare a quello che, in occidente, definiamo esordio psicotico. A queste persone rimangono dei quesiti, ‘cosa mi è successo? Perché vedo queste cose? Cosa significa?’, domande importanti a cui la mentalità occidentale non sa rispondere. Questo accade perché – questa è una nostra ipotesi – non c’era un contenitore solido durante la cerimonia: un buon setting, una buona guida, un qualcuno che aiutasse nel post a dare un senso a queste visioni e a queste esperienze, o semplicemente un ritorno frettoloso alla vita e al lavoro, senza armonia. Se si vuole avere a che fare con questa esperienza occorre conoscere la cosmologia amazzonica e quella occidentale, vedendo come queste possano collaborare. 

Quali sono invece i benefici possibili di una terapia con ayahuasca?
Attraverso il percorso con l’ayahuasca la persona può venire in contatto con delle aree del sé e della vita che non conosceva. L’individuo può capire cose di sé, della propria famiglia, del mondo che prima non riusciva a conoscere e che possono permettere una trasformazione. Si possono avere delle profonde rivelazioni ecologiche, realizzando l’interconnessione profonda con l’universo. Si può comprende di essere parte di un tutto, sviluppando una maggiore connessione con piante e animali. Questo può portare ad un miglioramento della salute psicofisica della persona e un maggiore rispetto della nostra situazione nel mondo. 

Il trattamento con l’ayahuasca è un’esperienza singola o un percorso più lungo e strutturato?
La cerimonia con l’ayahuasca non è una situazione unica, ma un trattamento, un percorso nel tempo. Nei nove mesi che una persona può rimanere al centro Takiwasi, ad esempio, può arrivare ad assumere ayahuasca anche una trentina di volte.

In sono molti casi però una persona si limita all’esperienza singola. Rimane comunque un’esperienza sensata per l’individuo?
Esperienza e percorso sono due cose molto differenti. Una persona può fare anche solo un’esperienza con l’ayahuasca, magari di un weekend, e tenersela lì come possibilità da poter ripetere in un futuro. Un percorso, un trattamento, invece è altro e può risolvere una difficoltà. Quando diciamo che l’ayahuasca è un oggetto attivo parliamo di questo: se l’ayahuasca penetra nella società in maniera non riduttiva, non sintetizzata in una molecola per un possibile farmaco, portando con sé tutto ciò che comporta, potrebbe pian piano modificare le persone. Le persone potrebbero pensare differentemente a sé, capendo di doversi prendere del tempo, rallentare, capire che siamo tutti interconnessi e che non possiamo distruggere il mondo in cui viviamo. Il desiderio è che possa, in qualche modo, riuscire a curare la società. Non so se è un’utopia: ci riuscirà o il capitalismo schiaccerà tutto?