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Ciao, bello! I funerali di Marco Pannella

Piazza Navona diventa per un pomeriggio "Piazza Marco Pannella", dove storici sostenitori, politici mischiati tra la gente hanno celebrato il leader dei radicali (e non si è vista neanche una canna)

Tutte le foto sono di Kimberly Ross

La piazza Navona voluta da Papa Innocenzo X, la piazza dei ritrattisti della domenica, dei camerieri col menù in mano, dei matti, dei pupazzi, delle befane e dei tirassegno, dei piedi a mollo nelle fontane del Bernini, dei grappoli di suore ingoiate dalla chiesa del Borromini, la piazza di tutte le battaglie, «da oggi questa è piazza Marco Pannella», urla dal palco Rita Bernardini.

Sul palco, intorno al feretro del loro capo, sta la famiglia radicale, in maglietta e jeans sgualciti dal sole bollente, e spicca il vestito floreale della fiamminga Laura Hart che con Matteo Angioli ha assistito Pannella nelle ultime settimane di vita. «No, puntualizzava Marco, sono io che assisto loro» dice la compagna di sempre Mirella Parachini, ginecologa e battagliera.

Sullo schermo scorrono le parole di Voltaire «La civiltà di un popolo si misura dalla condizione delle sue carceri», e una voce ricorda l’ammonimento di Pannella «Non mi batto per il detenuto eccellente, ma per la tutela della vita del diritto nei confronti del detenuto ignoto». Qualcuno invita a salire sul palco i ragazzi di Rebibbia. Portano non un ricordo, né uno slogan, ma affetto (e una richiesta: amnistia).

Le lacrime, gli applausi, le foto, gli abbracci, le memorie, il bianco e nero, poi arriva lei, Emma Bonino, magra e col turbante, punta il dito contro «Alcuni omaggi che puzzano di ipocrisia», la prossima volta «Amateci di meno e votateci di più», e rieccoli i Radicali arrabbiati e rompicoglioni, sempre un po’ risentiti contro la loro stessa piazza.

L’ingresso in piazza del feretro è sostenuto dalle note del Requiem di Mozart. Poi è Carletto Loffredo a ricordare che «Marco aveva una passione che pochi conoscono: il jazz, quello delle origini». When the saints go marchin’ in, Hello Dolly, il basso tuba, la tromba, il clarinetto, le quinte diminuite, le dissonanze, l’incalzante intreccio degli ottoni di una musica stonata e soavemente demoniaca. Si piange e si sculetta.

L’aborto, il divorzio, la militanza che passa per il corpo, la libertà sessuale, gli appelli al desiderio, al diritto alla felicità. «Marco è stato il più femminista dei politici italiani» dice qualcuno. «E infatti non si è mai visto un funerale con tanta fica come questo» dice l’amico dotato di gran garbo.

«Io amo gli obiettori, i fuori-legge del matrimonio, i capelloni sottoproletari amfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione». E amo le sigarette (prima) e i toscanelli alla grappa (poi).

Pannella e il papa. L’occhio puntato sulle carceri, sugli ultimi, sulle povertà. In piazza gruppetti di giovani che sembrano i papa-boys, composti, affiatati, non violenti. «Però noi crediamo in un dialogo che non sia solo spirituale. Noi crediamo – e citano Marco il papa eretico – nelle carezze, gli amplessi, la conoscenza. Non crediamo al fucile: ci sono troppe splendide cose che potremmo fare anche con il “nemico”, per pensare a eliminarlo». (Ahò, si fosse vista una sola canna, però).

Qualcuno si aggira ai margini con l’aria stupita da un funerale – nei secoli evento cult della sinistra – che sembra una festa, la marchin’ band e i politici mischiati tra la gente. Nessun apparato, alcuna liturgia, nessuna nostalgia per l’avvenire mai realizzato. Ci si scambiano ricordi e aneddoti. C’è sempre stata una piazza che ci ha visti insieme. La storia radicale è la storia di prese di posizione, non di promesse. O c’eri o non c’eri. Marco è stato il sogno proibito dei comunisti.

Non c’è un “retropalco”, in quello che nei funerali più blasonati è transennato, è l’area vip, lo spazio riservato alle strette di mano, ai giornalisti, alle passerelle, alle conventicole, c’è un ragazzo pieno di spillette radicali che dice va bene, fotografatemi, ma con lui. E si abbracciano.

«Faccio politica sui marciapiedi», diceva Pannella. C’è un video in Rete dove si vede lui che gira per le strade romane, di notte, a parlare con ragazzi, camerieri, passanti. Tutti lo abbracciano: «Sei il più grande!». «A stronzo, risponde lui, vedi de votamme invece de famme tutti ‘sti complimenti». Al cimitero di Teramo, città natale, la musica zigana di Alexian Spinelli accompagna la sepoltura di Marco lo zingaro.

I digiuni, le fumate collettive, gli happening, i sit-in in mezzo al traffico, i bavagli in diretta tv, le azioni individuali nei tribunali, nelle carceri, i mascheramenti, i corpi, i culi, le mani, i capelli, le malattie, la creatività, lo sberleffo. Lei – la vedete in foto – è bella, eccessiva, dorata e impataccata. La fantasia, diceva Pannella, «è stata una necessità, quasi una condanna, piuttosto che una scelta, un modo per uscire dalla solitudine».

«Sai una cosa? – dice l’amico garbato che è con me – Più di ogni altra cosa, più dell’intuito politico, dell’oratoria, dei sacrosanti argomenti, più della testardaggine, dell’onestà intellettuale, più della sua complessità e coraggio, più della sua umanità, generosa e predatoria, sai cosa aveva più di tutto Marco Pannella? Era bello».
Ciao, bello!

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