Chi è stata e cosa ha rappresentato bell hooks | Rolling Stone Italia
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Chi è stata e cosa ha rappresentato bell hooks

Il lavoro dell'autrice statunitense, morta questa settimana a 69 anni, è uno dei pilastri su cui si regge il femminismo intersezionale, capace di spaziare tra accademia e critica alla cultura pop

Chi è stata e cosa ha rappresentato bell hooks

Karjean Levine/Getty Images

bell hooks è stata una delle figure più importanti tra le scrittrici e studiose che hanno contribuito con i propri testi e i propri interventi pubblici ad animare il dibattito nei movimenti, come Angela Davis, Adrienne Rich, Audre Lorde, Patricia Hill Collins, Alice Walker, Toni Morrison, Roxane Gay o Maya Angelou. I loro scritti, prevalentemente saggi e romanzi, hanno offerto le basi per la costruzione del femminismo intersezionale, ossia quello che vede interagire aspetti diversi delle varie identità, come ad esempio le categorie di genere, la razza, la classe, la disabilità, l’orientamento sessuale, la religione e così via. Categorie interconnesse perché attorno ad esse si possono verificare più livelli di oppressione. Per dare un’idea di quanto siano stati pervasivi i lavori di hooks a ogni livello è sufficiente guardare chi ha ricordato la sua scomparsa, specialmente negli Stati Uniti. Oltre alle pagine culturali delle maggiori testate, a ricordarla ci sono i siti di Oprah, la donna più influente della televisione negli Stati Uniti, e di Shonda Rhimes, la mente dietro a serie tv di successo come Scandal, How To Get Away With Murder e molte altre.

Gloria Jean Watkins, questo era il nome di bell hooks, è nata nel 1952 nel Kentucky, in una cittadina, Hopkinsville, dove vigeva la segregazione razziale, mentre sua madre lavorava come domestica per una famiglia bianca. Ha studiato alla Stanford University, dedicando la sua tesi all’opera di Toni Morrison e a soli 24 anni ha scritto un libro che ha cambiato tutto, per lei come per gli studi di genere. Ain’t I a Woman: Black Women and Feminism, pubblicato nel 1981, contiene nel titolo la syessa domanda posta nel 1851 da Sojourner Truth, attivista antischiavista, a un’assemblea di donne. Ain’t I a Man era un modo per gli schiavi per dire agli schiavisti: “Non sono forse anch’io un essere umano?” Con il suo primo saggio hooks invitava ad interessarsi una volta per tutte anche alla condizione delle donne, dal momento che fino ad allora se un afroamericano veniva socialmente considerato un intellettuale si trattava sempre di un uomo. hooks gli intellettuali afroamericani li aveva letti, e aveva un’ammirazione particolare per James Baldwin, Malcolm X e Martin Luther King, ma non avrebbe taciuto sull’invisibilizzazione delle donne nere nella società, che fu anzi il tema principale di questo suo testo destinato a diventare un classico. Raccontando come le donne nere dal diciassettesimo secolo ad oggi siano state oppresse tanto dagli uomini (bianchi e non) quanto dalle dalle donne bianche della classe media, hooks invitava a pensare alla lotta femminista come lotta contro razzismo e sessismo, ossia a farlo contemporaneamente, riconoscendo i due fenomeni come intrecciati. Ricco di racconti personali, Ain’t I a Woman l’ha imposta come figura di spicco dei cultural studies. Da allora ha scritto oltre 40 libri.

Ma se hooks è stata un’icona è anche perché ha saputo parlare a tutti, spesso suggerendo riflessioni intorno a fatti di estrema attualità e rilevanti nella cultura pop. Un esempio su tutti è la sua critica a Beyoncé. Nel 2014 partecipando a una tavola rotonda sulla rappresentazione del corpo nero, hooks aveva discusso la copertina della popstar per TIME con Janet Mock, autrice trangender conosciuta soprattutto come sceneggiatrice, regista e produttrice della serie tv Pose, affermando: “Stai dicendo, dal mio punto di vista decostruttivo, che lei sta partecipando alla costruzione di se stessa come schiava. (…). Vedo una parte di Beyoncé che è anti-femminista, aggressiva e terrorista, soprattutto per l’impatto che ha sulle ragazzine”.

hooks non stava certo chiedendo a Beyoncé di rinunciare ad essere considerata femminile, come era sembrato ad alcuni, ma piuttosto voleva sottolineare come l’artista stesse facendo esattamente quello che l’industria musicale chiede ogni giorno alle donne. Beyoncé aveva ormai il potere di decidere di puntare su altro, ma continuava a presentarsi prima come una donna attraente e solo secondariamente come un’artista. hooks si era interessata all’immagine di Beyoncé anche in seguito, descrivendola nel 2016 come asservita al capitalismo e al patriarcato, specialmente in riferimento al trailer dell’album Lemonade, uscito a seguito del tradimento subito da parte di Jay Z. Video che a suo dire puntava troppo su tropi quali vittimismo e familismo: “Tutti i riferimenti ai nostri antenati e agli anziani in Lemonade sono di ispirazione, però concludere questa narrazione del dolore e del tradimento con immagini premurose della famiglia e della casa non è un modo adeguato per riconciliare e guarire il trauma”.

hooks non faceva sconti a nessuno, a nessuna, e a nessuna comunità, nemmeno a quella afroamericana. Le tematiche affrontate nei suoi libri la rendevano l’interlocutrice ideale per chi volesse affrontare questioni attuali, come quando aveva parlato dell’idea di mascolinità che emergeva nelle indagini legate al #MeToo, ossia lo scandalo relativo alle molestie nel mondo del lavoro esploso nel 2017 con le accuse fatte da molte donne al produttore hollywoodiano Harvey Weinstein. hooks ne aveva parlato con il conduttore di un programma radio del New Yorker, David Remnick, dicendo: “Mio padre, che era un uomo molto violento, molto patriarcale, era nella fanteria durante la Seconda guerra mondiale. Era un pugile. Era un giocatore di basket. Era tutte queste cose che noi associamo alla mascolinità, e in realtà disprezzava molto mio fratello, perché in realtà mio fratello era un essere umano molto più morbido e caldo. E mio padre lo guardava dall’alto in basso. Sentiva che non era virile”.

Degli uomini della sua comunità, che tanto quanto i bianchi descriveva come sessisti, aveva scritto ad esempio negli anni Novanta in Killing Rage, Ending Racism, saggio apparso anche nella rivista italiana Lapis poco dopo, in cui cui indicava nella decostruzione della maschilità e nel rinnovamento della famiglia una chiave per la lotta contro il razzismo. E sempre negli anni Novanta aveva scritto Happy to Be Nappy, un libro per bambini in cui parlava della bellezza dei capelli delle persone afrodiscendenti ancora oggi oggetto di bullismo. Inutile dire come tutte queste considerazioni, ovunque apparissero, scatenavano contro di lei discorsi d’odio, a riprova di quanto fossero necessari tanto la sua presenza nelle istituzioni accademiche, quanto quella pubblica.

Se oggi si parla sempre di più della necessità di decolonizzare l’immaginario lo si deve a studiose che come hooks hanno lasciato un segno nei visual studies e nei cultural studies in genere. Aveva iniziato a farlo in punta di piedi, rinunciando con lo pseudonimo che si era data alle maiuscole, utilizzando il nome della madre e della bisnonna. Solo quattro dei suoi libri sono disponibili in italiano: Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale, pubblicato da Feltrinelli nel 1998, hooks propone di non vedere la cultura che viene considerata ‘alta’ in modo antitetico rispetto a quella che viene considerata ‘bassa’, ma chiede di interessarci ad entrambe, di abbandonare la dicotomia centro/margine. Di avere uno sguardo trasversale, così come di dare valore all’esperienza autobiografica. 

Il secondo libro di hooks disponibile in italiano, sempre edito da Feltrinelli, è Tutto sull’amore, in cui la studiosa non tratta solamente del sentimento amoroso, ma anche di paure, solitudine, spiritualità e legami che il lessico attuale definisce ‘tossici’. È attraverso l’amore che i conflitti, non solo quelli tra persone, ma anche quelli politici, sociali e culturali possono essere risolti. Dopo Tutto sull’amore i testi di hooks sono circolati in Italia per vent’anni in traduzioni non ufficiali, finché nel 2020 Tamu Edizioni ha pubblicato Elogio del margine – Scrivere al buio e contemporaneamente Meltemi ha pubblicato Insegnare a trasgredire. L’educazione come pratica della libertàE di nuovo Tamu Edizioni, nel 2021, ha pubblicato Il femminismo è per tutti. Una politica appassionata – il tentativo perfettamente riuscito di rendere il femminismo accessibile a tutti, smontando le molte false credenze in circolazione e le teorie che soffrono di sessismo interiorizzato. Ancora una volta, bell hooks è per tuttə.