Che ganza, la “donna del vino” Vittoria Colonna Enriquez | Rolling Stone Italia
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Che ganza, la “donna del vino” Vittoria Colonna Enriquez

La prima e unica DOCG della Sicilia, quella del Cerasuolo di Vittoria, è legata a doppio giro alla storia di una donna fuori dal comune. E di un approccio che ha lasciato il segno nell'agricoltura e nell'enologia di oggi

casa grazia

Casa Grazia in Sicilia

Foto cortesia

Davanti a me una distesa di vigneti, palme, pomodori, il lago salato di Biviere e, in lontananza, il mare. Mentre una pioggerellina grigia inizia a bagnare gli ettari di Casa Grazia, scopro per la prima volta il nome di Vittoria Colonna Enriquez. È difficile trovarla sui libri di storia e, al di fuori del territorio, la sua è una figura quasi passata in sordina, eppure è grazie alla Contessa se oggi la Sicilia ha la sua prima, e unica, DOCG della regione: il Cerasuolo di Vittoria, che nel 2025 compie vent’anni.

Per le cantine vinicole sparse a Sud-Est della Sicilia, il Cerasuolo è un motivo di orgoglio, come a dire: non c’è solo il Nero d’Avola. Oggi i produttori si muovono su due binari paralleli: sperimentare con il Frappato, uno dei vigneti più antichi del territorio, e far conoscere il blend di questo con il Nero d’Avola dalla cui unione, appunto, nasce il Cerasuolo di Vittoria.

Le sfide per la produzione vinicola siciliana sono molteplici e al primo posto, ovviamente, c’è il clima sempre più torrido che impone adattamenti agricoli e un monitoraggio attento. Fondamentale però è anche il bisogno di trattenere e attirare risorse, persone, che vogliano investire sul territorio. Praticare la “restanza” come la chiama Maria Grazia Di Francesco, proprietaria di Casa Grazia, che ci accoglie sulla terrazza dell’azienda da cui si vede la riserva naturale di Biviere. Per lei, convincere i giovani siciliani a investire tempo ed energie nel posto in cui sono nati è una questione importante. In un territorio come quello di Gela, per anni martoriato dalla raffineria di Eni – vitale dal punto di vista lavorativo, complicato da quello ambientale – Maria Grazia Di Francesco si impegna a creare nuove opportunità di lavoro, crescita e impiego, con un criterio che non sia quello della mera operatività, ma di sperimentare e sviluppare una passione per il vino e ciò che lo circonda. Comprese le sue leggende. È lei a nominare per la prima volta la Contessa Victoria Colonna Enriquez.

«Sappiate che il Cerasuolo di Vittoria è veramente la storia del vino siciliano, che parte dalla zona orientale. Qui una grande donna, Vittoria Colonna Enriquez, nel 1607 indusse i coloni di allora a impiantare le vigne in questo territorio. Fu lei la prima vera donna del vino. Ancora oggi non le abbiamo dato il giusto onore, perché il mercato siciliano è difficile. In questa zona facciamo parte del Consorzio di Cerasuolo di Vittoria ma è solo da un anno a questa parte che si sta svegliando qualcosa, perché questo consorzio è ancora un’immagine, quello che deve fare la differenza siamo noi produttori che nasciamo in questo territorio. Dobbiamo comunicare con più convinzione la nostra storia» spiega Maria Grazia.

Uno dei vini dell’azienda è proprio dedicato alla Contessa e all’anno in cui ha fondato la città omonima: il Victorya 1607 è un Cerasuolo DOCG, 50% Frappato e 50% Nero d’Avola. Al naso arriva la freschezza del Frappato, mentre al Nero d’Avola è affidata la struttura, profumo di rosa e retrogusto balsamico di menta, pepe nero, cannella. Chissà se anche Vittoria Colonna Enriquez, assaggiando per la prima volta il vino delle sue terre, ha avvertito un preludio di questi sentori. Sposa di Enriquez de Cabrera, alla di questi scomparsa prematura Vittoria divenne Contessa e reggente di Modica, nonché Duchessa di Medina de Rioseco. Oltre ai territori, Vittoria ereditò anche ingenti debiti, che decise di sanare puntando tutto sulla rinascita delle terre siciliane.

Continua Maria Grazia Di Francesco: «Vittoria è un’antesignana, perché nel 1607 le donne non avevano potere. Quando il marito venne a mancare, fu lei a prendere le redini di questo feudo perché il figlio non aveva ancora raggiunto la maggiore età. Diede il via a una campagna di bonifica, donando a una cifra simbolica circa due ettari di terra ai mezzadri. Un ettaro poteva essere utilizzato per il loro sostentamento mentre l’altro doveva essere tassativamente coltivato a vigna. L’idea riscosse enorme successo, attirando abitanti da oltre 60 paesi della Sicilia e, successivamente, persino dalla Calabria e da Malta. Se oggi Vittoria è una località così ricca di vigne è grazie a questa donna, che ha anticipato di 300 anni il pensiero di una riforma agraria».

Dell’attività vinicola nel ragusano c’è traccia già a partire dal III secolo A.C., ma è con Colonna Enriquez che rinasce e cresce florido dal porto di Scoglitti, conquistando i mercati italiani, francesi, inglesi e tedeschi, proseguendo nello splendore per circa due secoli. Nell’Ottocento, un’infezione da filossera e la tensione con il mercato francese sembrano mettere definitivamente in ginocchio la produzione, soppiantata da quella di pomodori. È solo nella metà del Novecento che le vigne di Vittoria e dintorni vengono riscoperte: nel 1973 arriva il riconoscimento a Denominazione di Origine Controllata e, nel 2005, la DOCG che, a oggi, rappresenta una delle produzioni più piccole d’Italia.

Il nome di Vittoria Colonna Enriquez (a volte chiamata familiarmente dai vignaioli solo Victoria) torna nelle altre cantine e, pezzo per pezzo, riscostruisco il puzzle della sua identità e dei suoi vini, di come oggi la sua eredità sia più viva che mai. Ci spostiamo nel ragusano, in uno degli antichi palmenti perfettamente conservati, in cui l’uva veniva pigiata e lasciata sul fondo di vasconi dotati di una rientranza per lasciar depositare le bucce e una serie di pioli per permettere ai vignaioli di calarsi sul fondo e raccogliere il vino. Qui, nel territorio di Acate, i vigneti sono disposti fra il mare e i monti Iblei, circondati da cespugli di rose, fiori bianchi di campagna, rosmarino, farfalle e gruppetti di pecore al pascolo. Donnafugata ha fatto sorgere una delle sue cinque sedi proprio nel territorio di Vittoria, dove coltiva le varietà autoctone di Nero d’Avola e Frappato.

Da questa zona nasce il Cerasuolo di Vittoria DOCG, il Floramundi, ma anche il Bellassai, Frappato di Sicilia. La biodiversità dei terreni è uno degli elementi che più contribuiscono alle note di questi vini: i suoli sabbiosi con substrati di tufo calcareo contribuiscono con l’ottima capacità di drenare l’acqua a un sapore più minerale; quelli argillosi con sabbia vulcanica danno una frutta più succosa e tenera e un vino corposo. Lo stile della zona è comunque prevalentemente fruttato e floreale, fresco, e non è raro incontrare sentori di carruba.

Percorrendo le strade un po’ impolverate tra una cantina e l’altra, si impara che in questa zona c’è tanta voglia di andare oltre la tradizione. I produttori che incontriamo ci spiegano che la prossima moda del vino rosso siciliano potrebbe essere il metodo classico, cercando di rendere le uve succose di questa zona più leggere, grazie alla bollicina. L’innalzamento delle temperature è sicuramente uno dei fattori scatenanti che hanno ufficialmente sdoganato la scelta di servire i rossi, dopo un passaggio in frigorifero, a 16 o 14 gradi. Dalla scuola degli spumanti viene il Rosemosse Extra Brut delle giovanissime Tenute Navarra, inaugurate nel 2019, realizzato con Metodo Martinotti: un rosé ottenuto da uve di Frappato, fatte crescere sapientemente all’ombra di altre coltivazioni per rallentarne la maturazione ed evitare l’ossidazione. La vendemmia, di conseguenza, si fa prima rispetto a quella del Frappato vinificato in rosso, per ottenere più delicatezza. Dalla prima fermentazione in acciaio alla seconda in autoclave, il Rosemosse acquista una leggerezza e una dolcezza intensa in cui dichiarare di avvertire il lampone non è una scelta da conoisseur supponenti, ma un’inevitabile gioia del palato.

Un altro esperimento in questo senso è il Fil d’Oro, Frappato Metodo Ancestrale dell’azienda Valle dell’Acate, guidata da sei generazioni dalla famiglia di Gaetana Jacono. Nelle tenute dominate da un antico baglio circondato da palme, si producono tre tipologie di Frappato: Classico, Cru e Metodo Ancestrale. L’ultima è una versione giocosa, creata per la prima volta nel 2024 e che ha ottenuto un ottimo riscontro. Sarà perché la sua gradazione che si assesta sugli 11 gradi è pioniera nella direzione dei low alcohol, sarà per il suo colore leggero e fresco.

L’etichetta riporta il disegno del nipote di Gaetana Jacono in cui il nonno cammina tra campi di grano dorati. Un rimando a come le uve di questo vitigno antico siano un simbolo di continuità potente per la terra, la storia e le famiglie siciliane. Ne ho la conferma nell’ultima tappa di questo viaggio, la Tenuta Santa Teresa, proprio nel comune di Vittoria, dove l’agricoltura biologica è l’unico mantra, insieme al rispetto assoluto per il territorio. Santa Teresa ha un campo sperimentale dedicato alla riscoperta dei vitigni autoctoni come Albanello e Orisi, ma non possono mancare ovviamente le colture di Frappato e Nero d’Avola anche perché, spiegano con una punta d’orgoglio, è qui che è stato prodotto ed etichettato il primo Cerasuolo di Vittoria, nel 1950, dal Cavalier Di Matteo. In questo territorio cosparso di mandorli, aranci e ulivi, l’attenzione all’uva che dà vita al Cerasuolo e al Frappato di Vittoria è quasi religiosa: una foglia piccola e coriacea, un grappolo con acini perfettamente rotondi, spalle larghe e una virgola finale. Saprebbero riconoscerla anche a occhi chiusi.