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Che cos’è la “positività tossica” (e perché ci fa male)

No, non è necessario sforzarsi di trovare il lato positivo di una giornata partita male e finita peggio. Adesso lo dice anche la scienza

Che cos’è la “positività tossica” (e perché ci fa male)

Immagine va Unsplash

No, non è necessario sforzarsi di trovare il lato positivo di una giornata partita male e finita peggio. Anche la scienza, adesso, autorizza a essere di cattivo umore, quando è il caso.

Perché è vero – e lo dimostrano tante ricerche – che le persone più felici tendono a vivere più a lungo, a essere più sane e ad avere maggior successo. E che più sono felici, più questi benefici aumentano. Ma è altrettanto vero che la positività a tutti i costi può essere tossica: enfatizzare eccessivamente l’importanza di un atteggiamento positivo può ritorcersi contro, portando paradossalmente all’infelicità.

Lo dimostra una ricerca pubblicata su The Journal of Positive Psychology e condotta da un team della Federation University Australia, che ha coinvolto quasi 500 persone. La conclusione dell’indagine è chiara: perseguire la felicità può essere qualcosa di positivo, ma anche di negativo. Qual è l’elemento che trasforma la positività in qualcosa di tossico?

Alcuni studi hanno dimostrato che, quando le persone attribuiscono un valore molto elevato alla propria felicità, possono sentirsi arrabbiate, frustrate e in colpa quando le loro aspettative vengono deluse, soprattutto nei contesti in cui prevedono di sentirsi felici.

Questo non significa che bisogna aspettarsi il peggio da ogni situazione: i ricercatori hanno osservato che quando le persone si impegnano in comportamenti che aumentano la probabilità della loro felicità futura – piuttosto che cercare di essere felici in quel momento – hanno maggiori chance che il loro livello di benessere aumenti. Le attività a cui i ricercatori fanno riferimento sono quelle che fanno sentire realizzati e tesi verso un obiettivo concreto, come il volontariato o la costruzione di una routine quotidiana che favorisca il benessere. Insomma, perseguire la felicità indirettamente, piuttosto che come obiettivo principale, può trasformare la ricerca di positività da tossica a vantaggiosa.

In base all’indagine del team, le persone che si aspettavano di sentirsi felici e che davano molta importanza alla loro felicità tendevano anche a considerare gli stati emotivi negativi come un segno di fallimento, a evitarli e a non accettarli come una parte normale della vita. La loro difficoltà con le emozioni negative spiegava anche, in parte, perché i loro livelli di benessere erano inferiori. Al contrario, chi cercava la felicità indirettamente, non era così spaventato quando si sentiva stressato o di cattivo umore: accoglieva le emozioni negative, senza interpretarle come un indizio di fallimento.

Quindi, sembra che la questione centrale sia il modo in cui l’atteggiamento di una persona verso la felicità la porta a rispondere alle esperienze negative della vita. Dolore, fallimenti, perdite o delusioni, nella vita, sono inevitabili, e ci sono momenti in cui ci sentiamo depressi, ansiosi, timorosi o soli. Questo è un fatto. 

Ciò che conta è come reagiamo a queste esperienze. Se puntiamo ad essere felici in ogni momento, allora potremmo percepire i momenti difficili come ostacoli al nostro obiettivo. Ma se vediamo queste emozioni come parte della vita, se ci sentiamo relativamente a nostro agio anche con il malessere, possiamo avvertire l’esigenza di capire il perché di quei sentimenti negativi. La risposta che ci diamo ci consente di analizzare le nostre scelte e di prendere decisioni migliori. E, alla lunga, di essere più felici.