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Che cos’è la “Momo Challenge”?


La storia del nuovo fenomeno virale simile al “Blue Whale” che sta terrorizzando i genitori di tutto il mondo

Da Slender Man ai ragazzini che mangiano capsule per la lavatrice, Internet ha una lunga storia di sfide inquietanti che terrorizzano i genitori. L’ultima aggiunta a questa importante tradizione è Momo, una combinazione tra l’episodio di Black Mirror “Shut Up and Dance” e la Blue Whale. Momo “colpisce” i più giovani chiedendo di inviare dei messaggi a un numero Whatsapp, numero che risponde con le istruzioni per completare una serie di compiti bizzarri e pericolosi: guardare un film horror e farsi del male, fino ad arrivare a al suicidio.

Nonostante il nome di Momo sia noto da tempo negli angoli più oscuri di internet, il trend è diventato una notizia solo negli ultimi giorni, quando la polizia dell’Irlanda del Nord ha pubblicato su Facebook un allarme pubblico legato alla challenge. Negli ultimi giorni, poi, molti utenti hanno scoperto che alcuni video su canali YouTube di contenuti per bambini sono stati modificati per includere immagini di Momo, così come le istruzioni per il suicidio.

Ma che cos’è, davvero, la Momo Challenge?

Non sorprenderà nessuno scoprire che l’immagine di “Momo” non ha niente a che vedere con la Momo Challenge. Quella ragazza con gli occhi sporgenti, i capelli unti e i vestiti stracciati è una scultura che Keisuke Aisawa ha prodotto per Link Factory, una casa di produzione Giapponese che si occupa di effetti speciali per il cinema. La scultura è stata presentata nel 2016 alla Gen Gallery, una galleria nel distreggo di Ginza, a Tokyo. Con artigli simili a quelli di un’aquila, sembra che Momo sia ispirata a “ubume”, uno yokai che rappresenta l’anima di una donna morta durante il parto.

Le foto della statua sono diventate virali su Instagram e soprattutto sul subreddit r/creepy, dove hanno scatenato un flusso di migliaia di commenti e condivisioni. Le origini della challenge vera e propria, però, sono ancora un mistero: sembra che Momo si sia diffusa prima nei paesi di lingua spagnola, poi è arrivata in quelli anglofoni quando lo youtuber ReignBot ne ha parlato a luglio 2018. Secondo il suo video, chi scriveva sms al numero di Momo veniva invitato a superare delle sfide: alcune innocenti, altre molto pericolose.

Nonostante il video di Reignbot spiegasse quanto il fenomeno fosse in realtà piuttosto innocuo, la stampa anglofona si è riempita di strane storie sulla challenge, e gli “esperti del web” hanno iniziato a consigliare ai genitori di tenere i loro figli lontani dal gioco. Un articolo molto condiviso suggerisce che una ragazzina 12enne di Buenos Aires si sia tolta la vita per colpa della Momo Challenge, ma sembra che la notizia sia infondata.

Negli ultimi giorni, poi, YouTube si è riempito di video di personaggi del mondo dell’infanzia – Peppa Pig, ad esempio – “modificati” con immagini di Momo, e con le istruzioni della sua orrenda callenge. «Un bambino potrebbe chiudere il video, un altro più vulnerabile potrebbe continuare a vederlo», ha detto il Dr. April Foreman, psicologa e membro dell’American Association of Suicidology.

Ma quanto dobbiamo preoccuparci?

Il panico scatenato dalla Momo Challenge ha ricordato a tutti quello che è successo con “Blue Whale”, il fenomeno virale russo dello scorso anno. Il Blue Whale chiedeva ai teenager di seguire una serie di compiti sempre più pericolosi, che culminavano con il suicidio. Come spesso accade con i contenuti virali, sia nel caso della Blue Whale che della Momo Challenge è difficile individuare la verità tra le centinaia di articoli sul tema. Sono molti, infatti, i casi di suicidio collegati erroneamente alla Blue Whale. «Non c’è nessuna prova che giochi come questo siano una vera minaccia», dice Benjamin Radford, un ricercatore per il Committee for Skeptic Inquiry. Radford ritiene che questi fenomeni siano parte di «un panico morale, alimentato dalla paura dei genitori… genitori che magari ignorano i figli, o che non sono a loro agio con la tecnologia. Si chiedono: “Mia figlia è sempre al telefono, con chi sta parlando? Cosa succede?”».

Anche il dipartimento di polizia dell’Irlanda del Nord, il primo a diffondere informazioni su Momo, sembra convinto che la minaccia sia stata esagerata. Detto questo, gli esperti di salute mentale hanno detto che la copertura isterica dei nostri mezzi d’informazione potrebbe contribuire al problema, magari ispirando degli imitatori. Pensate, per esempio, alle due ragazzine di 12 anni del Wisconsin che hanno accoltellato un amico per “fare piacere a Slender Man”, l’uomo nero del gaming online. «Non ci sono prove dell’esistenza di Slender Man, perché non c’è bisogno che esista per far sì che influenzi il comportamento della gente», dice Radford.

Anche i rischi associati a queste “challenge” sono stati esagerati dai media. Secondo un saggio pubblicato nel 2017 da James Bridle, le piattaforme come YouTube traboccano di contenuti violenti e disturbanti, creati aggirando l’algoritmo della piattaforma così da colpire specificamente bambini, magari utilizzando personaggi molto amati come Peppa Pig. Non solo, nell’ultimo periodo YouTube ha perso inserzionisti a causa di alcuni articoli che dimostravano come gruppi di pedofili sfruttassero la sezione commenti della piattaforma per adescare le loro vittime. Dopo l’esplosione del caso Momo, YouTube ha sospeso la monetizzazione sui video che contengono le immagini di Momo.

Come tutte le leggende metropolitane, c’è un granello di verità. «Alcune di queste cose succedono davvero», dice Radford.

Ma cosa devono fare i genitori preoccupati dalla possibilità che i loro figli entrino in contatto con contenuti disturbanti in rete? «Dovrebbero parlarne onestamente con i loro figli», dice Foreman. «Dobbiamo spiegare ai genitori che queste cose sono l’equivalente digitale di chi accettava caramelle dagli sconosciuti». Oltre all’implementazione di filtri e forme di parental control, i genitori dovrebbero spiegare ai loro figli che «su internet vedranno tanta roba strana, e che sarebbe meglio evitarla», dice Foreman.

Mentre il rischio di vedere contenuti disturbanti sui social è molto reale, l’idea di una massoneria mistica di esperti di tecnologia sociopatici che parlano con i nostri figli su Whatsapp sembra troppo esagerata per essere plausibile. «Se ci pensi, gli adulti non riescono a convincere i figli a mettere in ordine la stanza, figuriamoci una serie di assurde richieste che vanno avanti per 50 giorni», dice Radford.

Insomma, Internet è un posto spaventoso per i bambini, e i genitori hanno già parecchio di cui preoccuparsi. Non c’è bisogno di aggiungere alla lista una donna-uccello-demone giapponese.

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