Top Jaw ha cambiato il modo dei social di intendere la cucina. Non è un’esagerazione. Il profilo fondato da Jesse Burgess e Will Warr ha dato un nuovo standard per provocare conati incontrollati di acquolina in bocca. La formula è una: dare la parola agli chef prima che a se stessi. Lasciare, insomma, che lo spettatore si faccia un po’ l’idea che vuole. E non limitarsi a parlare del cibo del ristorante sotto esame, ma, attraverso domande che si ripetono, portare l’intervistato a consigliare anche altri locali. Creare una rete, insomma. Interrogando anche personaggi notissimi al di fuori dell’ambiente culinario.
Insomma, i ragazzi l’hanno imbroccata, ma qui non siamo a parlare di loro. Non di entrambi, almeno. Perché Burgess c’entra eccome, con il tema di oggi. Tra poco lo incontrerò per un’intervista digitale con alcuni colleghi internazionali. Ma prima: Jesse Burgess è l’host di Knife Edge: Chasing Michelin Stars, nuova serie di Apple TV+, prodotta da Gordon Ramsay (tra gli altri), uscita sulla piattaforma il 10 ottobre. Non c’è una “storia”, ma il racconto documentario di quella che sembra essere la montagna di Sisifo di ogni cuoco di cucina “alta”: accaparrarsi quella stella Michelin. E, se la si possiede già, scalare i livelli superiori e raggiungere l’Olimpo del terzo macaron.
Letto così sulla carta, me ne rendo conto, gli episodi non sembrano avere chissà che mordente. Già visto!, viene da urlare. Basta, questa storia della Michelin, si potrebbe pensare. La reazione viscerale, in tutta onestà, sarebbe più che giustificata. La guida, La Rossa, si è accaparrata sempre più sazio nel discorso pubblico e pop attorno alla cucina e alla ristorazione. Tanto che ormai anche insospettabili zie possono venirti a chiedere: ma questo ristorante è stellato, a sentire il nome di un posto in cui hai promesso di portarle a pranzo. Oppure be’, naturalmente, per gli appuntamenti galanti e importanti non c’è niente di meglio che una cena romantica di sei, otto portate in uno stellato, complete di pairing vini, s’intende. Dentro Knife Edge in realtà, pelando la buccia, c’è di più.
Parte del merito va proprio a Burgess e naturalmente agli autori, che proprio come in Top Jaw decidono di utilizzare la sua presenza come un tramite, un catalizzatore. Un punto di riferimento per il pubblico, anche. Lasciando lo spazio del protagonismo alle storie degli chef e delle cheffe, alle ragioni del portafoglio e a quelle del cuore. Culminando ogni esplorazione geografica con la serata di premiazione della Guida per ogni area geografica (non esiste una Guida Michelin internazionale unificata, ogni capitolo regionale ha le sue sezioni in un certo senso i suoi parametri “aggiustati”).

Il conduttore Jesse Burgess. Foto: press
Il pathos si sviluppa, evidentemente, e quando troveremo la componente umana che più ci risuonerà, saremo fritti. Ma non è tutto qui. Il resto del merito va a alla linea stessa della serie, e al modo in cui ha deciso di affrontare l’argomento. Ovvero: visto che i tre criteri principali della Michelin per i tre livelli di stelle sono piuttosto pubblici e facilmente rintracciabili; e visto che gli ispettori della Rossa sono obbligati all’anonimato, anche senza mostrare il volto, anche solo a mezzo voce, meglio rendere anche qui protagonisti i fornelli. E lasciare che siano le varie cucine, di volta in volta, a spiegare perché una stella è importante.
«La Guida Michelin è passata attraverso diversi cambiamenti nel mondo dei media, e non è mai stata così attuale. Hanno diverse sezioni, i consigliati, i Bib Gourmand, così da coprire tutto lo spettro. Per esempio, se vado in un posto per la prima volta, e non ho altri particolari consigli, uso sempre la Michelin. Ed è l’unica che ti dà queste sicurezza, e che è riconosciuta e desiderata dagli chef». Così dice Burgess, che abbiamo raggiunto per qualche domanda sulla serie e sulla partecipazione a essa. C’è niente da fare: tolti quelli che ci sono già passati o chi non si è proprio mai messo a giocare secondo le regole del fine dining, tutti vogliono, o vorrebbero, una stella Michelin. Il motivo può essere il prestigio, la vanità, ma in realtà è più semplice di così. È quello che dice Burgess: la Michelin è una guida viva, sfogliata, che si tratti di carta o dati di internet. I viaggiatori stranieri in Italia la usano, fateci caso, per esempio.

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Da questo discende che essere presenti in Guida possa essere, anche solo di per sé, un’ottima idea, già che ci si posiziona in quel campo. Anche perché la traduzione ultima di tutto quest è: più prenotazioni, più curiosità, maggior giro d’affari. E quindi progresso nella carriera che ci si è scelti. La Michelin aiuta a riempire i tavoli dei ristoranti. È tutto tranne che poco, in anni grigissimi per la ristorazione, sia dal punto di vista del ristoratore che da quello del cliente. «La reputazione della Michelin è solidissima. È conosciuta da chiunque, non è una cosa da addetti del cibo e basta».
Il rovescio della medaglia-Michelin, naturalmente, è che, per entrare in Guida, bisogno rispettare gli standard della Guida. In questo caso, si intende un certo servizio di sala, una certa disposizione estetica e spaziale della sala, e poi naturalmente una grande cucina (solo per citare alcuni punti). Anche questo, certamente, è materiale per Knife Edge. Infatti, il lavoro autoscale dietro le quinte mi intriga particolarmente. Sembra guesswork, una scommessa. Puntare sul cavallo giusto per avere più premiati possibili nella Guida a fine riprese. L’idea ha del romantico, e, guardacaso, non è così che è avvenuto. «Per ogni area geografica vengono girate molto più storie, prese dalle cucine così come sono. Poi, è compito degli autori dover lavorare anche per “selezionare” le storie migliori, quelle dal piglio narrativo più spiccato».

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Burgess continua: «Credo che la serie riesca a fare un po’ di debunking su alcuni aspetti del mondo della Guida Michelin. Per esempio: le stelle devono essere confermate ogni anno, non si vincono una volta e per sempre. Una delle storie più intense a livello emotivo è proprio quella di uno chef che ottiene una stella, ma che riesce poi a mantenerla solo per un anno prima di perderla».
Ci sono anche altri “segreti”: «Non tutti i ristoranti Michelin devono essere fine dining. Per esempio, nel primo episodio c’è un ristorante di pollo fritto che vorrebbe avere una stella». Il risultato lasciamo che siate voi a scoprirlo, ma anche qui siamo nel già visto: a Bangkok, per esempio, da anni quello che per noi sarebbe l’equivalente di un chiosco di strada ha una stella Michelin, e la cheffe cucina con la maschera da saldatrice.
Quest’ultimo potrebbe non essere il migliore esempio a cui attaccarsi ma il punto sta anche qui: i premi della Michelin, secondo Burgess, sono positivi per il mondo-cibo perché costringono gli chef a fare un passo in avanti, a osare di più, a svilupparsi. «Ho parlato con alcuni stellati della vecchia guardia, e quelli su cui tutti si trovano d’accordo è che un tempo era più facile, ricevere le stelle dell Guida. Oggi la competizione è altissima, per attrarre l’attenzione devi dare una vera esperienza. Devi fare i fuochi d’artificio insomma. Devi dimostrare che sei il migliore, e ci sono molti modi per farlo».

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È proprio questo aspetto performativo che produce molti dei burnout del mondo della ristorazione. Come anche il non sapere effettivamente se si sono incontrati tutti i requisiti, e se quell’anno il ristorante sarà pronto per ricevere un invito alla Cerimonia… oppure anche, chissà, a strappare un nuovo riconoscimento.
A conti fatti, allora, è molto più difficile di quello che si potrebbe credere, valutare bene lo strapotere di una Guida che, volente o nolente (alla fine loro volevano solo vendere più pneumatici) ha cambiato il mondo della ristorazione. È difficile perché la coscienza si scuote e dice che forse dovremmo esercitarci in problemi di metodo superiori. Eppure, allo stesso tempo, quale causa maggiore del cibo e sul suo valore? È un richiamo: o ce l’hai, o non ce l’hai. Per chi lo possiede, Knife Edge: Chasing Michelin Stars arriverà a un punto di carico preciso, densissimo, e aprirà o gangli del sistema emotivo. Per chi ne è privo, la soluzione potrebbe essere la stessa dell’ultimo Gualtiero Marchesi o dei ragazzi del Giglio di Lucca: lavarsene le mani, decidere finalmente che bicchieri mettere in tavola con più libertà, e vivere felici, alle spalle della Guida Michelin.

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Nel frattempo, per il resto, questo possiamo dire, con Jesse Burgess: «Ci sarà probabilmente una seconda stagione». E a me, dato che il chakra un po’ l’ha aperto, anche se faccio fatica ad ammetterlo; a me non può che far piacere.













