Lo spazio, una casa: racconti dal Padiglione Universo di Biennale Architettura | Rolling Stone Italia
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Lo spazio, una casa: racconti dal Padiglione Universo di Biennale Architettura

Tra le stelle possiamo trovare rifugio, mentre tutto evolve e cambia. Non scorderemo facilmente la "prima volta" del Padiglione Universo, tra passeggiate cosmiche e approcci sostenibili

Padiglione Universo Biennale Architettura

'Lunar Mission Control Station', Inploration

Foto: Recordstudio

Di Biennale Architettura (visitabile fino al 23 novembre 2025) si è già detto molto, ma tre donne hanno voluto creare una cosa spaziale, unica e non ancora celebrata: il Padiglione Universo. Partendo dal tema della Biennale – Intelligens. Natural. Artificial. Collective -, le tre fondatrici del progetto hanno voluto indagare il tema del rifugio nelle sue più poliedriche espressioni. Cosa rappresenta per noi esseri umani oggi il concetto del riparo, del luogo sicuro, e cosa ne resta una volta dismesso?

Il Padiglione Universo indaga come la nostra intelligenza ha trovato diverse soluzioni in ambienti estremi come lo spazio, o in ecosistemi fragili. Lo fa passando considerando l’utilizzo di elementi naturali ma anche delle più innovative strumentazioni, da quelle in dotazione agli astronauti all’Intelligenza Artificiale.

Un progetto coraggioso, visionario e profondamente umano, nato dall’iniziativa congiunta di: Claudia Kessler, Visionary Founder, ingegnere spaziale, e CEO di Astronautin GmbH (un’azienda specializzata nel settore spaziale); Claudia Schnugg, curatrice e studiosa di art science con alle spalle molti progetti dedicati al tema, e collaborazioni con istituzioni scientifiche per stilare i programmi di importanti residenze artistiche; e Janine Thüngen-Reichenbach, artista poliedrica che da vent’anni ricerca, attraverso il suo lavoro scultoreo, punti di contatto tra contrasto e interazione, nonché padrona di casa.

Da questo trait d’union nasce la mostra Sheltering in Space – A Guide, la quale esplora l’intero spettro di ciò che comporta abitare ambienti planetari ed extraterrestri. La sede è Fàbrica 33, nel sestiere di Cannaregio, un’ex falegnameria. Al suo interno, come nel ventre di una navicella spaziale, viene accolta una rosa di artisti internazionali chiamati a riflettere e a sperimentare il tema dello spazio come rifugio.

Questo gruppo, composto da Inploration (Lawrence Azerrad, RichelleEllis, Sarah Kraft e Tiffany Pitoun), Janine Thüngen-Reichenbach, Ultravioletto, Karla Dickens, Kristina Pulejkova, LIQUIFER, Marcus Neustetter e Annick Bureaud, si è chiesto in maniera acuta e variegata cosa rappresenti per noi umani il concetto di rifugio, quali siano gli elementi di cui deve essere composto, cosa rimanga di loro una volta dismessi, e come la ultra tecnologia li possa realizzare.

Le opere d’arte in mostra instaurano un dialogo con l’architettura spaziale e le infrastrutture per i viaggi nello spazio, aprendo al pubblico gli ambienti solitamente chiusi e controllati delle sale di controllo delle missioni. Questo approccio multidisciplinare combina prospettive scientifiche e ingegneristiche con le differenti espressi artistiche.

Da quelle che indagano il virtuale, come ologrammi spaziali, agli scarti di shuttle ritornati nello spazio che abitiamo, come Space Shelter Earth. Of Water, Wood and Future Fossils. SSE-V-01 di Marcus Neustetter e Annick Bureaud. Dove, questi scarti, hanno composto un tappeto di frammenti che si specchia nei disegni della vetrata che guarda al cielo. I disegni rappresentano ciò che l’occhio nudo non vede, ma di cui lo spazio è pieno: antenne, ripetitori, navicelle, ma anche mappe mentali e cartografie di territori sconosciuti, come un collegamento tra terra e cielo, passato e futuro. Nella corte esterna invece il contatto con la terra si fa naturale: una briccola che l’artista, nella sua residenza veneziana, ha trovato galleggiante è stata posta su di una scala di legno. La forma vegetativa che ha generato è l’esempio di rifugio e riparo che la briccola ha donato nel suo flottare, a indicare che noi stessi abitanti della Terra siamo Universo.

Questa scultura in legno è anche un omaggio alla foresta invisibile su cui è stata costruita Venezia: una foresta che non marcisce mai, immersa nell’acqua. L’acqua è indispensabile per la vita come la conosciamo. È una risorsa, ha rappresentato a lungo una protezione, ma oggi è anche una minaccia — e non solo per la città lagunare. Ma come si protegge l’acqua?

Un’altra chiave di partecipazione al progetto è stato quello di evitare il trasporto di installazioni grandi e pesanti: niente di più di ciò che, simbolicamente, può entrare in una valigia da 23 kg. L’approccio scelto è creare, per quanto possibile, l’opera in situ, riciclando materiali del posto.

Ma il Padiglione Universo non è rimasto una statica esposizione di interconnessione con lo spazio. Tra le tante iniziative organizzate, sono stata invitata a partecipare a una cena molto speciale, concepita come un’esperienza immersiva e stratificata, organizzata con Gambero Rosso come partner. Cosa si mangia nello spazio? Come ci si nutre, oltre la Terra?

Padiglione Universo Biennale Architettura

Foto: Francesco Vignali

Padiglione Universo Biennale Architettura

Foto: Francesco Vignali

Dopo tanti anni di egemonia di cibo spaziale esclusivamente di matrice russa e americana, è arrivato nello spazio anche quello italiano. Da qui l’ispirazione per lo chef Alberto Gipponi, che ha realizzato la sua interpretazione del cibo interstellare, con un menu di 7 portate visionarie, tra suggestioni marziane, ingredienti replicabili in orbita e provocazioni sul cibo del futuro. Già dalla prima portata, dove un tubetto molto saporoso si faceva spremere al sapore di bollito, si son capite le intenzioni. Un secondo piatto è stato proposto come un bocconcino ricoperto da un velo d’oro — a richiamare lo stesso materiale usato dalla NASA negli anni Sessanta per proteggere i corpi dalle escursioni termiche nello spazio – e che fa da specchio all’opera di Janine Thüngen-Reichenbach Sapiens’ Space Shelter Home. Una casa, semplice come quelle disegnate da un bambino, a richiamare la naturale necessità, seppur fondamentale, di esser protetti e di avere un rifugio da abitare.

Oggi, quelle stesse “coperte spaziali” vengono utilizzate per salvare vite sulla Terra, proteggere i naufraghi, riflettere calore: un collegamento tangibile tra il cosmo e la vulnerabilità umana. L’impressione con cui si esce dalla visita del Padiglione è una volontà concreta di darci una visione più ampia e trasversale delle possibilità di indagine del concetto di spazio come rifugio. E al contempo scoprirsi nella fragilità che le condizioni di protezione possano mutare velocemente. Tutto è in continuo, perpetuo movimento. E qui torniamo al tema della mostra di questo padiglione unico, e primo. Speriamo, naturalmente, anche di lunga vita.

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