Quando si parla di Napoli, il design o qualsiasi forma d’arte non sono le prime cose che affiorano alla mente. Le associazioni legate alla città, sia in Italia che all’estero, sono sempre le stesse: la pizza fritta mangiata per strada, l’altare laico dedicato a Maradona, la coreografia caotica e a tratti anarchica del traffico, i motorini che sbucano ovunque, le chiese sempre (o quasi) aperte, San Gregorio Armeno con i suoi presepi e quell’energia magnetica che ti resta addosso, come una sorta di saudade napuleña, anche quando la lasci. Sono cliché, certo. Ma per anni hanno tenuto insieme l’immaginario, e forse anche l’identità, della capitale partenopea.
Che cosa succede, però, se la culla di Partenope attraversa una metamorfosi quasi kafkiana e comincia a riconoscere il valore delle sue viscere artigiane, della sua manualità storica, del suo potenziale creativo? È una scommessa? Forse sì. Ma qualcuno ha deciso di giocarla.

‘Pop Pot’, EDIT 2025. Foto: Eller Studio
A dispetto di tutti gli stereotipi che avvolgono la narrativa di Napoli, esiste un ecosistema culturale stratificato. Da secoli la citta è un crocevia di popoli, idee e linguaggi, sacro e profano. Basta farsi un giro fra le sale del Museo Archeologico Nazionale – MANN, che conserva uno dei patrimoni classici più importanti al mondo, dove il dialogo tra collezioni antiche e contemporanee rinnova continuamente il senso del luogo. Oppure al Museo e Real Bosco di Capodimonte, a dimora dei Borboni, un’oasi verde all’interno del quale si trova l’omonimo museo, dove la pittura rinascimentale convive con interventi site-specific contemporanei, a dimostrazione di una continuità creativa che non si è mai spezzata.
Oggi Napoli sta vivendo un nuovo modo di raccontarsi, meno didascalico e più esperienziale. Non si tratta solo di visitare musei, ma di ripensare la cultura della strada, oltre i murales, lasciandosi incuriosire dai numerosi laboratori artistici raccolti in spazi indipendenti. Il Madre ha avuto un ruolo chiave in questa metamorfosi: situato nel centro storico, ha trasformato il quartiere in un flusso costante e dinamico di linguaggi contemporanei, attirando artisti internazionali e aprendo la strada a un turismo culturale consapevole.

La Santissima, EDIT 2025. Foto: Eller Studio
Lo stesso vale per realtà come la Sanità, con le sue catacombe restituite alla comunità, e al nuovo museo di Jago. Un rinnovamento dell’immaginario collettivo, accompagnato anche da manifestazioni come il Campania Teatro Festival, che porta a Napoli compagnie e registi da tutto il mondo trasformando parchi e palazzi in palcoscenici: ma anche il Maggio dei Monumenti, che ogni anno riapre luoghi nascosti e ricuce memorie spesso dimenticate. E poi festival di arte pubblica, rassegne fotografiche, progetti comunitari che riscrivono muri, piazze e narrazioni.
In questo filone di rinnovamento culturale della città si è inserita anche EDIT, la fiera del design artigianale ed editoriale, che da sette anni, ogni autunno, toglie gli occhi da Milano e li riporta a Sud. E che, durante tutte le edizioni, ha permesso sia a cittadini che a turisti di esperire spazi e luoghi spesso fuori dai circuiti mainstream. Una delle passate manifestazioni ha permesso a molti di visitare le stanze e il chiostro dell’Archivio Storico, spesso chiuso al pubblico, o La Santissima, che ha ospitato l’ultima edizione, l’ex-ospedale militare, un imponente complesso seicentesco con chiostro, terrazze panoramiche e ambienti monumentali. Oppure Castel Sant’Elmo, la Certosa di San Martino, Villa Floridiana, parte di EDIT CULT del 2025 e tutti collocati al Vomero.

La Santissima, EDIT 2025. Foto: Eller Studio
«Credo che eventi come questi contribuiscano a scardinare l’overtourism, quello più massificato, e a generare un flusso nuovo, in cui Napoli viene percepita in modo più completo», racconta Teresa Carnuccio, artista locale che ha esposto alcune delle sue opere all’ultima edizione di EDIT, curandone la scenografia.
Un cambio di prospettiva che per molti è fondamentale. «Credo che il grande contributo di EDIT e di altre manifestazioni legate all’arte e alla cultura sia quello di raccontare una Napoli diversa, al di fuori degli stereotipi, perché riescono a creare connessioni tra aspetti diversi della città — culturali, artistici, quotidiani — ma sempre con una lente di qualità. Questo avviene in un momento di forte rilancio turistico, che però non sempre è accompagnato dalla capacità di mostrare il volto autentico del luogo», spiega il designer Titti Gallucci.

‘Incalmi’, EDIT 2025. Foto: Eller Studio
Quest’anno EDIT è arrivato anche in uno dei luoghi più celebrati non solo dai napoletani, ma anche dai non-locali: Salumeria Malinconico. Tra uno scaffale e l’altro, in mezzo ai profumi di formaggi e conserve, sono state esposte le installazioni della ceramista Coralla Maiuri.

Coralla Maiuri, Salumeria Malinconico, EDIT 2025. Foto press
«Quest’anno siamo stati scelti per EDIT Off», racconta Alessio Malinconico. «Questo ha creato una bellissima continuità: la gente passava da un luogo all’altro, tra la salumeria e la mostra, e si è creata un’atmosfera viva. C’è stata tanta partecipazione, tante persone, clienti abituali e curiosi. Penso che il napoletano, in fondo, si accontenti di poco: quando gli offri qualcosa di nuovo, anche se non è immediatamente “nelle sue corde”, lo accoglie con curiosità ed entusiasmo». E così anche il cibo (alla fine) non manca mai.

Coralla Maiuri, Salumeria Malinconico, EDIT 2025. Foto press
In sunto, Napoli era già grande, ma è stata, pure un po’ costretta, a diventare adulta. Resistendo a chi avrebbe voluta vederla a modo proprio, e imponendo invece il suo racconto. Napoli è un contenitore, ed è anche guardandola attraverso l’arte che la (ri)conosciamo. E ora l’ha capito lei, Partenope.













