L’amore è una diserzione, con Lovett/Codagnone | Rolling Stone Italia
atti di disobbedienza

L’amore è una diserzione, con Lovett/Codagnone

Dal 3 luglio, il PAC di Milano ospita la prima mostra antologica dedicata al duo artistico e sentimentale John Lovett-Alessandro Codagnone. Per far "esplodere" la nostra idea di coppia, e a sperimentare nuove possibilità

Lovett/Codagnone

Lovett/Codagnone, 'After Eight', 1997

Foto: press

Una premessa è d’obbligo: qui non si parla d’amore. O meglio: non dell’amore che gira nei caroselli delle pubblicità di gioielli, nei trailer delle rom-com o tra i palloncini a forma di cuore di San Valentino. L’amore, per Lovett/Codagnone, è materia radioattiva, è dialettica armata, è un dispositivo relazionale potentemente politico. Perché quando due corpi si incontrano, quando si stringono, si tirano, si sfuggono o si piegano l’uno all’altro, lì – proprio lì – si manifesta l’ideologia. E la norma, come il dominio, viene messa alla prova.

Al PAC di Milano, dal 3 luglio, I ONLY WANT YOU TO LOVE ME non è soltanto la prima antologica dedicata al duo artistico e sentimentale John Lovett e Alessandro Codagnone (attivo dal 1995 fino alla morte di quest’ultimo, nel 2019). È soprattutto il tentativo – riuscito – di costruire un archivio viscerale della coppia come forma di resistenza. Non come rifugio o sogno borghese, ma come laboratorio performativo, come struttura temporaneamente autonoma dove le regole si contrattano e i ruoli si sovvertono.

Sì, perché dietro agli specchi che non riflettono, alle bandiere yankee annerite e alle pose bondage, si gioca qualcosa di più sottile e profondo: una riflessione politica sulla possibilità di disobbedire. Eppure, nulla nella mostra curata da Diego Sileo è gratuito o epidermico. Ogni gesto è calibrato, ogni dettaglio parla di un’estetica militante, che prende in prestito il linguaggio dell’erotismo estremo, della body art più viscerale, ma per dirci altro. Per dirci che il potere si annida anche – e soprattutto – nel privato. E che ogni relazione è una scena in cui il controllo può sempre cambiare di mano.

Così ci si imbatte in Love Vigilantes (2008): skyline di specchi anneriti, su cui si imprimono in modo frammentario le parole di Bey. Un discorso amoroso spezzato, riflesso cieco di un’intimità disturbata. La voce è un fantasma, un desiderio bloccato in gola, un altoparlante muto. La comunicazione – e con essa la relazione – è un terreno di conflitto. Anche To Breathe in Always Even Though It Kills lo grida silenziosamente: due megafoni uniti nel punto in cui dovrebbero dare voce. Uno scontro di sguardi, di posture, di corpi legati e bendati, in cui il dominio è instabile, come un equilibrio precario che può crollare da un momento all’altro. Non c’è certezza: solo la continua messa in discussione di chi comanda e chi obbedisce.
E poi c’è la bandiera. Stripped (2006) è un lutto cucito su tela, il nero a coprire le promesse mai mantenute della democrazia americana. Non un gesto puramente simbolico, ma un atto di sottrazione. Un monito funebre per chi ancora crede nei miti dell’ordine.

Ma è Perfect Day (1998) a spalancare davvero l’abisso: il serpente che divora il ratto sulle note dolci e stridenti di Lou Reed. L’orrore e la dolcezza in una stessa inquadratura. Come dire: chi domina oggi, può crollare domani. E forse già lo sta facendo. Perché, in fondo, il potere è una fame che non sazia mai.
La mostra si evolve passo dopo passo. Si fa carcere, spazio sigillato e non accessibile. Reti metalliche, filo spinato, casse sonore blindate. L’installazione Truth Is Born of the Times, not of Authority è un paesaggio di segregazione, ma anche una stanza d’eco. La musica elettronica dei Candidate – band fondata dagli stessi artisti con Michele Pauli – è un canto strozzato.

Poi arriva la disco: è un tuffo nella fine degli anni Settanta, in quell’attimo in cui le piste da ballo si facevano utopia queer, territorio di mescolanze proibite, dove i corpi vibravano come slogan. Ma anche quella festa venne spenta. Il 12 luglio 1979, al Comiskey Park di Chicago, fu l’inizio del contrattacco: la Disco Demolition Night, con dischi bruciati tra gli applausi di un’America bianca, maschile, eterosessuale e spaventata. Dietro il fumo di quei vinili in fiamme, l’odore acre di una restaurazione ideologica.

Eppure, la mostra non chiude con il lutto, ma con la carezza. La serie fotografica After Roxy (1998–2015) è fatta di corpi nudi, abbracciati, esposti eppure protetti dallo sguardo reciproco. Il cavo del telecomando che passa di mano in mano è la traccia di una regia affettiva. È un gesto minuscolo, eppure radicale: stare insieme, affermare la propria esistenza attraverso il contatto. Non come idillio, ma come resistenza.

Quello di Lovett/Codagnone non è un archivio della nostalgia. È un’esortazione alla diserzione dei ruoli. Un invito a trasformare la coppia – ogni coppia – in un campo di prova per nuove possibilità. Dove anche l’amore, se ci si crede ancora, può diventare un atto di disobbedienza.

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