Lab-Box: un'idea da un milione | Rolling Stone Italia
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Lab-Box: un’idea da un milione

Abbiamo incontrato una startup romana che si è inventata un attrezzino per sviluppare foto senza camera oscura. In poche ore su Kickstarter i ragazzi hanno raccolto mezzo milione di euro

Lab Box

Lab Box

Edison diceva che il valore di un’idea sta nel metterla in pratica, ma forse serve anche intuire il momento giusto. Siamo in pieno rinascimento analogico: i vinili hanno raggiunto le vendite del ’91, la Kodak fa resuscitare la Ektachrome e McDonald’s è talmente spaventata dal potere degli hispter che decide di parodiarli nella sua pubblicità.

Eppure un successo simile non se l’aspettavano i ragazzi di Ars Imago – una piccola realtà dedita da anni alla fotografia analogica – per il loro lancio sul mercato di “Lab-Box”: la prima tank multiformato che permette di caricare e sviluppare una pellicola alla luce – ovvero un attrezzino per sviluppare in tempi brevi senza andarsi a rinchiudere al buio della camera oscura o smanettare dentro la cosiddetta “changing bag” per caricare il rullino. Sembra niente, ma è un’idea milionaria. Le cose sono andate un po’ come in una scena da film americano: dopo aver lanciato su Kickstarter il progetto di Lab-Box con l’obiettivo di raggiungere 70.000 euro, i ragazzi si sono ritrovati nel giro di poche ore a doppiare le aspettative, per arrivare dopo una settimana a quasi mezzo milione, mentre manca circa un mese alla chiusura della campagna fondi, il che rende molto probabile che si sfondi la soglia del milione.

LAB-BOX, HOW IT WORKS from ars-imago on Vimeo.

«All’inizio è stato veramente surreale» mi racconta Giorgio Di Noto di Ars Imago, fotografo classe ’90 con già svariati riconoscimenti internazionali alle spalle: «eravamo lì davanti al computer con i nostri trancetti di pizza rossa e continuavamo a fare refresh, mentre i soldi aumentavano a vista d’occhio. Sembrava uno scherzo»”. Per quanto Kickstarter e le piattaforme di crowdfunding ti possano regalare oggi l’ebbrezza di vivere quella scena da film – che sia in un garage della Silicon Valley o in un capannone del Pigneto a Roma, riconvertito in un co-working di makers – non basta avere un’idea più o meno geniale e buttarla nella mischia. «Ci abbiamo lavorato quasi due anni per ottimizzare il progetto» dice Giorgio mentre mi mostra l’oggetto in sé – da fuori poco più di una scatoletta nera con due manopoline e un coperchio arancione.

Ci troviamo all’interno di “Famo Cose”, il capannone del Pigneto dove, appunto, è stato materialmente “creato” Lab-Box, con una meticolosità da artigiani della plastica e l’utilizzo di stampanti 3D. È questa sostanzialmente la novità, aver sfruttato la tecnologia contemporanea per un oggetto completamente meccanico. «Non si tratta di un’invenzione in senso stretto» chiarisce Giorgio, che invece di godersi la sbornia del successo ci tiene a essere puntiglioso, «perché strumenti del genere esistevano pure negli anni ’50 o ’60, anche se Lab-Box è il primo che funziona sia con il piccolo che con il medio formato. Ma il fatto è che un tempo non c’era la possibilità di sperimentare così tanto sul prototipo e correggere i difetti, mentre oggi una stampante 3D ti permette di fare questa cosa con un investimento relativo». Insomma avete presente quelle liste di invenzioni che non hanno mai davvero sfondato? Dalla maschera anti-vento alla tazzina raccogli-goccia? Immaginate di andarle a ripescare, perfezionarle e dargli nuova vita. L’ideologia vintage, però, c’entra fino a un certo punto. «Per i nativi digitali» mi dice Giorgio, «la fotografia analogica non è una roba da nostalgici, non crea ricordi o legami col passato, ma è qualcosa di completamente nuovo». Gli chiedo se un oggetto come Lab-Box non corra il rischio di produrre le stesse conseguenze dell’avvento del digitale nel mondo della fotografia, ovvero una democratizzazione dei mezzi che regala a chiunque la sensazione di sentirsi un fotografo. «No, non credo, perché si tratta di uno strumento che agevola il processo di sviluppo, ma non ti dà il risultato finale. Non stiamo parlando di una cosa tipo la Lomo che finisce per essere un’hipsterata, dove non hai nessun controllo su quell’effetto di ‘foto sballata’. Anzi nelle nostre ambizioni, dovrebbe essere proprio il contrario: una volta che semplifichi al massimo lo sviluppo di un negativo, poi magari sei più invogliato a sperimentare e ad andare avanti, ti appassioni ai processi di stampa…»

Lab-Box dovrebbe essere in commercio per settembre 2017, ma le prospettive iniziali sono cambiate, e da appassionati un po’ nerd di fotografia analogica, i tipi di Ars Imago devono reinventarsi futuri imprenditori visionari. Per dire, stanno arrivando già proposte dal Brasile o dalle Filippine per la distribuzione su larga scala, si parla di produrre un numero di esemplari per cui sarebbe un po’ ridicolo preparare i pacchettini da spedire dal Pigneto… Ecco, quantomeno per il festone di fine crowdfunding, insieme ai trancetti di pizza si può stappare un Dom Pérignon.