È possibile aprire i musei alla città? | Rolling Stone Italia
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È possibile aprire i musei alla città?

Per cercare la risposta siamo partiti dalla Fondazione Querini Stampalia a Venezia. Che, con la nuova direttrice Cristiana Collu, invita i visitatori a un'esperienza tanto intuitiva quanto inedita: entrare, giocare, farsi una storia

È possibile aprire i musei alla città?

'No Stone Unturned – Conceptual Photography' di John Baldessari

Foto: press

Spesso si tende a interpretare un museo come uno spazio espositivo dotato di servizi accessori, dal bar al bookshop. Spazi che vivono in qualche modo come luoghi altri dalla produzione strettamente culturale e di contenuto dell’istituzione. Un modo di vedere datato e spesso più semplificato, che non coglie le potenzialità di un’esperienza più inclusiva e partecipata.

Una visone che invece sembra appartenere a Cristiana Collu, da poco nominata direttrice della Fondazione Querini Stampalia di Venezia. E che, dopo la brillante esperienza alla guida della GNAM di Roma, arriva in laguna portando una boccata d’aria fresca nel troppo spesso paludato salotto culturale veneziano. L’occasione, come sempre da queste parti, è il mese di maggio, che con la Biennale di Architettura porta con sé inaugurazioni e nuove aperture che attraversano campi, campielli e calli in un florilegio che sta tra lo stupefacente e il ridicolo, il meraviglio e il kitsch. Tutto in perenne lotta con uno sfondo veneziano, che facilmente domina e distrae dalle volenterose performance come dalle colte installazioni.

Fondazione Querini Stampalia

Ritratto del Conte Giovanni Querini Stampalia. Foto: press

Un gioco non facile da mettere a punto, ma che Cristiana Collu sembra essere riuscita a governare con abilità, intuito e anche con un tocco di sanissima furbizia che non è mai poi così disdicevole quando alla teoria di vuole (e si deve) affiancare una capacità di impatto pratica ed evidente.

Il che comprende anche il restauro portato a termine all’ultimo piano del palazzo Querini Stampalia, che diviene sede delle mostre temporanee. E che ora ospita la bellissima No Stone Unturned Conceptual Photography di John Baldessari, la prima vera grande esplosione dedicata all’artista concettuale americano scomparso nel 2020.

Fondazione Querini Stampalia

La biblioteca della Fondazione Querini Stampalia. Foto: press

Gli spazi minimali e luminosi del nuovo spazio espositivo si oppongono alla ricchezza visiva che penetra dalle ampie finestre portando dentro le sale Venezia e tutto il suo carico storico ed emotivo fatto di campanili, facciate e tetti. Un carico che però non ottunde (come spesso accade nell’incontro tra Venezia e il contemporaneo), ma anzi libera la possibilità di una visione diversa che sia coinvolgente e accogliente insieme.

Vagare negli spazi cogliendo il decostruire e il ricomporre di Baldessari significa così cogliere appieno il senso di un processo inteso quale gesto artistico e sociale, dentro cui comprendere un’elaborazione continua del nostro tempo, sia privato che pubblico. Baldessari inaugura una sede espositiva tracciando una linea di pensiero utile a comprendere che in un tempo come il nostro – tanto inquieto per non dire sfacciatamente violento – il processare le cose sia divenuto fondamentale per comprendere, al pari se non più del fare.

John Baldessari Venezia

‘No Stone Unturned – Conceptual Photography’ di John Baldessari. Foto: press

Un movimento che Venezia coglie alla perfezione sia per la sua obbligata fluidità sia per quella capacità relazionale che tende a dare forma di città a un arcipelago nel mare. In un tempo in cui Venezia viene ormai considerata dalla sua stessa amministrazione come un recinto per buoi a cui chiedere un ticket d’accesso, Baldessari restituisce con la sua visione un’idea di cittadinanza estesa in cui la consapevolezza del processo e del movimento dei singoli come individui e non come massa diviene un pensiero possibile sul senso dell’occupazione di spazio e tempo. Un atto di responsabilità che riguarda chiunque quale parte attiva dell’essere sociale.

Ma non manca in questo percorso offerto dalla Querini Stampalia la possibilità di cogliere spazi altri. A partire dall’esterno, che ritorna nuovamente preponderante dalla ampie finestre che affacciano su Campo Santa Maria Formosa e quindi sui leoni giganti di Davide Rivalta, artista bolognese che ha nel suo bestiario proprio il leone come idioma principale. Il leone e la leonessa quali simboli di mistero e potenza, accoglienza e controllo. Sentinelle bronzee che dialogano con il pubblico vasto e diverso che popola il campo: dai turisti ai residenti, da chi corre frettolosamente e da chi si ferma per fare la spesa al mercato. I leoni fissano in un tempo contemporaneo – qui fortemente e volutamente immobile – il simbolo ovvio di San Marco, portandolo non solo come elemento iconico come oggi è limitatamente percepito, ma come segno di un carattere selvatico tipico di un’urbanità insolita. Che deve riappropriarsi di una forma di dialogo per tornare a comprendere, seppur diversamente a prima, la propria unicità.

Leoni Rivalta Venezia

‘Leoni in campo’, Davide Rivalta. Foto: press

La Querini Stampalia va dunque vista attraversandola e mai fermandosi di fronte alla prima apparenza. Va colta nella storia a partire dall’input del suo fondatore (a cui a dire il vero forse un po’ troppo insistentemente Collu si richiama), per arrivare a immergersi fin dentro i suoi spazi. Non più vetrina, finalmente, ma reale attraversamento storico e spaziale.

Leoni Rivalta Venezia

‘Leoni in campo’, Davide Rivalta. Foto: press

La definizione più adatta è quella di un campo di gioco, in cui vale la pena arrischiare tattiche nuove per cogliere suggestioni improvvise. Perché questo può portare finalmente a una nuova possibilità di dialogo capace di generare conflitti fruttuosi e rivelare contraddizioni sopite. Necessarie, evidentemente, a restituire una nuova identità.

John Baldessari Venezia

‘No Stone Unturned – Conceptual Photography’ di John Baldessari. Foto: press

Che poi è un modo fondamentale, oggi, per riconoscere se stessi quanto l’altro in un relazione obbligata e necessaria. Il vedere, la storia, l’essere visti. Così come raccontano le settanta opere di John Baldessari in mostra: nulla va compreso nella sua interezza, tutto va colto come suggestione, segno di un processo che porti a un passaggio ulteriore, libero e creativo. Così la storica istituzione veneziana sembra dire ai suoi visitatori: entrate, giocate e fatevi una storia.

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