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Dischi da museo: 10 copertine realizzate dalle star dell’arte contemporanea 


Dopo la banana di Andy Warhol, sono moltissimi gli artisti che hanno disegnato cover di grandi album: da Keith Haring per ‘Let’s Dance’ di Bowie a Banksy per ‘Think Tank’ dei Blur, ecco le più belle

Keith Haring nel 1986. Foto di Joe McNally/Getty Images

Avete già letto su queste pagine di quanto l’atmosfera newyorchese sia presente nell’ultimo album degli Strokes, The New Abnormal. E siccome l’anima dei dischi trova il suo volto nelle cover, hanno scelto un particolare dell’opera Bird on Money del 1981 di Jean-Michel Basquiat. Basquiat infatti è l’artista di New York per eccellenza: ci è nato, ci è morto, l’ha ritratta, incarna in sé il melting pot di culture tipico della grande mela. Siamo sicuri che avrebbe approvato, anche perché il suo legame con la musica è sempre stato molto forte, dal fidanzamento con Madonna alla band che lui stesso ha fondato, i Gray. Ma senza per forza concentrarci sulla cerniera che si poteva abbassare davvero di Sticky Fingers o sulla banana di The Velvet Underground & Nico (dai, lo sa pure mia nonna che quelle copertine le ha fatte Warhol), quali sono i casi in cui le super star dell’arte contemporanea hanno prestato il loro genio per le cover dei dischi? Noi ne abbiamo scelte 10.

“Let’s Dance” David Bowie – Keith Haring

Iniziamo con un abbraccio, dato che in questo periodo se ne vedono pochi: è di Keith Haring e lo ha realizzato appositamente per il singolo Without You di David Bowie, dall’album Let’s Dance del 1983. Quelle sagome tipiche di Keith Haring (altro newyorchese D.O.C.) hanno un tratto spesso e deciso, come se volessero comprimere il colore. Non mancano i raggi radianti, che per Haring sono un messaggio di speranza e anche una citazione all’iconografia cattolica nella storia dell’arte.

“Think Tank” Blur – Banksy

Anche qui vediamo un contatto fisico, questa volta un bacio, e forse calza davvero a pennello con ciò che sta succedendo. L’idea è di Banksy, sono un ragazzo e una ragazza che tentano di baciarsi con un casco da palombaro in testa e il disco è Think Tank dei Blur (2003). Sebbene ci siano poche e confuse notizie sull’identità di Banksy, possiamo dirvi che quella che in realtà sia il fondatore dei Massive Attack Robert del Naja è una bufala.

“Artpop” Lady Gaga – Jeff Koons

Un riconoscibilissimo Jeff Koons per Artpop di Lady Gaga (2013): quella al centro non è una foto, ma una scultura in porcellana della cantante, circondata da frammenti della Primavera di Botticelli. Al centro una sfera da discoteca specchiante, proprio come le sculture più note di Koons. Dello stesso materiale è il coniglio che il Re Mida dell’arte ed ex marito di Cicciolina ha venduto in asta da Christie’s l’anno scorso, per la cifra record di 91 milioni dollari. Applicato a quella palla blu, è perfetto per richiamare il sapore disco dell’album.

“Ali in the Jungle” The Hours – Damien Hirst

Altra super star dell’arte contemporanea, che però rispetto al collega Koons ha prestato le sue mani a un gruppo che nemmeno in un milione di anni venderebbe quanto un disco di Lady Gaga, è Damien Hirst per The Hours, con la cover di Ali in the Jungle. Oltre a firmare questa copertina, con un teschio che ha l’orologio al posto degli occhi (la morte e il tempo sono la cifra dell’artista), Hirst era anche il loro direttore artistico. Forse voleva replicare il sodalizio Wharol/Velvet Underground, ma non è proprio riuscito. Il teschio più famoso di Hirst è For The Love of God, tempestato di 8601 diamanti.

“By the Way” Red Hot Chili Peppers – Julian Schnabel

Julian Schnabel è un grande regista, ha vinto persino la Palma d’Oro a Cannes con il suo Lo scafandro e la farfalla, ma soprattutto è un artista. Sfrontato, edonista, va sempre in giro in pigiama e vive in un grosso palazzo completamente rosa nel West Village di Manhattan, che lui stesso ha fatto ristrutturare e che è stato soprannominato “Chupi Palace”. Per i Red Hot Chili Peppers ha interpretato la cover di By the Way (2002). Lo stile di Schnabel è caratterizzato da dipinti di grandi dimensioni per i quali utilizza, oltre alla pittura, materiali come gesso, cera, fotografie, velluti, ceramiche. E dipinge su ogni supporto e mischiando elementi astratti e figurativi senza complessi: qui ne abbiamo un esempio, con un paesaggio Californiano ben riconoscibile sovrastato da una figura di donna che sembra quasi uno spirito.

“Live in Shanghai” Day & Taxi – Ai Weiwei

Ai Weiwei non si presta alla grande industria discografica e cerca sbocchi sofisticati. Il Trio di jazz sperimentale Day & Taxi ha una sua immagine per Live in Shanghai del 2005: un complesso industriale dall’aria abbandonata, un monito sulla strada di fallimento intrapresa dalla società contemporanea. Ai Wei Wei è l’artista dissidente per eccellenza, finito in carcere per molto tempo perché negli anni è diventato la più forte delle voci contro il regime cinese. Ha catturato l’attenzione internazionale tempo fa, quando in una performance distrusse urne di duemila anni scagliandole a terra, affrontando di petto la perdita della memoria che la società contemporanea impone.

“Graduation” Kanye West – Takashi Murakami

A interessare Takashi Murakami è la sottocultura Otaku. Otaku significa letteralmente “nella sua casa” e sta a indicare quel fenomeno, esploso in particolare negli anni ’80, che portava i giovani giapponesi a rifiutare qualunque contatto con la realtà e a rifugiarsi nei manga. E proprio come la Pop Art in America si impossessava degli oggetti di uso di massa per trasformarli in arte, anche Murakami sceglie la sottocultura Otaku come simbolo di un Giappone che ancora vive nel complesso di rifiutare l’interazione col mondo esterno e inizia a usare i Manga come soggetto per le sue opere. Una delle cover d’artista a nostro avviso più riuscite di sempre è quella di Graduation (Kanye West, 2007): un orsacchiotto, che rappresenta proprio il cantante, lanciato in orbita da una sorta di Olimpo dei Manga.

“One Hit (To The Body)” The Rolling Stones – Francesco Clemente

Negli anni ’80 in Italia nasceva la transavanguardia teorizzata da Achille Bonito Oliva, che riportava al centro la pittura e proprio con l’attraversamento delle avanguardie storiche. Questo movimento, che ha avuto grande influenza nel mondo, comprendeva 5 pittori: De Maria, Paladino, Cucchi, Chia e Clemente. Tra questi quello che ha avuto sicuramente più presa a livello internazionale è Francesco Clemente, beniamino di Andy Warhol che frequentava tutto lo star System, compreso Mick Jagger. Ed è sua la cover di One Hit (To The Body) dei Rolling Stones, singolo tratto dall’album Dirty Work: una figura umana attorniata da lupi. D’altronde nel pezzo non mancano versi come “l’odore della tua carne mi eccita” e questo si può interpretare in vari modi.

“Night Work” Scissor Sisters – Robert Mapplethorpe

Gli Scissor Sisters scelgono una foto di Robert Mapplethorpe per il loro Night Work del 2010. Mapplethorpe se ne era andato da più di 20 anni, ma anche da morto riesce a farsi censurare: la foto di copertina è infatti un ritratto molto “attillato” del sedere del ballerino classico Peter Reed. Non c’è nulla di perverso nella visione di questo genio: le sue opere parlano della crudezza della condizione umana, dell’istinto. Agiscono come un disinfettante, come se volessero eliminare ogni traccia o scoria di impurità da qualcosa che la società racconta come sbagliato. Soprattutto a Facebook non gliene è importato nulla e ha censurato ovunque l’immagine.

“Robinson” Roberto Vecchioni – Andrea Pazienza

Chiudiamo con Andrea Pazienza: aveva solo 23 anni quando Roberto Vecchioni gli chiede di interpretare la copertina di un suo album, Robinson del 1979. Pazienza rappresenta proprio il cantante, con fare piratesco, su un’isola dalla quale si può scorgere un Moai, una delle statue che si trovano sull’Isola di Pasqua. È la prima tappa di una bellissima collaborazione tra i due, durata fino alla morte per overdose di Pazienza, avvenuta il 16 giugno 1988. Forse questa sua storia dannata ha contribuito a portarlo oltre il solo contesto fumettistico, per assurgere all’Olimpo dell’arte. L’inventore di Zanardi e Pompeo manca da più di trent’anni, ma il suo mito continua a crescere.

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