Tommy Hilfiger mette all’asta la sua strabiliante collezione d’arte | Rolling Stone Italia
Arte

Tommy Hilfiger mette all’asta la sua strabiliante collezione d’arte

Lo stilista americano dice che vuole “far girare le opere d’arte”

"Devil's Head" di Jean-Michel Basquiat del 1987 nella tenuta dello stilista americano Tommy Hilfiger

"Devil's Head" di Jean-Michel Basquiat del 1987 nella tenuta dello stilista americano Tommy Hilfiger

Dice che vuole “far girare le opere d’arte”. E noi gli crediamo, perché Tommy Hilfiger fattura 1 miliardo di dollari l’anno e se mette all’asta la sua strabiliante collezione d’arte, non dev’essere perché sta in bolletta. Allora ecco che dal 16 novembre la Casa d’Aste Phillips batterà il martelletto per una serie di opere messe insieme in più di 20 anni di collezionismo T.H: la rock star dell’arte Jean-Michel Basquait, l’esplosivo Keith Haring, il padre dell’Art Brut Jean Dubuffet, il più noto tra gli Young (young mica tanto ormai) British Artists Damien Hirst. E ovviamente il più grande di tutti, Andy Warhol. Proprio Warhol è la personalità che ha maggiormente influenzato Hilfiger, fin da quando negli anni ’80 lo stilista si trasferisce a New York City dal paese di Elmira, dove è nato e ha iniziato la sua attività di commerciante, arrivando ad aprire parecchi negozi in giro per lo Stato. Quindi frequenta la Factory di Warhol, dove probabilmente ha occasione di incontrare, oltre al mito della Pop Art, anche Basquiat e Haring. Chi per una semplice operazione andata male, chi per un mix micidiale di alcol ed eroina, chi per AIDS, muoiono tutti e tre tra l’87 e il ‘90.

Tommy Hilfiger invece va avanti, diventa una stella della moda e fa abbastanza soldi da potersi permettere di comprare le loro opere, arrivate ormai a prezzi pazzeschi: la serie dei cow-boy di Warhol del 1986; Devil’s Head di Basquiat dell’87, un enorme dipinto con la testa del diavolo, realizzato nel periodo più buio dell’artista, pochi mesi prima della sua morte; due opere di Haring, Man and Snake e Man and Dog, con i loro colori sgargianti e le linee nette a comprimerli; Le Gommeux di Dubuffet, con il suo tratto primordiale, istintivo e quasi bambinesco; Disintegration – The Crown of Life di Hirst, della serie di opere fatte con le farfalle, che fa capire l’ossessione per l’estetica della morte dell’artista di Bristol, scoperto da Charles Saatchi all’inizio degli anni ’90.

Tommy Hilfiger ha una storia che parte da un investimento di 50 dollari, con i quali compra un piccolo stock di jeans a zampa d’elefante nel ’69 (come tutti, era un mezzo hippie allora) e li rivende con un prezzo maggiorato di due dollari. Da quel momento, la sua ascesa è velocissima: apre un negozio che arriva a fatturare 1 milione di dollari all’anno e a 22 anni gira in porsche. La prima sfilata arriva nell’85, il resto è storia. Una storia nella quale ci sta pure una rissa con Axl Roses, cominciata da uno sbronzissimo Hilfiger perché (a detta sua) il cantante aveva fatto versare a terra il drink della moglie dello stilista.
Dunque, dopo il tour per l’asta della collezione di David Bowie messo in piedi da Sotheby’s, arriva anche Phillips a vendere i pezzi di un altro personaggio che ha cercato una vita da rock star.

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