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Anche Twitter ha dichiarato guerra al mondo del sex work

Negli ultimi mesi, centinaia di account del mondo del sex work sono stati cancellati senza spiegazione da quello che era l'ultimo social network disposto a ospitarli. E ora i sex worker non sanno più dove andare

Anche Twitter ha dichiarato guerra al mondo del sex work

Goddess Aviva. Foto di David Zayas Jr.

Per 11 anni Genesis Lynn, la organizzatrice di Fetish Con, una fiera di settore dedicata al mondo del fetish, si era affidata a Twitter. Fetish Con aveva oltre 55mila follower sulla piattaforma e lei usava Twitter per promuovere l’evento e altre iniziative. Lo scorso agosto, dopo aver dovuto cancellare la fiera per via della pandemia, Lynn ha twittato una gif di una donna in lacrime scrivendo, “Ci mancate più di quanto immaginate. State al sicuro e ci vediamo nel 2021”. È stato il suo ultimo tweet. Lo scorso dicembre ha provato a fare log in ma ha scoperto che il suo account era stato sospeso.

Lynn era sconvolta. Usava quell’account dal 2009 e non aveav mai avuto problemi. L’account non conteneva nudità o contenuti sessualmente espliciti, la sua foto profilo era il logo del Fetish Con – una silhouette di una donna su sfondo blu. Ha fatto appello contro la sospensione, ma non ha mai ricevuto risposta.

“Ho scritto che ho un piccolo business da 20 anni e che perdere questo account è un colpo devastante alla mia capacità di raggiungere i miei clienti”, racconta a Rolling Stone. “Ho pianto. Ero sconvolta”. Twitter era la piattaforma su cui Fetish Con si appoggiava maggiormente per interagire con fan, modelle, producer e partecipanti alla fiera; l’evento era in crescita di anno in anno e la maggior parte della sua esposizione mediatica veniva dal quell’account. Con la pandemia, “le cose sono diventate difficili per noi dal punto di vista economico, e questa cosa non farà che danneggiarci ancora di più”, racconta Lynn. 

L’account del Fetish Con non è l’unico account del mondo dell’intrattenimento per adulti da essere stato sospeso da Twitter negli ultimi mesi. A febbraio, con una mossa che ha sconvolto molti osservatori di settore, sono stati sospesi senza preavviso gli account delle piattaforme di contenuti per adulti Clips4Sal e ModelCentro – mandando il mondo del sex work nel panico per la paura di perdere l’unica piattaforma social dove si possono esprimere liberamente. “È un attacco diretto ai sex worker”, diceva un tweet. Dopo la sospensione di ModelCentro e Clips4Sale, “il mio telefono non ha mai smesso di suonare”, racconta Corey Silverstein, un avvocato che rappresenta molte figure del settore. “Ricevo continuamente messaggi da parte di persone terrorizzate per la possibilità di perdere tutto”.

Rispetto alle altre piattaforme social, Twitter è storicamente stato più aperto ai contenuti per adulti, consentendone la pubblicazione mentre i suoi rivali Instagram e Tumblr li eliminavano. Eppure non è raro gli account dei sex worker vengano sospesi dalle piattaforme per violazioni delle condizioni d’uso. Quello che è raro, invece, è che la sospensione interessi account di siti grossi come ModelCentro e Clips4Sale, appunto.

In una dichairazione ufficiale Kat Revenga, Head of Marketing di FanCentro, la società che possiede ModelCentro, ha detto che l’azienda è “incredibilmente frustrata” dalle azioni di Twitter. Oltre alla sospensione di ModelCentro, sempre a febbraio Twitter ha deciso di sospendere ancheg li accounto in arabo e in russo di FanCentro. Revenga afferam che FanCentro ha gestito per anni account come quello di ModelCentro senza riscontrare mai nessun problema, e immagina che l’esplosione di popolarità di piattaforme come FanCentro e OnlyFans durante la pandemia possa aver portato Twitter a decidere di dare una stretta ai contenuti per adulti, visto che molti creator di settore usano il social per promuoversi. 

“Questi account venivano usati per comunicare con i creator e per promuovere il loro lavoro”, spiega. “Le persone più colpite da questa decisione sono quelle che usano le nostre piattaforme per costruire il loro business e comunicare con i fan… questa decisione dovrebbe spaventare tutti nell’industria per adulti”.

In risposta a una richiesta di commento, un portavoce di Twitter ha negato che esista una politica di Twitter per bannare i sex worker dalla piattaforma. “Non ci sono stati cambiamenti quest’anno nella nostra policy riguardo i contenuti sensibili”, afferm il portavoce. “Stando a questa policy, ‘nei tweet si può condividere una raffigurazione di violenza se consensuale, a patto di segnalare il tweet come sensibile’. Non abbiamo in progetto di cambiare le nostre policy riguardo ai contenuti per adulti”.

Ma stando a una ricerca della consulente di settore Amberly Rothfield, dalla prima settimana di gennaio 704 dei 5000 account di sex worker da lei monitorati sono stati cancellati. Secondo i suoi dati, si tratta di un aumento dell’82% nei ban degli account di sex worker rispetto ai tre mesi precedenti, con una media di 34 account bannati ogni giorno.

Rothfield è convinta che la ragione di tutto ciò sia la decisione di Twitter di incrementare la censura in corrispondenza con il lancio del suo nuovo sistema di verifica degli account, che ha debuttato il 22 gennaio, e che rimuove le spunte blu dagli account inattivi. Non pensa che i sex worker stiano venendo presi deliberatamente di mira, perché dice di aver notato anche ban di massa di streamer e youtuber. Ma dato che storicamente i sex worker sono sempre stati presi di mira da piattaforme come Instagram e Tumblr, è possibile che anche Twitter li prenderà di mira a breve. Senza Twitter, i sex worker avrebbero ben poche opzioni per organizzarsi, comunicare tra loro, promuovere il loro lavoro e guadagnare. “Sto aspettando che vengano colpiti”, afferma, “me lo aspetto”.

Una delle sex worker sospese negli ultimi mesi è Goddess Aviva, una dominatrice di New York che usava Twitter per raggiungere i suoi clienti. Era anche parte di diverse chat di gruppo con altre persone nell’industria del sesso, dove si scambiavano informazioni su clienti poco affidabili e metodi per riconoscerli. “È estremamente importante per quest’industria il fatto di potersi collegare uno con l’altro, condividere informazioni”, afferma. “Serve a mantenerci al sicuro e spingerci l’un l’altro”.

Dalla fine di dicembre 2020, però, per lei tutto questo è diventato impossibile. Il suo account è stato bannato da Twitter per il motivo che, stando a degli screenshot che Aviva ha fornito a Rolling Stone, la sua foto di copertina mostrava il suo sedere avvolto da delle calze a rete e ciò violava le linee guida della piattaforma riguardo ai contenuti espliciti nelle foto profilo e di copertina. Ma il suo profilo non conteneva niente di inappropriato. Il suo account è stato sbloccato e lei ha cambiato la foto con una in cui era vestita. Pochi giorni dopo gliel’hanno sospeso di nuovo per violazione dei termini d’uso del servizio. 

Aviva ha fatto appello a Twitter due volte, senza ottenere risposta. Alla fine, con l’aiuto di un amico che lavora a Twitter, è riuscita a parlare con un rappresentante del servizio clienti che le ha detto che il suo account sarebbe stato disabilitato in modo permanente. Anche se nel frattempo ne ha creato un altro, il traffico sul suo sito si è notevolmente ridotto così come il suo giro di affari, visto che la maggior parte dei suoi clienti arrivava da Twitter. Aviva dice che l’essere costantemente presa di mira dalle piattaforme la fa sentire “moltro frustrata”. “Mi toglie ogni motivazione di fare questo lavoro. Penso al fatto che potrei perdere tutto da un momento all’altro”.

Molti sex worker si sono chiesti se l’ondata di ban degli ultimi mesi sia il prodotto di una causa intentata contro Twitter lo scorso febbraio da parte del National Center on Sexual Exploitation, un gruppo religioso di estrema destra che si batte contro il porno e il sex work. “Un modo per descrivere la loro linea politica è che vorrebbero che il porno non esistesse”, spiega Kendra Albert, della Cyber Law Clinic di Harvard. “Molte persone considerano questa causa e il fatto che si concentri sul traffico di esseri umani o sulla condivisione non consesuale di materiale intimo come un pretesto per il vero scopo del NCOSE, ovvero eliminare da internet il sex work e il porno in generale”.

Nella causa, il NCOSE ha accusato Twitter di non essere in grado di eliminare dal sito contenuti che mostrano abusi sui minori, sotto forma di foto e video, e di guadagnarci. Secondo Albert è improbabile che la causa abbia successo ma “una delle ragioni per cui cause come questa vengono intentate è che fanno cattiva pubblicità, sono tentativi di spingere Twitter ad adottare policy più stringenti in materia di contenuti per adulti. Il contenuto della causa in sè è spesso irrilevante”.

Un esempio importante di come questa pubblicità negativa possa portare al cambiamento delle regole di una piattaforma è l’inchiesta pubblicata lo scorso dicembre dal New York Times su Pornhub, firmata da Nicholas Kristof, in cui l’autore afferma che la piattaforma avrebbe chiuso un occhio di fronte a materiali che mostravano abusi su minori o vittime di tratta. Una delle organizzazioni che venivano citate come fonti dell’inchiesta, Exodus Cry, è un gruppo di cristiani evangelici che ha collaborato con il NCOSE per lanciare la campagna #Traffickinghub, il cui scopo è far chiudere Pornhub.

Nonostante il pezzo del New York Times sia stato fortemente criticato sia da altri media mainstream sia da molti sex worker, ha comunque costretto Pornhub a fare dei cambiamenti che i creator del sito chiedevano da anni – come migliorare le sue policy di moderazione e permettere solo agli utenti verificati di caricare video. Ma ha anche portato aziende come Visa e Mastercard a tagliare i ponti con Pornhub, lasciando migliaia di sex worker senza la possibilità di vendere i propri contenuti sulla piattaforma. Alla luce del caso Pornhub, spiega Albert, “molta gente è nervosa” riguardo alla possibilità che le piattaforme possano bannare i sex worker. “Visto ciò che è successo con Pornhub, è una preoccupazione ragionevole”.

I gruppi che rappresentano i sex worker sono preoccupati anche dalle proposte di riforma della Section 230, la parte del Communications Decency Act del 1996 che garantisce alle piattaforme come Twitter di non venire considerate responsabili per i contenuti di terze parti che ospitano, e che è stata definita “le 26 parole che hanno creato internet”. In generale, le proposte di riformarla sono state molto criticate per paura che limitino la libertà di parola, e a febbraio una serie di gruppi di sex worker come il Sex Workers’ Outreach Project hanno scritto una lettera al presidente Biden chiedendo di non toccare la Section 230 perchè riformarla “potrebbe rendere possibile silenziare e marginalizzare persone le cui voci sono state spesso ignorate dai media mainstream”. 

Queste preoccupazioni sono aumentate dal fatto che, a causa sia di cambiamenti profondi nel settore sia delle conseguenze della pandemia, i sex worker sono sempre più dipendenti dalle piattaforme social per guadagnarsi da vivere – girando e vendendo i propri contenuti in modo indipendente su OnlyFans. “Non penso che la gnete acpisca davvero che c’è stato un grossissimo cambiamento nel mondo dell’intrattenimento per adulti e che oggi i performer sono indipendenti”, spiega Silverstein. “Si guadagnano da vivere da soli. Mantengono le loro famiglie e pagano le bollette grazie ai follower che hanno sui social. Ora vedono che molte persone come loro vengono bannate dai social e hanno paura”. Se Twitter dovesse rafforzare le proprie policy contro i contenuti sessualmente espliciti, afferma Silverman, “queste persone saranno colpite duramente. Non possono andare su Instagram. Non possono andare su Facebook. Non possono andare su Skype. Non hanno molte alternative”.

Lynn ne ha fatto esperienza in prima persona. Anche se Fetish Con ha ancora un account Instagram attivo, sta cercando di capire se ricominciare da zero su Twitter e ricostruire l’account che aveva prima, coltivato nel corso di dieci anni. “La cosa divertente è che ci sono voluti quattro anni prima che quelli di Twitter facessero qualcosa contro l’incitamento all’odio di Trump”.

Questo articolo è apparso originariamente su Rolling Stone US