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Almeno quando scopo voglio sentirmi libera

BDSM, Fetish, Vanilla: ciò che diventa categoria cristallizza qualcosa che è selvaggio. Il sesso, anche quello più codificato, è intrinsecamente incontrollabile. Vogliamo sentirci al sicuro all'inferno, ma è un paradosso del desiderio

Almeno quando scopo voglio sentirmi libera

Gabriel Matula per Unsplash

Foto: Gabriel Matula per Unsplash

Avete mai sentito parlare di “sesso vaniglia”? Non dipende dall’orientamento sessuale ma piuttosto dalle pratiche in sé. Vaniglia perché “edulcorato”, almeno da chi pratica BDSM (acronimo che, nella sua versione completa significa bondage, disciplina/dominazione, sottomissione/sadismo, masochismo) e quelle che vengono generalmente definite sessualità estreme o alternative.

Punti di vista.

Gusti.

In ambito sessuale si creano e ricreano dinamiche relazionali di potere dove ci sono persone che dominano e altre che vengono dominate, lo facciano più o meno consapevolmente. In un contesto BDSM queste dinamiche sono esplicitate e ben definite da ruoli e, sempre nel medesimo ambito, non è raro che vengano sottoscritti contratti nei quali vengono riportate le pratiche che si metteranno in atto e i limiti da non superare. C’è chi stabilisce tali regole semplicemente a voce, negoziando verbalmente e scegliendo inoltre safeword o safe signal, ossia una parola o un gesto che indichi la richiesta di fermare il gioco.

Il sesso in generale non è altro che un grande gioco e pertanto ha delle regole che vanno rispettate affinché tutti si divertano e godano.

Eppure il sesso è anche la massima espressione della bestialità dell’essere umano e con “bestialità” non intendo brutalità, per quanto possa esserne uno degli aspetti, ma piuttosto istinto, desiderio innato e profondamente intimo. Ora – premesso che in quanto esseri razionali sappiamo o dovremmo sapere come gestire i nostri istinti – è pur vero che durante il sesso è bello lasciarsi andare, abbandonarsi alla passione, al momento, all’estasi, perdere il controllo appunto.

Ho trovato una frase attribuita a Bruce Lee sulla libertà e che mi sembra pertinente per il discorso che sto cercando di portare avanti: “Non c’è libertà se siete imprigionati da muri di disciplina.”

Ecco, cos’è il sesso negoziato, disciplinato, normato anche nelle pratiche considerate estreme? Non è forse una continua contrattazione verbale e/o gestuale? Personalmente mi inquieta l’idea di stabilire aprioristicamente cosa voglio o non voglio fare sessualmente.

Se si intende il sesso come una performance, allora posso capire: l’esibizione di gestualità, pratiche, espressioni che sono finalizzate al mostrare qualcosa di sé alle persone direttamente coinvolte ed eventualmente a un pubblico che osserva (film porno e live performance su tutte; penso anche a una dimensione privata dove non ci siano spettatori ma solo le persone interessate direttamente dal gioco). In un contesto intimo dove il gioco non sia strutturato, francamente mi sentirei imbrigliata, messa con le spalle al muro e limitata nella possibilità di deviare dalle regole prestabilite, pur restando in ascolto del/la/dei/delle partner.

Non riesco a immaginare di trovarmi con delle persone con le quali si finisce a fare sesso in modo più o meno inaspettato, casuale, ma prima di darci dentro ci si metta a tavolino a dirsi questo sì, questo no. Credo che certe cose possano venire fuori nel momento stesso in cui accadono, e comunque possiamo sempre chiedere, prima di agire, per accertarci che gli altri vogliano e gradiscano.

Se mentre sto facendo sesso mi toccano, baciano, leccano, penetrano, mordono, colpiscono un punto dove sento fastidio, dolore, disagio, dico di no, ed eventualmente sposto la parte del/la partner a contatto con la mia sperando che l’approccio sia reciproco (se non dovesse esserlo, mi comporterò come meglio credo rispetto al contesto). Idem se non è tanto la parte coinvolta a essere il problema, quanto la pratica in sé.

Capisco che con tutto ‘sto porno in cui ci si strozza, soffoca, schiaffeggia e mena, molti mettano in pratica con leggerezza senza neppure accertarsi che al/la/ai/alle partner piaccia e senza sapere come si fa a compiere quelle azioni senza creare danni.

Basterebbe chiedere: «posso? Ti piacerebbe?».

Alla fine è questione di buona educazione, fidatevi che non smoscerà l’atmosfera. Sono dimostrazioni di cura e rispetto.

Se dovessi incontrare qualcuno che desidera patteggiare a monte cosa fare o meno e magari metterlo nero su bianco lo farei senza discutere, vi assicuro che in certe situazioni so essere molto elastica (…), ma se avessi voluto stipulare contratti, avrei scelto la carriera notarile.

Non discuto in assoluto la contrattazione per via orale o scritta, ma it’s not my cup of tea, tutto qua.

Ci sono già così tante regole, norme, procedure che almeno quando scopo voglio sentirmi libera, disinibita, potenzialmente onnipotente (se non altro in fase orgasmica!), poi – se non altro sul piano teorico – ci si ridimensiona e prende le misure, perché non a tutti piace tutto; si tratta di preferenze, fantasie, trigger point nostri e altrui.

Credo che si possa discutere il consenso di volta in volta in modo fluido, senza trasformarci in Catone Censore della situazione (se non sapete chi sia, vi basti sapere che era contrario ai Baccanali).

Mi sembra che definire i confini a monte neghi la possibilità di addentrarsi nel mistero; forse parlo così perché non ho mai praticato sesso estremo/alternativo e sono un’ingenua vaniglia che non ha idea della libertà che può dare accordarsi sui limiti.

Che volete che vi dica? Amo il rischio (ma sono sempre pronta a cambiare idea!).

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