Alla fine, hanno vinto i mormoni | Rolling Stone Italia
underdogs forever

Alla fine, hanno vinto i mormoni

La religione meno cool del mondo è diventata un fenomeno di cultura pop. C'entrano diversi programmi televisivi, un gruppo di influencer molto seguite e pure un musical, per la prima volta in Italia

The Book of Mormon

'The Book of Mormon', il musical

Foto: press

Alla fine, hanno vinto i mormoni. Una religione fondata nell’America del 1800 in un contesto di carestie e sussistenza, che rigira alcuni principi del Cristianesimo senza definirsi tale, che è andata avanti e indietro sulla poligamia a favore prima di riproduzione, poi a sfavore di persecuzione, e poi solo per dimenticarsene; che costruisce per i suoi adepti una vita famigliare che sembra, be’, un musical; e che è, come si dice scherzando ma mica tanto nel vero musical The Book of Mormon, per la prima volta in Italia all’Arcimboldi di Milano, l’unica religione veramente americana, guidata da un profeta veramente americano; ecco, questa cosa qua ha sbancato in tutto il mondo. Divenendo, per le sue bizzarrie e aiutata dalla popolarità di alcuni suoi adepti, per certi versi più popolare del Cristianesimo stesso. Una Scientology, senza dover essere privilegiati per unirsi al culto ed essere salvati.

Riavvolgiamo: all’inizio del Diciannovesimo secolo, Joseph Smith, nei neonati Stati Uniti, vede un angelo del Signore. Si chiama Moroni (il gioco di assonanze con moron, l’inglese per stronzo, è ampiamente sfruttato nel musical) e gli dona a nome del profeta Mormon alcune tavole dorate con impressa la “vera Legge”, il “vero volere” di Dio (dietro questa storia c’è una narrazione abbastanza fallace dei movimenti storici dei popoli della Giudea, ma sorvoliamo). Smith non ne parla a nessuno, non mostra le tavole in giro, e si mette a fondare un nuovo culto. ‘Cause that’s what you do, right?

È un periodo di incertezza sociale, e le verità rivelate fanno sempre comodo, quando si tratta di aggrapparsi a qualcosa. Joseph Smith comincia a costruire con successo la sua comunità alternativa, che vive dentro le leggi del neonato Stato ma che allo stesso tempo le minaccia, moralmente e non solo. Nei centri cittadini lontani dal Midwest, culla dei mormoni, ci si comincia a chiedere: e se un movimento dal basso potesse sovvertire quello che abbiamo costruito? Cominciano alcune rivolte contro i mormoni, aizzate dal governo centrale. A metà secolo, Smith annuncia di volersi candidare come Presidente degli Stati Uniti. Poco dopo sarà ucciso in una sollevazione popolare. Nessun modo peggiore di liberarsi dei propri nemici che farne martiri.

Inizia così il filo rosso che porta alle tradwives, le “mogli tradizionali” dei social media. Sono giovani, sono avvenenti, hanno tanti figli e famiglie classicamente occidentali. Spesso non lavorano, prendendosi piuttosto cura della casa e dei pasti della famiglia. Non fanno esplicitamente proselitismo per la religione mormona, ma comunicano il loro stile di vita rendendolo desiderabile un po’ a chiunque (sia sopraffatto dal mondo contemporaneo). Non tutte sono mormone, molte sì (Hannah Neeleman aka Ballerina Farm, per esempio, la più conosciuta). Hanno migliaia quando non milioni di follower. Si associano a imprenditori – come quelli dietro l’app di fertilità femminile 28 – che incoraggiano a dismettere i contraccettivi ormonali. Propugnano un modello di femminilità “dolce” e domestica. È solo uno dei molti modi in cui i mormoni si sono infilati da sempre nella cultura pop statunitense, e quindi del mondo globalizzato.

 

 
 
 
 
 
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Di questo flusso fanno parte, per esempio, anche il reality The Secret Lives of Mormon Wives: giunto alla terza stagione, prende le mosse da uno “scandalo” di swinging (ovvero di scambio di partner sessuali tra coppie consenzienti) avvenuto all’interno di una comunità mormona dello Utah (centro di propulsione della fede, insieme alla città Salt Lake City), e diventa una sorta di Desperate Housewives senza aver necessariamente housewives di mezzo. Non solo: i mormoni sono stati i protagonisti di un episodio di South Park, All About Mormons (stagione sette, episodio dodici). Mormone sono anche le giovani protagoniste di Heretic, bel thriller psicologico con Hugh Grant nella parte del villain che prende le mosse da un tentativo di proselitismo andato male per trasformarsi in una battaglia in punta di spada intellettuale sulla natura della religione.

 

 
 
 
 
 
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Questo per dare l’idea di una costellazione non realizzata da mormoni (o insomma, magari qualcuno ci sarà, avete capito), che però apre un dialogo verso questa religione. E che, in ogni diverso “formato”, ne presenta aspetti differenti.

South Park - Joseph Smith

Ci sono i campanelli delle porte che squillano, e facce sorridenti dall’altra parte che ti chiedono se, magari, possono entrare per parlarti di Dio e di un testo sacro chiamato Book of Mormon. C’è il magic underwear, strato di vestiti di mezzo da indossare sopra la biancheria intima come una specie di divisa. Sono vestiti “santi”, abbastanza scomodi e accaldanti, da non togliersi mai, se non per lavarsi o per i rapporti sessuali (eterosessuali, con il proprio coniuge, possibilmente rivolti alla procreazione). I mormoni dicono che li proteggono dal male, e che Joseph Smith fu assassinato proprio nell’infausto giorno in cui se li dimenticò. Ma qui siamo nel pittoresco. Dell’inerente razzismo della dottrina mormona si parla di meno (nel Libro di Smith c’è scritto che la maledizione divina fa scurire la pelle degli esseri umani), come anche del rifiuto sistemico che i mormoni hanno per l’omosessualità. Quando, sulla carta, appaiono come famiglie felici, nucleari, accoglienti, desiderabili. Ma anche, che obbligano i propri figli a mettere in scena spettacoli domestici, la sera dopo cena, per mostrare i rispettivi talenti (tra questi, alla musica è data molta importanza).

I Wore Magic Mormon Underwear—And I HATED It

Comunque, non siamo qui per restituire un riassunto esaustivo della fede mormona. Per quello vi aspetta un simpatico testo sacro, o, a seconda dei gusti e delle preferenze multimediali, il canale YouTube di Alyssa Grenfell, ex mormona fuoriuscita dalla Chiesa, che senza inibizioni e ancor meno peli sulla lingua tells it all su una comunità (per non dire setta) che fa della segretezza uno dei suoi punti di forza, al pari di una società segreta. O una massoneria (per dire, la biancheria “magica” sarebbe, teoricamente, un tema-tabù anche tra i fedeli stessi). Ma lascio a voi l’esplorazione.

ExMormon Reacts to South Park's "All About Mormons"

Documentarsi su questa comunità non è accessorio, e non solo perché tanta della nostra cultura quotidiana è influenzata dai dettami mormoni o letteralmente guidata, come nel caso delle madri-mormone-influencer, da principi moron- ops, mormoni. Non solo perché il privato è politico, eccetera, e i mormoni tendono a veicolare una visione del mondo allineata con i principi della destra anche estremista statunitense (per quanto questa afferisca solitamente all’ambito del Cristianesimo di stampo protestante). Ma anche perché così potete andarvi a vedere, a Milano, il musical The Book of Mormon (in lingua originale) senza la paura di non capirci niente. Visto che sì, le nozioni di base sono fornite e altre se ne scopriranno. Ma non si tratta di un corso accelerato alla fede di Joseph Smith & amici. Arrivarci con un bigino in tasca è fondamentale.

Innanzitutto, però: la vera ragione per considerare di passare una serata con i mormoni (almeno fino al 21 dicembre) è la qualità stessa dello spettacolo. Il quale catapulta in medias res dentro un mondo di Oz allucinato, kitsch e camp allo stesso tempo. Popolato di buffi ometti in camicia bianca, pantaloni neri e cravatta bella stretta, che comunque non sono assistenti di volo su un American Airlines. Sono giovani mormoni, appena usciti dalla scuola di formazione. Non vedono l’ora di compiere il loro destino: il quale, è stato loro insegnato, è quello di evangelizzare il più possibile, e battezzare in tutto il mondo al culto di Joseph Smith.

The Book of Mormon

Foto: press

Non serve essere seduti in prima fila per accorgersene: il cast ha l’aria di una figurina. Americanissimamente pettinati, agghindati come uno spot anni Cinquanta (probabilmente ai mormoni piacerebbe vivere in quella decade, dico io eh), bidimensionali. Personalità che si replicano, sorrisi al mentolo, voci snervanti e sovra-entusiaste. L’aria di plastica non è accidentale. È parte del marchio di fabbrica di Trey Parker e Matt Stone, creatori di South Park, a cui evidentemente non è bastato fare, nel 2003, un episodio sui mormoni; e che quindi, nel 2011, hanno fatto debuttare questo gioiellino in squadra con Robert Lopez, che senza saperlo conoscete già tutti. Sue sono le canzoni dei film Disney Coco e Frozen, e suo un record abbastanza stellare: aver vinto per ben due volte questi quattro premi Oscar, Tony, Emmy, Grammy. Mecojoni.

Non state a prendervela per la parolaccina, ché tanto The Book of Mormon rincarerà la dose, sia con accurate bestemmie (pubblico avvisato!) che con (finti) atti osceni in luogo pubblico: amici delle rane, questa è per voi. La dissociazione insomma è reale, anche se l’effetto complessivo è quello di un lungo numero di stand up, dove le assurdità e le immaginazioni di un culto tirato su un po’ per caso (che tutta la religione organizzata sia così? e chi lo sa? io mica lo so) vengono messe alla berlina. Tanto che, sostituendo la natura degli addendi, il risultato non cambia. Che sarà mai se l’angelo Moroni diventa un Jedi, se appare il Maestro Yoda, se tutti i mormoni dell’Ottocento prendono la dissenteria e se non è mai successo. “Quando non so che cosa dire mi invento delle bugie, anzi no, uso l’immaginazione”, dice uno dei protagonisti, degli “Elder” cioè membri della Chiesa maschili, finiti in Uganda a proselitare. Questo vale per l’arte, per la politica del 2025 e pure di prima; per le fake news, per il sentito dire, per i racconti che portano conforto, per i grandi film, per i libri che rileggiamo (a proposito: lo sapevate che Twilight è stato scritto da una mormona?). Pure per i mormoni, e per un altro strano libro che sbucherà a fine spettacolo…

The Book of Mormon

Foto: press

Stand up comedy sì, dicevo, ma con asterisco. Perché spesso ci si prende in giro da soli, e qui non è il caso. Se ne verifica un altro però: mentre Parker e Stone dichiarano di aver voluto fare il musical perché i mormoni sono facili da prendere in giro e perché be’, avevano in serbo una battuta killer dopo l’altra, la Chiesa mormona in prima persona decide di mettere pubblicità per le proprie attività nel libretto ufficiale del musical (almeno negli States). Naturalmente è straordinario e straordinariamente azzeccato. Si può pensare che una religione porta a porta sia diventata un colosso senza saper comunicare? Naturalmente, no.

Il risultato infatti è che si esce intrattenuti al massimo, e altrettanto incuriositi su queste buffe persone (to be fair, The Book of Mormon si concentra più sull’esperienza maschile che femminile della Chiesa mormona) in disagio e cravatta. Sta tutto qui il punto focale: la religione meno cool del mondo, con i dettami meno sexy del mondo (oddio: anche i Testimoni di Geova…), è diventata un fenomeno pop grazie alle sue rappresentazioni satiriche. Grazie, insomma, al fatto che fosse, per dirla in italiano e non nasconderci dietro alcun velo, roba da sfigati. E ora guarda le tradwives e i loro fan adoranti, guarda la notorietà, è ancora una volta l’underdog che ce la fa, e che ci lascia indietro con una spernacchiata.

The Book of Mormon

Foto: press

Non a caso, proprio di un underdog narra la storia del musical, che ha anche una trama interiore oltre alla satira esteriore: quella di due Elder finiti in missione in Uganda e mal assortiti. Uno con un importante complesso messianico e capacità vocale muscolare fin dal primo secondo, l’altro con la sola abilità di inventarsi storie e controstorie, impacciato e goffarello. Indovinate chi rivelerà una voce parimenti potente e smuoverà le folle, alla fine?

Grazie ai mormoni anche per questa bella storia, oltre le tante altre che ci hanno già portato, fonte inesauribile. Visto che non andranno da nessuna parte, che non sia in giro per il mondo: il nome completo della Chiesa recita “dei Santi degli Ultimi Giorni”. I santi sono loro, e si stanno preparando per l’Apocalisse da tutta la vita. Perciò prendete e ridetene tutti: Tomorrow is a latter day. E quando tutto finisce, magari comincia con una risata. Not with a bang…