«Accusato di terrorismo, chiuso in un carcere egiziano, trattato come una bestia» | Rolling Stone Italia
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«Accusato di terrorismo, chiuso in un carcere egiziano, trattato come una bestia»

Davide Romagnoni dei Vallanzaska racconta nel libro 'Ma quale vacanza d’Egitto?!' l'arresto nel 2015 a Sharm el-Sheikh, lo shock delle manette, la detenzione in una «gabbia medievale», il processo surreale

«Accusato di terrorismo, chiuso in un carcere egiziano, trattato come una bestia»

Davide Romagnoni

Foto: Andrea Remondina

Andare in vacanza a Sharm el-Sheikh e ritrovarsi in carcere in Egitto, sospettato di terrorismo, senza aver fatto nulla di male, per un’ingenuità. È successo nel 2015 a Davide “Dava” Romagnoni, frontman dei Vallanzaska oltre che illustratore e autore televisivo: una disavventura che ha quasi dell’incredibile, ora diventata un libro, Ma quale vacanza d’Egitto?! Arresto accidentale di un cantante, uscito per Prospero Editore.

Riassunto delle puntate precedenti: il 31 ottobre di cinque anni fa un aereo russo diretto a San Pietroburgo esplode nei cieli del Sinai, poco più di 20 minuti dopo il decollo dall’aeroporto di Sharm; muoiono 224 persone, di lì a breve si scoprirà che la causa è stata una bomba; lo scalo chiude temporaneamente i battenti, i voli sono sospesi, i turisti alloggiati in hotel e villaggi sulla barriera corallina vengono lasciati a terra. Romagnoni è lì, in un resort; ha deciso di regalarsi una settimana di relax e ha scelto quella meta per un po’ di snorkeling e magari per andare a vedere la famosa piramide di Cheope cui nel 1998 i suoi Vallanzaska hanno dedicato un brano – Cheope, per l’appunto – diventato il loro maggiore successo. Ma commette uno sbaglio: da Milano un amico giornalista gli chiede se può raccogliere qualche testimonianza di italiani bloccati a Sharm e pronto ad aiutarlo il cantante milanese afferra la GoPro presa in prestito da un amico prima della partenza, si reca all’aeroporto in taxi, fa delle riprese. È a quel punto che viene fermato da un uomo in borghese, scortato all’interno dello scalo zeppo di poliziotti e militari armati di Kalashnikov e, dopo un interrogatorio, portato in un carcere in mezzo al deserto: è sospettato di terrorismo.

Il resto lo racconta nel suo libro accostando alle parole una serie di suoi disegni in stile fumettistico che chiama fotografie mentali. «Avevo bisogno di ripercorrere quella disavventura per permettere a me stesso di lasciarmi alle spalle una situazione non paragonabile ad altre ben più gravi che riempiono le pagine dei giornali – vedi i casi di Giulio Regeni e Patrick Zaki –, ma comunque traumatica», spiega Romagnoni, classe 1971. «Ma ho scritto questo resoconto anche perché mi avevano detto di non farlo, mentre per me è un modo per ricordare a tutti noi che i diritti che diamo troppo spesso per scontati non lo sono affatto».

Illustrazione di Davide Romagnoni, dal libro ‘Ma quale vacanza d’Egitto?!’

Il tono del racconto non è quello che ci si aspetta: da un lato il frontman dei Vallanzaska ripercorre quel che gli è successo con una scrittura tesa a trasmettere la paura e il senso di sconforto che dal primo interrogatorio al trasferimento in prigione lo assalgono fino a spingerlo a pensare di essere destinato a morte certa; dall’altro c’è l’autoironia che gli consente di rammentare quell’esperienza terribile con un tono a tratti tragicomico. «Fa parte del mio carattere, l’autoironia. Ci tenevo a conservarla nella scrittura perché, in quel sentirmi catapultato dal paradiso in cui credevo di essere all’inferno, è ciò mi ha salvato. Penso, per esempio, all’istante in cui, in quella che definisco una gabbia medioevale, mi ritrovo a tenere le sbarre con le mani ammanettate e penso “sarebbe una bella copertina per un disco”. Assurdo, ma vero».

Lo ha salvato anche la razionalità, in un contesto in cui quasi tutti, in primis coloro che dovevano valutare se credere alla sua innocenza o alla sua colpevolezza, gli si rivolgevano in arabo facendolo sentire come «Ponchia, alias Diego Abatantuono in Marrakech Express mentre cerca di spiegare al secondino che: mon amis, en italienne…». «Se sono riuscito a restare lucido è anche perché dopo le prime ore mi sono detto che ciò che stavo passando era una storia da rendere pubblica. Forse per deformazione professionale, è subentrato l’autore che è in me. Per cui ho iniziato a registrarmi nella testa ogni attimo che trascorrevo là dentro e a mettere in atto, per quanto possibile, dei comportamenti strategici: dire sempre la verità, non esplodere in crisi isteriche, agire solo quando necessario, essere remissivo di fronte ad atteggiamenti aggressivi… Mi ha guidato una forza che non avevo mai provato prima e che non mi faceva avvertire nemmeno la fame. L’avrei pagata nei mesi successivi», aggiunge Romagnoni, poi finito in psicoterapia per shock post traumatico. «È la stessa cosa che provano i reduci. Ciò che ho faticato a dimenticare è lo shock delle manette, le ho vissute come qualcosa di tremendo, una cella nella cella. Ritrovarsi d’un tratto catapultato in una realtà dove sei privato di ogni diritto e chi ti ha in custodia si muove sostanzialmente a caso, con fare sospettoso e insinuante, è sconvolgente. Sei nelle mani di persone che potrebbero decidere di farti fuori senza alcuna prova effettiva di colpevolezza, e questo fa orrore, perché capisci che tutto, ma proprio tutto, può ritorcersi contro di te».

Illustrazione di Davide Romagnoni, dal libro ‘Ma quale vacanza d’Egitto?!’

Nella lettura ci si imbatte anche in passaggi toccanti, come quando Romagnoni scoppia a piangere o pensa «voglio la mamma» o parla dei quattro bestioni che lo accolgono in carcere: «Mi guardano fisso come usa qui, torvamente. Nessuna vera espressione in viso. Come lo sguardo impassibile della tigre un momento prima di attaccare. Uno sguardo impossibile da sostenere. Quattro sguardi impossibili da sostenere. Abbasso gli occhi sulle mie manette e le fisso. Non ho proprio il coraggio di alzarli. Ci riprovo, ma loro sono ancora lì, un metro davanti a me a osservarmi. Riabbasso lo sguardo e faccio dei bei respiri profondi. Forse sono gli ultimi». Lo scenario che lo attende è inquietante. «Siamo molto stretti nella gabbia, è una cosa disumana», si legge a pagina 84. «È qualcosa di drammaticamente intimo e umano il condividere lo stesso sgomento. Voglio dire, questi tre, uno al mio fianco e due di dietro di me, possono essere anche dei killer, ma ci stanno trattando da bestie». E più in là, dopo il trasferimento in un’altra prigione a bordo di un blindato: «Non ci sono letti e in un angolo c’è una tenda sdrucita che credo nasconda un cesso. Per terra c’è un po’ di liquido stagnante e due coperte pulciose sono stese nella zona asciutta. Contro al muro c’è un vecchio telaio di legno che 30 anni fa o 300 detenuti fa doveva essere stato un divano. Attorno al legno è rimasto qualche residuo di tessuto sbrindellato, ma giusto sulla spalliera. Per il resto, neanche una discarica lo accetterebbe».

Non mancano accenni alla musica, altra ancora di salvezza per Romagnoni. Innanzitutto perché il nostro indossa un paio di jeans blu, scarpe Puma rosse con striscia bianca, giacca di pelle nera e maglietta dei Ministri. Poi perché, a un certo punto, su richiesta di uno dei detenuti, intona L’italiano di Toto Cutugno, storpiandola. Ma anche perché verso la fine della sua permanenza in Egitto, dopo un processo che lo vede affiancato da un avvocato-ragazzino dal comportamento ambiguo (stranamente non quello affidatogli dall’ambasciata italiana), gli viene messa in mano una chitarra scordata e chiesto di dimostrare che è un musicista, e lui suona Three Little Birds di Bob Marley. “Don’t worry about a thing, ’cause every little thing is gonna be all right”. Per fortuna è libero. La visita alle piramidi di Cheope è ormai un sogno accantonato. «Non credo tornerei in Egitto, sinceramente, ma in ogni caso essendo stato espulso non potrei andarci nemmeno se volessi». Di più: «Se penso a Regeni mi viene da dire che l’Italia dovrebbe troncare definitivamente ogni relazione con il regime di Al-Sisi: siamo partner commerciali, va bene, ma io non voglio un partner commerciale assassino, e sto dalla parte della verità. Davanti a questioni fondamentali come il mancato rispetto dei diritti umani i fattori economici dovrebbero essere messi in secondo piano. Dopodiché, se il timore di chi ci governa fosse quello di ripercussioni pericolose per il nostro Paese, allora ce lo dicano apertamente. Ma questa ipocrisia, per favore, no».