Non leggo più i giornali da un pezzo e figuriamoci se lo faccio d’estate, ma i lidi italiani sono vuoti, o almeno così mi pare di capire da qualche titolo arraffato in giro. Poi però vedo anche che tutti gridano all’overtourism (Repubblica nei reel scrive “overturism”), e allora chi ha ragione? Mi sembra l’estate del vale tutto, questa soprattutto. Ma più di tutto, mi sembra ripartito un altro trend (sempre per parlare come i nostri quotidiani). Vedo sul mio Instagram, per quel che vale il mio Instagram, che la gente ha ripreso a viaggiare come si faceva nel Novecento, forse non con il Baedeker come Lucy Honeychurch ma comunque con l’itinerario vecchia maniera, le attrazioni da spuntare, le foto ricordo in posa.
Vedo gente che ha ripreso a viaggiare come una volta, ma lanciandosi dritta in quei luoghi che gridano “OVERTOURISM!” tutto maiuscolo, e col mondo che nel frattempo è cambiato, le masse che possono viaggiare che si sono moltiplicate, e soprattutto – parlo a chi in questo momento sta viaggiando in Oriente, come avrebbe detto Lucy Honeychurch – i cinesi che si sono moltiplicati, e sono diventati massa overturistica presso sé stessa.
E vedo un altro trend, che in realtà è sempre lo stesso: chiunque viaggi, in qualunque luogo del mondo e in qualunque modalità, che sia da solo senza nemmeno uno straccio di guida o con Avventure nel Mondo, penserà che a non saper viaggiare son sempre gli altri. Che lui sta facendo esperienza di quel luogo come nessuno, che lui capisce la Cocincina meglio degli autoctoni.
C’è sempre il nostro caro vecchio problema dell’eurocentrismo, di quell’odore di colonialismo che ci piace tanto al mattino, specie se ci svegliamo sul Mekong. Inorridiamo davanti ai turisti stranieri che invadono le nostre città d’arte (pardon), ma invadiamo i luoghi altrui con la sicumera di chi può permettersi tutto, perché capisce tutto. E quando arriviamo in quei luoghi, e ci mettiamo in coda in mezzo a duecentomila cinesi (scusatemi, oggi ho deciso di usare voi come overturisti tipo) per vedere la tal pagoda o il tal laghetto, inorridiamo davanti ai cinesi che si mettono in coda nei luoghi loro. Sempre perché noi sappiamo viaggiare meglio, quei luoghi li capiamo meglio, siamo anzi quasi risentiti perché oggi loro stessi possono viaggiare a casa loro – lasciateci il Sichuan che abbiamo imparato a conoscere nei ristoranti di viale Monza!
E vedo un altro trend ancora, che in realtà è sempre lo stesso anche lui. Ed è la posa della gente che si sente ancora più giusta di quella – che già si sente giustissima – che va dall’altra parte del mondo a lamentarsi dei turismi degli altri. È la posa di chi pensa che la colpa sia tutta di RyanAir, e tutta di Airbnb, e tutta delle cassettine automatiche dove chi affitta case in Provenza o in Galizia lascia le chiavi ai turisti (overturisti) che vorrebbero essere gli unici, in pieno agosto, a passare dalla Provenza o dalla Galizia.
È la posa di quella generazione – grossomodo la mia, gli oggi quarantenni– che con la globalizzazione ci è rimasta sotto. La generazione che ha pensato di poter disporre di tutto, di viaggiare per tutto il mondo (ovviamente meglio di tutte le generazioni venute prima e soprattutto di quelle che sarebbero venute dopo) a poco prezzo, scoprendo posti vergini per poi darli in pasto ai social. La generazione che non accetta la piaga dell’overtourism nel posto in cui vuole andare d’estate, ma che, se ha comprato un bilocalino anche solo a Milano in anni buoni, lo mette in affitto e lo sponsorizza sui suoi profili, contribuendo a overturistificare la città di turno. Ora ci listiamo a lutto perché qualcun altro è andato dopo di noi (ovviamente viaggiando peggio di noi) nei posti che abbiamo scoperto noi. Ora frigniamo perché, nel bar accanto al bilocalino che affittiamo a una coppia di australiani che usano Airbnb come lo usiamo noi, un caffè costa quattro euro e cinquanta.
E ci dimentichiamo che noi quarantenni odierni, i più grandi odiatori attuali dell’overtourism e delle cassettine portachiavi che hanno deturpato le città d’arte, siamo gli stessi che, all’epoca dei primi RyanAir, si sono lanciati in massa a prenotare i voli per Londra a cinquanta centesimi; gli stessi che si sono illusi di poter diventare nomadi digitali (sic) in un mondo a loro immagine e somiglianza, e che ora si lamentano se a Lisbona, al loro crocevia preferito, non trovano più pasteis de nata ma solo avocado toast; gli stessi che, il primo giorno in cui è apparso Airbnb, si sono fiondati a prenotare deliziose mansardine a Château d’Eau (che oggi non è più il quartierino sincero di quando ci andavamo noi!) sentendosi piccoli Cristoforo Colombo con il mondo in mano. Ora quel mondo ce l’hanno bucato quelli come noi: chi l’avrebbe mai detto, eh?
Siamo tutti teneramente, pateticamente colpevoli. Io che posto su Instagram le foto della mia cana su spiagge non geolocalizzate, confidando nel fatto che resteranno per sempre inespugnate dagli overturisti (qui dove sono adesso i cinesi non dovrebbero arrivare: almeno non nei prossimi cinque-sei anni). Quello che nel 2025 va per la prima volta, che so, a Barcellona e, in dodici storie di Instagram, ci spiega Barcellona. Quell’altro che condivide link del tipo “Ma quali viaggi: andate a scoprire le meraviglie di Dergano”, ma mai si sognerebbe di non andare, per le sue due settimane di ferie, nel posto giusto, che solo lui conosce e dove solo lui sa come bisogna comportarsi. E quell’altro ancora che scrive sui giornali (ma non so chi sia: i giornali non li leggo più) e che un amico condivideva l’altro giorno su Instagram. Si lamentava, quel tizio, del fatto che in chissà quale angolo di montagna ci sono code in ogni rifugio, folle su ogni sentiero, orde in ogni konditorei; e l’amico commentava come a dirgli: “E se il turista di troppo fossi proprio tu?”. E invece no, lui, noi, nessuno ha mai colpa: se solo gli altri imparassero a viaggiare, perdio!
