È ancora pervasiva la credenza che l’HIV colpisca solo o prevalentemente uomini gay, retaggio del celebre titolo dell’articolo pubblicato il 3 Luglio 1981 dal New York Times: Rare cancer seen in 41 homosexuals (“Rara forma di cancro osservata in 41 omosessuali”). Non tarda a consolidarsi l’idea che quello che sarebbe stato riconosciuto in seguito come il virus che causa l’AIDS bersagliasse solo gli (uomini) omosessuali.
Sei anni e mezzo dopo Cosmopolitan pubblica un articolo ben peggiore, intitolato Reassuring News About AIDS: A Doctor Tells Why You May Not Be At Risk (“Notizie rassicuranti sull’AIDS: un dottore spiega perché potresti essere al sicuro”) dove quel you voleva dire “tu, donna cisgender”, il target della rivista. In cui lo psichiatra Robert Emery Gould, quindi non un infettivologo, dichiara che le donne (cis) non contraggono quasi mai l’AIDS tramite rapporti penetrativi pene-vagina. Vi aggiunge l’impossibilità della trasmissione del virus con la posizione del missionario e che l’AIDS è molto diffuso in Africa fra le donne perché in quei Paesi gli uomini le prendono con modi brutali che per la nostra società sono assimilabili allo stupro.
Nonostante le smentite di figure mediche come quella dell’immunologo Anthony Fauci, che dichiara l’assenza di prove scientifiche a sostegno di quelle tesi oltretutto razziste, né Gould né Cosmopolitan rinnegano. È così che un gruppo di donne del collettivo ACT UP (AIDS Coalition to Unleash Power) organizza una protesta sotto la sede della società-madre del magazine, destando molto clamore e attenzione mediatica. Viene quindi prodotto il cortometraggio Doctors, Liars, and Women: AIDS Activists Say No To Cosmo per raccontare tutta la vicenda. Solo allora Cosmopolitan ritratta in modo parziale.
Nel corso dei decenni la comunità LGBTQIA+ si è fatta carico del lavoro di cura, divulgazione e sensibilizzazione su HIV e AIDS ma questo ha per diversi aspetti rafforzato lo stigma e la credenza che la popolazione eterosessuale sia meno a rischio: niente di meno vero. Quelli che sono a rischio sono alcuni comportamenti.
Comportamenti a rischio: facciamo chiarezza
Il sesso penetrativo vaginale e anale non protetto è a rischio. Ci si può proteggere con metodi barriera come preservativi per pene o vagina o assumendo correttamente la PrEP (Profilassi pre Esposizione da HIV, che impedisce al virus di replicarsi nell’organismo).
I rapporti orogenitali anch’essi non protetti da preservativo od oral dam non costituiscono un rischio significativo per HIV, a meno che non ci siano ferite in bocca o perdite consistenti di sangue.
Scambiare materiale (aghi/siringhe) per l’uso di sostanze per via iniettiva è molto rischioso.
La condivisione di sex toy, praticare anilingus (rimming) e pissing non sono considerati una minaccia se non per altre infezioni sessualmente trasmissibili, che sono comunque curabili o prevenibili. L’HIV si trasmette solo con lo scambio di sangue, sperma e secrezioni vaginali di persone che non sanno di essere positive. Conoscere il proprio stato sierologico è fondamentale per interrompere la catena dei contagi.
Il COA (Centro Operativo AIDS) riporta che nel 2023 le persone che hanno scoperto di essere HIV positive in quell’anno sono maschi nel 76% dei casi. L’età media è 41 anni, con l’incidenza più alta riscontrata nella fascia di età 30/39 anni. In questo gruppo l’impatto nei maschi cis è 3 volte superiore a quella delle femmine cis. Sempre nel 2023 la maggior parte delle nuove diagnosi sono attribuibili a trasmissione per via sessuale e costituiscono l’86,3% di tutte le segnalazioni; in particolare le persone eterosessuali costituiscono il 47,6%.
Basta un solo rapporto a rischio con una persona che non sa di avere l’HIV per contrarlo e diffonderlo. Conoscere i modi con cui proteggersi e testarsi periodicamente a seconda dei propri comportamenti è ottimale per affrontare l’infezione tempestivamente.
Condizioni ed esperienze
«Dal mio punto di vista l’orientamento sessuale e l’etnia (che porta alla razializzazione) sono condizioni che non si scelgono. HIV e migrazione sono invece esperienze e in quanto tali potremmo trovarci a viverle prima o poi», racconta Carlotta Del Giudice, operatrice sociale e CSE (Comprehensive Sexuality Educator), nonché formatrice per ANLAIDS Torino.
Del Giudice è una delle contributor della ricerca Is PrEP knowledge a privilege? The unequal access to PrEP information for cis and trans women and gender non-conforming individuals at HIV testing sites (“La conoscenza della PrEP è un privilegio? La disparità di accesso alle informazioni sulla PrEP per le donne cis e trans e per le persone gender non-conforming nei siti di test HIV”) realizzata assieme alla sex worker e attivista Bianca Botros Abd El Malek, all’antropologo medico Marco Barracchia, al ricercatore e attivista Rocco Pignata e all’attivista e divulgatore per la salute sessuale, nonché co-fondatore del Brescia Check Point, Marco Stizioli. Proprio Brescia Check Point e ANLAIDS Torino hanno supportato questo lavoro recentemente presentato alla diciassettesima edizione di ICAR (Italian Conference on AIDS and Antiviral Research), la conferenza italiana su HIV e Ricerca Antivirale.
Come il virus, anche i metodi di prevenzione sono più conosciuti e utilizzati dalla popolazione maschile omosessuale o che comunque ha rapporti con altri maschi (se avete già sentito o letto la sigla MxM sapete di che cosa parlo), che – essendo stata bersaglio di accuse e stigma come portatrice del virus, dall’altra parte è stata anche quella più studiata e medicalizzata.
È possibile che la prevenzione, così come la terapia, debba essere un privilegio? La risposta è retorica, ma la realtà è diversa.
La prevenzione non deve essere un privilegio
Secondo PrIDE (Prevention ICONA Dedicated Ensemble), che – come recita il sito – «è una coorte di studio nazionale nata per osservare da vicino, su larga scala, l’esperienza reale delle persone che utilizzano la profilassi pre-esposizione (PrEP) come strumento per la prevenzione dell’HIV in Italia» nel 2024 16.220 persone hanno iniziato la PrEP e di queste il 98,8% sono persone la cui assegnazione di genere alla nascita è stata maschile. Di queste, il 96,91% sono maschi cisgender che per l’89,27% si identificano come omosessuali.
«La ricerca che abbiamo condotto esplora le potenziali barriere alla consapevolezza della PrEP e ai test per l’HIV per donne cisgender, persone trans e persone il cui genere è considerato non conforme ma che hanno la cervice uterina», riferisce Del Giudice. «L’ipotesi iniziale era che questi gruppi non fossero adeguatamente informati sulla PrEP al momento in cui hanno fatto dei test per l’HIV».
Nella fase di analisi dei dati raccolti il gruppo ha riscontrato che l’ipotesi era fondata, infatti tra le persone che si sono sottoposte a test per l’HIV negli ultimi due anni, il 77,2% non era stato debitamente informato dell’esistenza della PrEP nei centri dove ha effettuato l’esame. Sono il 20% delle persone che si sono testate nei reparti di Malattie Infettive/HIV e centri IST (Infezioni Sessualmente Trasmissibili), il 55% quelle che si sono rivolte ai check point, che si sono dimostrati leggermente più efficaci, mentre le associazioni per la lotta all’HIV hanno fornito informazioni solo al 29%.
«I numeri parlano chiaro» – afferma l’operatrice – «la scarsa informazione è uno dei fattori che impedisce a queste popolazioni di iniziare la PrEP (32,9%). Sicuramente c’è anche una bassa percezione del rischio (34,8%) dovuto però anche alla sessuofobia che impatta su di loro. Ricordiamoci che le difficoltà di accesso alla conoscenza derivano dal fatto che, per esempio, le donne cis che dichiarano apertamente di avere piacere a fare sesso, così come quelle che affermano di fare certe pratiche, sono considerate inaffidabili e soggette a stigma puttanofobico. Per loro, ancora oggi è dunque più complesso acquisire informazioni circa la salute sessuale».
Poi ci sono anche le barriere socio economiche (33,5%) e il dubbio di non essere persone idonee alla PrEP (28,6%). Solo 12 tra quelle che hanno partecipato al questionario seguono la profilassi.
«Come si pretende di arrivare all’obiettivo del 95-95-95 entro il 2030 se neppure i luoghi dedicati a fare monitoraggio e informazione assumono la responsabilità di mettere al corrente la popolazione che si testa?», si domanda Carlotta Del Giudice, riferendosi al proposito di UNAIDS di diagnosticare l’infezione almeno al 95% delle persone che vivono con HIV, fare accedere alla terapia almeno il 95% delle persone diagnosticate e raggiungere lo status di “undetectable” (non rilevabile) per almeno il 95% di quelle in terapia.
Il diritto alla salute è di tutti
Marco Stizioli, noto sui social come Bastian, aggiunge: «Come comunità queer e associazioni HIV abbiamo maturato una profonda conoscenza del virus e delle infezioni sessualmente trasmissibili. Ne parliamo informalmente in modo accattivante e le nostre iniziative sono in larga parte community-based e fra pari (peer). Abbiamo il dovere di sfruttare queste competenze per rivolgerci anche a persone che non fanno parte della nostra comunità, come per esempio quelle etero, che – come altre – spesso non usano il preservativo e possono contrarre infezioni. A differenza della comunità queer, le persone etero non ne hanno una di riferimento così informata su queste tematiche e se ci sono dei dubbi, spesso non sanno a chi rivolgersi».
Negli ambienti istituzionali accade di non trovare interlocutori con cui non si può intavolare un dialogo sereno, schietto e non giudicante. «Secondo me è ora di aprirci e rivolgere queste competenze a una popolazione più variegata», conclude Stizioli.
Breve dizionario dell’utente consapevole
HIV: Virus dell’Immunodeficienza Umana. Può portare all’insorgenza dell’AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita). HIV e AIDS non sono sinonimi. HIV è il virus che, se non trattato tempestivamente, può portare all’AIDS. Una diagnosi tardiva dell’HIV aumenta il rischio di AIDS, per questo è importantissimo fare test periodici, in base ai propri comportamenti.
Persona che vive con HIV: l’espressione sieropositivo a lungo utilizzata per riferirsi a persone con HIV è inesatta, perché non dice a cosa si è sierologicamente positivi ed è stata considerata stigmatizzante. Considerati i passi avanti della scienza e all’allungamento delle prospettive e della qualità della vita delle persone che hanno l’HIV, è stata adottata questa formula neutra. Alcuni studi recenti si stanno concentrando sulla vita delle persone con HIV che invecchiano.
U=U: significa “Undetectable=Untransmittable” (Non Rilevabile=Non Trasmissibile). Una persona con HIV che segue regolarmente e correttamente la terapia da almeno 6 mesi ha una carica virale nel sangue pari a zero e quindi non può trasmettere il virus. Si tratta di un dato scientifico comprovato. Gli studi rilevano che una persona in terapia che vive con HIV ha una qualità della vita pressoché simile a una che non ha il virus.
PrEP: è la Profilassi pre Esposizione (da HIV) che consente di non contrarre il virus qualora si abbiano contatti a rischio. Protegge esclusivamente da un eventuale contagio da HIV e può essere assunta per via orale (compresse) o per via iniettiva. La PrEP prevede l’adesione a un protocollo per monitorare periodicamente il proprio stato di salute sierologico. Questo sito è un’ottima risorsa per informarsi e sapere dove e come è possibile entrare a farne parte.
Centri IST: si tratta di centri del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) dedicati alle infezioni sessualmente trasmissibili. Vengono ancora diffusamente chiamati Centri MTS, ossia Malattie Trasmissibili Sessualmente.
Check Point: sono centri community based e/o di peer che forniscono informazioni e servizi mirati. Molto diffusi in Europa, stanno prendendo sempre più piede anche in Italia. Si occupano prevalentemente di benessere e salute sessuale, con focus su HIV e la sua prevenzione.
Community-based: letteralmente significa “basato sulla comunità” e, nel caso dei check point, per esempio, si tratta di servizi gestiti dalla comunità stessa a cui ci si rivolge.
Peer to peer: da pari a pari. Comunicazione e/o servizi orizzontali, tra persone che fanno parte della stessa comunità o che aderiscono a valori comuni.
Cis(gender): persona che si identifica nel genere assegnato alla nascita.
Trans(gender): persona che si identifica in un genere diverso da quello assegnato alla nascita.
Gender non conforming: una persona il cui genere non è conforme, ossia non è assimilabile a uno preciso né tantomeno binario (femminile/maschile).
MxM (Masc for Masc): si tratta di uomini cisgender che fanno sesso con altri uomini. Sono diversi dagli uomini gay, perché potrebbero essere pansessuali o etero che hanno rapporti anche con persone del loro stesso sesso.