Grunge, i migliori album per Mark Arm dei Mudhoney | Rolling Stone Italia
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I migliori album ‘grungy’ secondo Mark Arm dei Mudhoney

Il cantante sceglie 10 dischi "crudi e sporchi" che meglio incarnano l'estetica rock in seguito diventata sinonimo del sound di Seattle

I migliori album ‘grungy’ secondo Mark Arm dei Mudhoney

Mark Arm dei Mudhoney nel 2018

Foto Tim Mosenfelder/Getty Images

In qualità di frontman dei Green River, Mark Arm ha cantato nel primo album in assoluto che l’etichetta Sub Pop ha presentato come “grunge“. Quando la band pubblicò l’EP Dry as a Bone, nel 1987, l’etichetta descrisse il suono come un “grunge ultra-rilassato che ha distrutto i valori morali di una generazione”. All’epoca era solo un termine come un altro per descrivere la qualità della musica, più che un genere preciso: «All’inizio degli anni ottanta era un aggettivo, tipo “Questa roba è davvero grungy, ‘ruvida’”, simile a “gnarly”ostico», dice Arm. «Indicava una cosa grezza, incasinata».

Nel giro di un paio d’anni, però, Arm si ritrovò a essere il frontman dei Mudhoney, e fece parte di quello che i media descrissero come il movimento grunge – composto da band dell’area di Seattle che suonavano un ibrido tra punk e metal, senza tutta la tipica autoindulgenza da rockstar. «Quando ero nei Green River non si era ancora nel pieno del “Grande G”, tipo “ecco, le band grunge sono queste”», dice Arm. «Sono abbastanza sicuro che i Pearl Jam, per esempio, si chiedessero perché la loro musica fosse definita “grunge”», dice, «perché di certo non è ruvida come la intendevamo noi qualche anno prima». Per quanto lo riguarda, il fatto che i Mudhoney fossero etichettati come grunge non lo disturbò troppo – «ma nella mia testa era strano essere messi nello stesso mucchio insieme a Candlebox».

Dato che Rolling Stone ha pubblicato di recente la classifica dei 50 migliori album grunge, e che Arm si ritrova in cinque di essi – tre con i Green River, tra cui la compilation Deep Six, e due con i Mudhoney – gli abbiamo chiesto di scegliere i suoi album grunge preferiti. Lui ha risposto dicendo che si rifiuta di usare quel termine, scegliendo invece la definizione orginiale del termine a lui più familiare. Ecco quindi i migliori album “grungy” secondo Mark Arm, in ordine cronologico. 

 

10. “Boom” The Sonics (1966)

Esisteva roba grungy anche prima dei Sonics, ma ho scelto Boom perché ha dentro due canzoni che hanno in un certo senso indicato la strada futura. Una è He’s Waitin’, che ha un riff proto-metal – e la persona che sta aspettando è Satana. E poi Cinderella, per me, è semplicemente una canzone punk.

I Sonics venivano da Washington, e a un certo punto ci fu un’iniziativa per far diventare Louie Louie l’inno dello Stato. Larry Parypa (chitarrista dei Sonics, ndr) suonava in una cover band chiamata Charlie and the Tunas, che fece uscire in tutta fretta una versione di Louie Louie, e la versione dei Sonics è su Boom. Quella versione della canzone è la più dark. Anche i Motorhead l’hanno registrata, e pure i Black Flag, ma quella dei Sonics li batte tutti.

Ho scoperto questo album intorno al 1980. C’era un magazine che si chiamava Trouser Press. Se la memoria non mi tradisce, Mick Farren aveva scritto dei due primi album, che erano appena stati ripubblicati. Trovavo divertente il fatto di avere saputo dell’esistenza di una band che veniva da dietro casa mia grazie a un tizio inglese.

9. “Fun House” The Stooges (1970)

Amo tutti i dischi degli Stooges, ma Fun House è decisamente il più crudo. Hanno registrato la voce facendola passare attraverso un altoparlante, per aggiungere una grana extra. Mi piace Dirt perché è come se bruciasse lentamente. Ha una delle sezioni ritmiche – basso e batteria – migliori di sempre. È semplice ma innovativa, tutto ruota intorno al “feeling”. Poi, sopra tutto questo, la chitarra di Ron Asheton e la voce di Iggy Pop giocano tra di loro. È straordinaria. Ma c’è anche la frenetica Down on the Street, che è quasi metal, e poi Loose e T.V. Eye. che sono più punk rock. Il lato B si trasforma nella fusione di jazz e rock che avrebbe dovuto essere.

8. “Population II” Randy Holden (1970)

Randy Holden è stato probabilmente in altre band all’inizio degli anni sessanta, prima di questo disco. Era negli Other Half, che avevano fatto Mr. Pharmacist, e aveva suonato su un lato del terzo album dei Blue Cheer. Credo che con Population II volesse prendere una posizione, così registrò una delle canzoni che aveva fatto con i Blue Cheer, Fruit & Icebergs. Ha un assolo di chitarra incredibile, ululante, prolungato, ed è una registrazione piuttosto rozza. Credo che la band sia formata solo da lui o il batterista. Tutto ruota intorno alla chitarra.

Population II è un disco di cui ho letto all’inizio degli anni ottanta, ma che non ho mai trovato. All’inizio degli anni novanta eravamo in tour quando l’ho visto in un negozio di dischi di Vienna e ho pensato “Merda, eccolo, l’ho cercato per un sacco di tempo”. Certe cose erano più difficili da recuperare, in quei giorni.

7. “Doremi Fasol Latido” Hawkwind (1972)

È difficile scegliere uno tra i dischi degli Hawkwind, ma questo potrebbe essere quello giusto perché è registrato in maniera più grezza e le canzoni sono grandiose. È molto psichedelico. Sembra che venga suonato dentro il motore di un aereo, o una cosa del genere. Brainstorm è un classico, e mi piacciono un sacco anche The Time We Left This World Today, The Watcher e Space Is Deep. Soltanto il concetto che lo spazio sia profondo è una figata pazzesca.

Non ho mai visto gli Hawkwind suonare dal vivo, ma ho visto i Nik Turner’s Hawkwind, che avevano più membri degli Hawkwind vecchi od originali degli Hawkwind stessi all’epoca.

6. “Why?” Discharge (1981)

I Discharge fecero un paio di singoli prima di Why?, e poi se ne uscirono con questo Ep da 12″ che ha un suono follemente ruvido. Inizia con questo accordo di chitarra in Visions of War, e tutto d’un tratto c’è questa esplosione, un suono fortissimo e potente. La prima volta ho pensato: “Che cazzo succede?”. Poi realizzi che si tratta del basso che inizia il suo riff. Cristo santo! Mi piace tutta la vibrazione che emana il pezzo. Mi piace la title track, e poi i titoli di Mania for Conquest e Maimed and Slaughtered. È come un bulldozzer che ti punta per spappolarti. 

La prima volta che l’ho sentito, ero abituato al suono di band come Dead Kennedys, Circle Jerks e Black Flag. Ma quando ho scoperto i Discharge, ho pensato “merda, questi non so nemmeno come etichettarli”. Erano così crudi e rumorosi, che è già abbastanza. Tutte le canzoni durano meno di due minuti e parlano di una guerra nucleare. In seguito, quando fecero Hear Nothing, See Nothing, Say Nothing, sembrava quasi musique concrète – era un’unica canzone, con solo qualche pausa.

5. “Scavenger of Death / (Learn to) Hate in the 80’s” Bobby Soxx (1981)

La band principale di Bobby Soxx erano gli Stickmen With Rayguns. Aveva un altro paio di gruppi, ma per qualche motivo aveva fatto uscire questo singolo solo come Bobby Soxx. (Learn to) Hate in the 80’s era un pezzo punk bello diretto e cattivo. E Scavenger of Death era questa nenia in minore pesante, pressante, con un cantato cattivissimo. Era fantastica. 

Lo so, questa dovrebbe essere una lista di album. Ma penso che Scavenger of Death sia una figata con il suo andamento lento, che inizia su batteria e campanaccio. Quando ho riascoltato l’album, ho scoperto che Soxx è morto qualche anno fa, e che non era necessariamente una bella persona. 

4. “Apocalyptic Raids” Hellhammer (1984)

Mi ricordo di quando è uscito, Apocalyptic Raids era un 12″ con quattro canzoni. Quando lo vedi pensi che sia un 45 giri, no? Invece era un 33 che suonava alla grande a entrambe le velocità.

La mia canzone preferita qui, quella che credo punti verso il grunge, è Triumph of Death. È un pezzo lungo, lento, inesorabile, e inizia con la band che cerca di tirar fuori note diverse dal feedback. A me ricorda una nave che cerca di restare dritta in mezzo a onde gigantesche. È stupenda. È anche un disco divertente. E in copertina c’è una specie di capra con un pene stranissimo. È uscito appena prima che entrasse in vigore il Parental Advisory. 

3. “Tales of Terror” Tales of Terror (1984)

Vederli dal vivo e prendere il loro disco è stato per me una grossa influenza. Erano piuttosto scazzati, e il disco suona come se fossero strafatti proprio mentre lo stavano registrando. Ma tutto torna. Le canzoni danno l’impressione di poter andare alla deriva in ogni momento senza trovare una fine. Ma allo stesso tempo sembra che non sia davvero un problema, perché si tratta di ottimi musicisti; sono soltanto fatti come bisce. 

Il disco si apre con Hound Dog, ma di solito io mando avanti. Le altre canzoni sono migliori. Deathryder è una bomba, Romance è un gran pezzo, e ancora Jim, Chamber of Horrors, Possession – tutte figate. 

Quando arrivarono in città, nessuno sapeva chi fossero. Erano solo una band punk in tour. Andai a vederli, arrivarono e pensai “porca merda. Cos’è sta roba?”. Il cantante faceva i salti mortali all’indietro. Alla fine del concerto erano tutti avvolti dai cavi. Ma non sembrava una cosa artificiosa. Era il caos, ma controllato. Erano semplicemente pazzi. 

La terza volta che vennero in città alcuni brutti ceffi che andavano in skateboard organizzarono un party, e loro passarono il tempo a strafarsi di brutto. Ricordo di avere osservato il batterista che a fatica attraversava il palco e si metteva dietro alla batteria. Tra la prima e la seconda canzone il cantante si mise sdraiato a faccia in giù e rimase collassato per il resto dello show. Ho pensato: “Ok, non è pazzesco come il loro primo concerto, ma di sicuro è qualcosa”. 

2. “Down on the Farm” Cosmic Psychos (1985)

Questo è il loro primo EP: contiene cinque canzoni, e tre di queste superano i sei minuti. Il grunge non è famoso per la sua concisione. È un altro caso di una band con un basso super distorto che tiene insieme tutto. Il chitarrista che ha registrato i primi due dischi è straordinario, e ha uno stile wah-wah pazzesco. Dopo questo album, le loro canzoni si fecero più brevi, e si contennero un po’ di più. Prima di incontrare questi tizi pensavo che fossero spaventosi, dei tizi strambi che facevano musica folle. Invece sono dei patatoni.

1. “Fuzz” Fuzz (2013)

I Fuzz sono l’unica cosa recente di questa lista. Il loro secondo disco è una specie di album doppio, è davvero lungo. Quindi ho scelto il primo, penso che sia più a fuoco. Mi sembra che questa band abbia assimilato molte delle cose di cui ho parlato in precedenza. Conoscono sicuramente i Blue Cheer, e quindi anche Randy Holden, Hawkwind e gente del genere. La chitarra ha un suono pazzesco. 

Ho avuto una copia perché Larry Hardy, che dirige la In the Red Records, me ne ha mandata una dicendo “Penso che ti piacerebbero”. E aveva ragione. Poi abbiamo fatto un breve tour della West Coast con loro, e li ho trovati fantastici. Guardarli all’opera fa venire la smania di suonare anche a te. 

 

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