CCCP vs C.S.I.: chi ha fatto i dischi migliori? | Rolling Stone Italia
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CCCP vs C.S.I.: chi ha fatto i dischi migliori?

Da una parte il punk filosovietico idealista ed estremo, dall’altra il rock apocalittico e mistico. E insomma, è meglio l’adolescenza o la maturità di Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti?

CCCP vs C.S.I.: chi ha fatto i dischi migliori?

I C.S.I.

Insomma: considerando i dischi in cui di Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni hanno lavorato insieme, erano meglio i CCCP o i C.S.I.? Tenendo da parte i PGR, decisamente un’incarnazione minore della famiglia e comunque priva del chitarrista, il dubbio su quale band sia stata migliore ha direttamente a che fare col modo di intendere la musica stessa, se non proprio è una questione di cuore.

Da una parte, infatti, c’è il punk filosovietico dei CCCP: a Berlino, giovanile e idealista, che a metà degli ’80 ha inventato da zero la musica indipendente italiana fornendo estetica e idee per gli anni a venire, ma che nella sua “purezza” non sempre ha avuto risultati all’altezza. Dall’altra, invece, un vero Consorzio in cui Ferretti e Zamboni non sono i soli galli nel pollaio, ma vengono affiancati da Gianni Maroccolo al basso, Giorgio Canali alla chitarra, Ginevra Di Marco ai cori e Francesco Magnelli alle tastiere – neanche fosse un dream team dell’alternative dei ’90. E qui, però, tutto è più ponderato e corale, d’autore, multiforme, meno estremo e primordiale di quando i due giravano le Feste de “l’Unità” con una drum machine e performer come Annarella e Fatur.

Chiaro: in entrambi i gruppi troviamo album fra i più importanti della nostra musica; ma se dovessimo classificarli come andrebbe? Meglio Ferretti e Zamboni da soli o coi C.S.I.? Meglio maturità o adolescenza?

7. “Canzoni preghiere danze del II millennio – Sezione Europa” CCCP (1989)

Se c’è una specie di pecora nera della famiglia, eccola: Canzoni preghiere danze del II millennio – Sezione Europa è il terzo album dei CCCP, il secondo per una major (la Virgin) con tanto di interviste promozionali su Topolino (!), ma è anche la fine vera e propria della creatura di Ferretti e Zamboni. L’impianto scarno degli esordi – con chitarra tagliente, voce impostata e assente e drum machine – ha infatti esaurito la furia punk e il culto per l’Unione Sovietica, e si appiattisce su sintetizzatori e morbidi suoni 80s, a tratti disorientanti. E se And the Radio Plays è un gioiello e Fedeli alla lira? una provocazione riuscita, il resto latita in ispirazione e personalità, come la preghiera pop Palestina 15/11/1988 / Madre o l’ombra di Conviene. E poi: poca critica sociale, ancor meno politica, zero misticismo e troppi, inutili intermezzi. L’ultimo in particolare, quella Reclame con Annarella che recita i credits su un pavimento di synth, può essere interpretato solo come uno scherzo. Venuto male, però.

6. “Tabula rasa elettrificata” C.S.I. (1997)

Tabula rasa elettrificata ha un paio di primati: all’uscita spodestò gli Oasis del brit pop dalla vetta della classifica italiana, un fatto storico per una band indipendente come loro, di cui le radio a malapena annoveravano l’esistenza; e poi è il primo, e diciamo anche unico, lavoro di famiglia rock in senso stretto. I due aspetti sono collegati: lo scopo era realizzare un disco figlio dei ’90, ergo con le chitarre in prima linea, una forma-canzone abbastanza tradizionale e la produzione massiccia, “elettrificata”, e ciò ne agevolerà – anche inconsapevolmente, certo – il successo. E allora perché così in basso? Perché al di là dello spirito “apocalittico” (cit. Franco Battiato) dell’album, al tempo stesso vittima e carnefice del suo destino, l’impressione è che non tutto il polverone che alza sia giustificato. Per dire: Unità di produzione è un classico alt rock, ma M’importa ‘na sega è più un inno al pogo che un pezzo realmente ispirato, e non è la solo, in un disco molto “fisico” e troppo poco spirituale per gli standard del gruppo. Per citare un’altra canzone di questo lp, il vortice di Forma e sostanza, meglio dire così: molta “forma”, non sempre “sostanza”.

5. “Socialismo e barbarie” CCCP (1987)

L’esordio su major dei CCCP non perde di vista il punk filosovietico, ma lascia in disparte la provincia per aprire i confini a oriente, raccogliendo i cocci di un esordio devastante. Chiaro: il complesso di inferiorità con Affinità-divergenze non può essere nascosto; ma il risultato – al di là del suo “prendersi sul serio” – è comunque suggestivo, malinconico, ancora giovanile ed esistenzialista, coi vertici nei classici Tu menti e Per me lo so, a cui l’alternative italiano deve una decina di anni di creatività. Per il resto, la voce di Ferretti, sempre spettrale e magmatica, tocca vette epiche nell’A ja ljublju SSSR sovietico, trasformandolo in una cavalcata quasi glam rock. Il resto lo fanno una palette varia di suggestioni comunque ben equilibrate da Zamboni, dal cavallo di ritorno di Rozzemilia al valzer postatomico di Guerra e pace, passando per l’Asia di Hong Kong, l’oriente di Radio Kabul e i vagiti religiosi di Libera me domine. Il tutto, ovviamente, con l’atteggiamento punk delle origini come minimo comun denominatore.

4. “Epica Etica Etnica Pathos” CCCP (1990)

Se Canzoni preghiere danze del II millennio – Sezione Europa ha segnato la fine dei CCCP, Epica Etica Etnica Pathos – nonostante esca ancora a loro nome – è l’inizio ufficioso dei C.S.I. Lo sappiamo: dopo un tour in Unione Sovietica coi Litfiba, Ferretti e Zamboni rifondano il loro gruppo chiamando proprio i fuoriusciti dalla band fiorentina, ovvero De Palma alla batteria e Maroccolo al basso, oltre a Canali e Magnelli. Quindi la squadra si chiude in un casale dove scrive e registra questo disco, staccando il passato con un colpo netto. I membri aggiunti, infatti, portano il progetto su una dimensione nuova, dal punk primitivo verso un rock ricco di strumenti, con suggestioni world, ma senza perdere la verve apocalittica e l’idealismo – che comunque è agli sgoccioli. E poi la solita serie di canzoni da raccontare ai nipoti: Aghia Sophia e il “tedio domenicale”; la spettrale Amandoti, che nelle mani di Gianna Nannini diventerà un successo nazionalpopolare; le giocate in anticipo sui C.S.I. di Maciste contro tutti e Depressione caspica; e il classico Annarella, epitaffio di un gruppo che con questo lavoro si prepara a entrare nell’età adulta.

3. “Ko de mondo” C.S.I. (1994)

Già dall’attacco marziale di A tratti si capisce che inizia un’altra storia: quella di Ferretti e Zamboni che si lasciano alle spalle i CCCP, l’impossibilità di bissare Affinità-divergenze e rimanere generazionali (“Non fare di me un idolo / mi brucerò”), e danno vita ai C.S.I. allargando ufficialmente la famiglia a gente del calibro di Maroccolo e Canali. E la forma cambia: Ko de mondo è rock alternativo d’autore, adulto, per la prima volta “suonato” e rigorosamente composto di getto in quaranta giorni di convivenza in Bretagna, ma con una consapevolezza e un affiatamento più marcati di quelli che animavano Epica Etica Etnica Pathos. Non c’è spazio per ideali, provincia e comunismo: cresce lo sguardo critico sull’Occidente (Memorie di una testa tagliata, sulle guerre jugoslave), esplodono misticismo (il carillon Del mondo) e polemiche (la cavalcata Celluloide), ritorna la terra (la world music di Fuochi nella notte di San Giovanni). Ferretti non è più una mitragliatrice accesa, ma quasi uno sciamano che prova a poggiare leggero sui pezzi insieme ai cori di Ginevra Di Marco, mentre la chitarra di Zamboni ora ha un supporto ritmico impressionante in Maroccolo. Ed ecco che le coordinate dell’alternative italiano sono stabilite per altri dieci anni.

2. “Linea gotica” C.S.I. (1996)

Cosa succede quanto metti un dream team come i C.S.I. al lavoro su un concept album? Questo, che ne scrivono uno talmente profondo, sensibile e magmatico da nobilitare la musica italiana. Linea gotica è disco maturo per eccellenza, a tratti persino austero, sociale prima che politico e con uno sguardo critico e decadente, con a fuoco la Resistenza italiana della Seconda guerra mondiale e quella di Sarajevo dell’epoca. Si passa dall’antifascismo come fede (l’epica title track: una delle canzoni più belle mai scritte sui partigiani) alla Storia (Millenni) e al fallimento, tutto, dell’Occidente capitalista, che brucia nelle Cupe vampe di una Bosnia distrutta. La voce di Ferretti non è mai stata tanto intensa e posata al tempo stesso (Irata), e fra mille rantoli guida la cover più riuscita di sempre di E ti vengo a cercare, con tanto di Battiato come ospite a sorpresa e delle atmosfere scure, come quelle che la band riesce a costruire in un’opera di epiche litanie come questa. Ora: perché davanti a Ko de mondo? Perché l’esordio del Consorzio era comunque un disco “urgente”, che fotografava un momento preciso; qui, al contrario, siamo davanti a un lavoro ponderato, scritto per rimanere. E che rimane, eccome.

1. “1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età” CCCP (1986)

Giuro che ho provato ad analizzare lucidamente i fatti, per arrivare a una specie di plot twist che non desse ragione alla vulgata per cui Affinità-divergenze è il loro miglior disco in assoluto: non c’è stato verso. La verità è che è un lavoro che sembra uscito da un’altra dimensione, passato per chissà qualche varco spazio-temporale, mescolando punk filosovietico, industrial rock, canzone italiana, persino liscio. Perché questo è un viaggio da Modena, Carpi, Reggio verso Berlino, dal comunismo emiliano al Muro, dalla provincia all’Est, con un’estetica decadente e unica, italiana e internazionale, rigorosamente senza riferimenti pregressi. E dobbiamo parlare davvero della sua importanza? Di fatto, è la bibbia della musica indipendente italiana, per temi, linguaggio, suoni. Ma forse è meglio passarne in rassegna i classici: l’unico, vero inno nichilista e generazionale dei CCCP (Io sto bene), il cut-up di Mi ami?, il manifesto esistenzialista di Morire, la stessa Allarme che è quasi una No Surprises italiana (con dieci anni di anticipo). O forse, come dice lo stesso Giovanni, è già tutto negli otto minuti di Emilia paranoica, geografia della vita più che di un territorio. “Aspetto un’emozione sempre più indefinibile”. Ah, se Ferretti e Zamboni non si fossero incontrati quel giorno a Berlino, chissà che ne sarebbe stato di noi.

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