'The Rain', dalla Danimarca con terrore | Rolling Stone Italia
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‘The Rain’, dalla Danimarca con terrore

La prima serie danese originale Netflix racconta le conseguenze di un virus letale portato dall’acqua, che ha quasi sterminato gli abitanti della Scandinavia: «La malinconia di queste terre riscuote successo» spiegano i creatori e i protagonisti.

‘The Rain’, dalla Danimarca con terrore

“Chi sarai quanto arriverà la pioggia?”. The Rain è la prima serie danese originale Netflix: l’attenzione per storie inedite da territori nuovi è un vero e proprio mantra per la piattaforma, a partire dal successone de La Casa di Carta per proseguire nel prossimo anno con ben 10 novità assolute, tutte provenienti dall’Europa.

«Abbiamo raccontato quello che conosciamo in Danimarca: la pioggia» scherza uno dei creatori dello show, Christian Potalivo. «Il contesto scandinavo è molto interessante a livello globale, quando ci sono mezzi limitati bisogna scegliere una strada. E abbiamo capito che tra The Killing, The Bridge e gli altri, la malinconia di queste terre riscuote successo» continua il collega Jannik Tai Mosholt.

Sei anni dopo che un virus letale portato dall’acqua ha quasi sterminato gli abitanti della Scandinavia, due fratelli, Simone e Rasmus, abbandonano la sicurezza del loro bunker per approdare in un mondo dove la civiltà è stata annientata. E si uniscono a un gruppo di giovani sopravvissuti per intraprendere un pericoloso viaggio attraverso un territorio abbandonato, alla ricerca di segni di vita: «Io ho otto fratelli» ha esordito Alba August, che interpreta la sorella maggiore Simone ed è figlia del regista danese premio Oscar Billie, «Quel rapporto è una parte importantissima dei personaggi, ma nella vita reale sono la più piccola e mi sono rivista nella più grande della mia famiglia». «Sì, siamo un paese povero, ma quando mettiamo su famiglia lo facciamo bene» ha riso Mikkel Følsgaard, alias Martin, il leader del gruppo.

Per tematiche ed età dei protagonisti, The Rain ricorda The 100, con atmosfere e panorami desolati alla 28 giorni dopo di Danny Boyle, The Walking Dead e E venne il giorno di M. Night Shyamalan: «Il contesto post-apocalittico per noi è un pacchetto che si può modificare, spostare. Vogliamo creare storie appassionanti, che emozionino con personaggi interessanti», spiega Jannik. «Per i ragazzi è importante immedesimarsi. E qui ce n’è davvero per tutti» interviene Alba. «Siamo in una fase di paure sempre crescenti, abbiamo parlato molto del modo in ci si reagisce quando il mondo cambia intorno» prosegue Tai Mosholt «Stanno emergendo nuovi movimenti giovanili, gli adulti hanno lasciato una situazione allo sbaraglio ed è stata l’occasione per raccontare questa storia, vedere come questi ragazzi lottino per diventare esseri umani in un mondo in cui non c’è più umanità». E in cui domina il silenzio: «Abbiamo iniziato a discutere della colonna sonora prima di parlare della storia, perché nel corso della produzione abbiamo capito che serviva molta musica in un spazio che rappresentiamo come vuoto».

Il progetto, partito come una serie danese, ora è internazionale e disponibile in ben 109 paesi: «È incredibile, ma mentre giravamo non ci abbiamo pensato. Non avevo esperienza di serie tv e filmare per sei mesi è stato difficile perché finiscono le energie» confessa la protagonista. «Io sono cresciuto con Tredici e Stringer Things, le ho viste con la mia famiglia e i miei amici. Il tempo delle riprese è stato lungo ma far parte di Netflix con uno show di casa mia è pazzesco» afferma Lucas Lynggaard Tønnesen e cioè Rasmus, il fratello minore di Simone. Preparate gli ombrelli.

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