Cyberbullismo e sessismo: quando pensare è meglio che twittare | Rolling Stone Italia
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Cyberbullismo e sessismo: quando pensare è meglio che twittare

Diletta Leotta ha raccontato sul palco dell'Ariston l'episodio di cyberbullismo che l'ha vista protagonista qualche mese fa, ma qualcuno ha preferito pensare al suo vestito

Cyberbullismo e sessismo: quando pensare è meglio che twittare

Se negli Stati Uniti le donne si riuniscono per marciare contro Donald Trump, denunciandone i toni sessisti e discriminatori contro le minoranze in generale, in Italia ci pensano personaggi televisivi più o meno noti a riportare tutto a un livello che definiremmo imbarazzante.

Tutto è nato dalla partecipazione della giornalista Diletta Leotta al Festival di Sanremo, salita sul palco per raccontare la brutta esperienza di cui è stata vittima qualche mese fa, quando un hacker è entrato nel cloud del suo cellulare e ha pubblicato decine di sue foto private sul web. «Ho reagito e ho denunciato. Bisogna denunciare e invito a farlo», ha commentato ieri sera la giornalista dal palco dell’Ariston.

Un’incursione per parlare di un tema importante utilizzando toni leggeri. Un messaggio positivo per tutte le persone che ogni giorno sono vittime di cyberbullismo e che difficilmente trovano il coraggio di porre fine agli abusi con una denuncia alle forze dell’ordine.

C’è però qualcuno che non ha apprezzato il suo intervento, non tanto per i temi trattati, ma perché se si è vestiti in maniera sexy, magari con una gonna che mostra le gambe, non si è autorizzati a parlare di violazione della privacy.

Chiaro il messaggio? Se mostrate la cosce in pubblico, non vi azzardate a lamentarvi! Un po’ ve la siete cercata. Un’uscita infelice, che ha fatto scatenare la reazione degli utenti sui social ma non solo, perché anche Maria de Filippi ha detto la sua dalla conferenza stampa di stamattina: «Parlare dell’abito è come dire che è giusto che ti violentino perché hai la minigonna». Ed è proprio questo il punto. Potremmo postare tanti altri commenti beceri che hanno intasato il web a sostegno della tesi della Balivo, ma non lo faremo. Preferiamo riportare le sue scuse, arrivate poco fa dal suo profilo Twitter: perché commentare il Festival sui social è divertente, ma ragionare lo è di più.

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