"Non essere cattivo", perché non sei in concorso? | Rolling Stone Italia
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“Non essere cattivo”, perché non sei in concorso?

Claudio Caligari ha fatto solo tre film prima di morire. Ma sono bastati per segnare il nostro immaginario. Il terzo arriva postumo al Lido, fuori concorso. Ed è bellissimo

Il cast di "Non essere cattivo", il film postumo di Caligari. Fonte: Facebook

Il cast di "Non essere cattivo", il film postumo di Caligari. Fonte: Facebook

«Ah Clà, ma che hai combinato. Me fai er film più bello mò che te ne vai?».

Ecco questo vorrei dire a Caligari, regista che ha rivoluzionato il mio, il nostro immaginario raccontandoci ciò che non vogliamo vedere. Questo gli direi, anche a brutto muso, se lo avessi davanti. Ma lui non c’è più. Andato via un pugno di mesi fa, a seconda stesura di montaggio ultimata. E l’eredità è tanto straordinaria quanto magra: tre film, bellissimi, ma solo tre maledettissimi film. Amore tossico, L’odore della notte e ora Non essere cattivo. E hai voglia a dire che non se l’aspettava, visto che dentro quest’ultimo cita con la scena iniziale il suo esordio che proprio qui a Venezia deflagrò come una bomba nel cinema italiano allora agonizzante – e non è che ora si senta tanto meglio – e dà il nome di Cesare, protagonista della sua opera seconda, al personaggio interpretato splendidamente da Luca Marinelli. Uno che fai fatica a riconoscere in ogni film che fa, tanto è bravo, cangiante, eclettico. Trans, monaco, marito innamorato, tossicodipendente. Sa fare tutto, e benissimo. E anzi, a dirla tutta, il regista non ha neanche paura di citare Scorsese in certe pose di uno dei protagonisti né, con il nome Vittorio (un Alessandro Borghi sorprendentemente bravo) di richiamarsi a Pasolini e ad Accattone. Ma bando agli inside joke più o meno testamentari: Non essere cattivo è un gran film. Un piccolo capolavoro, un affresco di quella borgata implosa dietro falsi miti, divinità di polvere (cocaina, sì, ma anche quella dei cantieri abusivi, buchi neri di sfruttamento) ed emarginazione.

Questo lungometraggio, insensatamente fuori concorso visto che surclassa per qualità e potenza espressiva tutti i film italiani (e non solo) visti finora, ci porta a Ostia nel 1995, in cui due fratelli di strada e di vita provano a sopravvivere, sballandosi e dandosi alla piccola criminalità, perché il denaro – e la sua assenza – hanno fatto peggio degli stupefacenti. Hanno un rapporto inscindibile, vivono in simbiosi, guardano ciò che hanno intorno con gli occhi sbarrati e il fisico squassato da quella consolazione chimica di cui non sanno fare a meno. Ma non sanno cosa sia il tradimento, l’egoismo, l’invidia.

Non vogliono “puzzare di lavoro”, non vogliono entrare nel sistema, fanno parte di quella galleria di umanità diverse e altre che Caligari ha saputo raccontarci mirabilmente. Il punto è che l’estemporaneità di Amore tossico o la durezza di genere de L’odore della notte (lì il regista incontra Valerio Mastandrea che gli ha prodotto quest’ultimo lavoro, dopo aver interpellato persino Martin Scorsese), qui trovano la completezza di una narrazione piena, di un’estetica più matura e potente, di un’accuratezza che nulla toglie all’istinto, all’anima dell’opera. C’è tutto Caligari e di più qui, ma c’è pure la fotografia di Calvesi al suo meglio, così come il montaggio di Bonanni che attorno a questo regista c’è sempre stato. Non c’è un dettaglio sbagliato, non c’è quell’esplosività naif, ma una rabbia matura, lucida, rivoluzionaria, che si scatena soprattutto dopo la svolta di Vittorio, che vuole provarci ad essere normale. E’ qui che la macchina da presa non ha paura della classicità, perché, come dicono a Roma, “quanno ce vò ce vò”.

Che male che fa che uno così non ci racconterà più chi siamo veramente, come in quel pranzo familiare finale che ti gela, con una sola parola. Che male che fa la bellissima A cuor leggero che Riccardo Sinigallia ha rispolverato perché, dopo aver visto il film, ha capito di averla scritta per lui. Che male che fa che alcuni vedranno in Borghi il redento e in Marinelli il perduto. E, invece, forse, è solo il contrario.

Ciao Clà, mortacci tua. Basta co’ sto scherzo, che Valerio li vole fa tutti i film che avete pensato insieme. Sbrigate a tornà.