"AstroSamantha", un documentario che ci rende orgogliosi | Rolling Stone Italia
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“AstroSamantha”, un documentario che ci rende orgogliosi

Una clip in esclusiva dal documentario sulla donna che ha passato più tempo nello spazio, al cinema solo l'1 e il 2 marzo – da non perdere

Ammettiamolo, tutti. Dopo Parmitano, abbiamo guardato a lei prima con simpatia, poi con un filo di malcelata sopportazione, infine con maschilista sarcasmo. Siamo passati dall’orgoglio nazionale a sorridere senza molta vergogna della sua presunta somiglianza con Javier Zanetti.

Bene, se siete del club, vedendo AstroSamantha vi sentirete in colpa. Ma, soprattutto, vi sentirete stupidi. Perché come di consueto accade in questo mondo ipercomunicativo, vi era bastata l’ospitata a Sanremo e qualche tweet per farvi un’idea della donna e dell’astronauta. Perché questo è il paese in cui chiunque sa fare tutto. In cui la tuttologia sembra un dovere, anzi un diritto. Economisti, allenatori, politici, giornalisti, accademici della Crusca, velisti, critici cinematografici e appunto astronauti. Chiedi a un italiano con account social qualcosa e lui dirà sempre la sua. Il bello di un film è che vi e ci costringe a stare zitti. In questo caso per poco più di 70 minuti che racchiudono con semplicità e chiarezza tre anni.

Gianluca Cerasola, classe 1978, capisce subito di avere tra le mani qualcosa di prezioso. Non solo AstroSamantha – La donna dei record, come recita il titolo del documentario, ma anche un essere umano speciale, capace di farti vedere lo spazio con i suoi occhi vivaci e intelligenti, un sorriso irresistibile e soprattutto quella voce chiara, a cui bastano poche parole per dirti qualcosa di importante. Come quando alla mamma – una presenza discreta e meravigliosa a cui, per rimanerci nel cuore, bastano poche battute e un paio di comparsate – dice «era meglio di come immaginavo» al suo ritorno. O come, a titoli di coda già partiti, quando ci stupisce con una frase buttata là, con naturalezza. «Da lì tu non vedi i confini politici, vedi gli oceani, le montagne, passi sopra tante volte sullo stesso posto e scopri sempre qualcosa di nuovo». E il senso della vita, e naturalmente della scoperta dello spazio profondo, lo senti tutto lì: dall’avere la giusta distanza da tutto.

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Samantha Cristoforetti ce l’ha. Perché non è solo quella ragazza alla mano delle sue necessarie incursioni televisive, social, mediatiche. Lo capisci quando rende omaggio a Gagarin e al suo ingegnere, al commosso ed entusiasta contegno per il contatto con la Storia, a quella divisa severa che la cinge, così diversa dal look casual con cui va nella casa delle altre tank girl (un gruppo di astronaute molto particolare il cui soprannome nasce da un cult movie da intenditori). Con lei scopriamo dove arriva il messaggio «Houston, abbiamo un problema», con lei capiamo che ASI (Agenzia speciale italiana) e Esa (European Space Agency) non sono solo sigle, ma motivi per cui essere orgogliosi di essere italiani ed europei.

Cerasola ha il pregio di coglierne l’essenza, quell’eleganza naturale con cui sa raccontarti dell’aspirazione dei rifiuti solidi umani come dei suoi compagni d’avventura, delle sue ispirazioni letterarie e cinematografiche come del modo in cui «il caffè di ieri diventa quello di domani» (forse non volete davvero saperlo, ma sarà interessante). Di non offrirci solo lo spazio, l’assenza di gravità, ma soprattutto il sacrificio, l’allenamento, la comprensione di quanto sia eccezionale la tempra di questi pionieri, la potenza della tecnologia avveniristica che li sostiene, la poesia di un uomo che non rinuncia a sognare, a superare i propri limiti. E Samantha ha di speciale di essere un’eccellenza, la donna dei record (nessuna è stata nello spazio quanto lei), ma allo stesso tempo è anche la persona che ci porta a Mosca con la stessa curiosità con cui mette piede nella ISS (International Space Station), finendo per entrarci nel cuore citando Guida galattica per autostoppisti. E nella foresteria “sovietica” sembra una studentessa Erasmus qualsiasi.

Qui si sente il tocco di un cineasta che già sotto i 40 anni esprime una sua solida poetica, senza fronzoli, che racconti anziani subacquei o Ustica, L’Aquila o una gravidanza, con lo stesso sguardo dritto, curioso, senza pregiudizi.
Ne viene fuori il più classico dei documentari, concentrato sulla sua protagonista, con Guelfi a utilizzare nel montaggio la stessa grammatica elementare (ma non per questo facile, anzi) della regia e Di Pasquale, con la fotografia, a togliere un’inevitabile freddezza a certi ambienti. Proprio come una missione spaziale, un film ha bisogno della cura di ogni dettaglio per decollare. Qui, per fortuna tutti fanno il loro lavoro. E quella voce di Giancarlo Giannini, troppo invadente con la sua forza per un’opera che già da sola va che è un piacere, è forse l’unica stonatura. Ma lassù, nell’immensità del meglio di quello che sa essere un essere umano, di uno spazio senza confini, conta poco. Stiamo già volando e sognando, con AstroSamantha. Che, come Zanetti, è andata oltre quello che poteva solo immaginare. Ma che ha sempre inseguito con dolce ostinazione.
E, diciamolo, senza nulla togliere alla Cristoforetti: è molto più difficile vincere il triplete con l’Inter, che stare sulla ISS più di tutti nella Storia dei viaggi spaziali. Ma di sicuro #amala vale per entrambe.

Il documentario sarà in sala solo l’1 e il 2 marzo, qui è possibile controllare in quali sale sarà disponibile.

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