100 Tv Show che hanno fatto la storia | Dalla posizione 20 alla 1 | Rolling Stone Italia
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100 Tv Show che hanno fatto la storia | Dalla posizione 20 alla 1 | (40-21)

La redazione di Rolling Stone USA ha selezionato le migliori serie e programmi della TV americana

100 Tv Show che hanno fatto la storia | Dalla posizione 20 alla 1

20. “Cheers (Cin Cin)” (1982-1993)


Tutti abbiamo bisogno di un locale in cui ci conoscono per nome, anche se è solo un bar di Boston pieno di frequentatori abituali che non hanno nessun altro posto dove andare. Cheers comincia con la conversazione romantica tra il proprietario del bar, l’ex giocatore di baseball dei Red Sox Sam Malone (Ted Danson), e l’intellettuale un po’ rigida Diane (Shelley Long), ma nel tempo è riuscita a rinnovarsi portando continuamente sullo schermo nuovi talenti come Woody Harrelson, Kirstie Alley e Kelsey Grammer. Cheers è proprio come quel bar di cui si diceva all’inizio, al punto che potevi guardare una puntata anche solo per sapere con quale dei frequentatori abituali avresti passato la serata. (ed. ita.)

19. “Curb Your Enthusiasm” (2000-oggi)


Larry David, il misantropo creatore di Seinfeld, va a L.A., dove il sole che gli picchia sulla pelata lo fa sentire ancora più triste. Pensavamo di conoscerlo già grazie al suo alter ego di Seinfeld, George Costanza, ma in Curb Your Enthusiasm lo rincontriamo nei panni di un “assassino della socialità”, il virtuoso della mossa del chat and cut, ovvero mettersi a parlare con qualcuno che neanche conosci per saltare la fila. Indimenticabile l’episodio Palestinian Chicken, in cui Larry viene sottomesso da una dea del sesso palestinese all’urlo: “Voglio scopare l’ebreo che c’è in te”. Dalla religione alla razza, dalla finta reunion di Seinfeld al dilemma etico se gli uomini debbano o no indossare gli short in aereo, Larry è sempre pronto a rendere ogni situazione imbarazzante ancora peggiore.

18. “Star Trek” (1966-1999)


La navicella spaziale Enterprise decolla per una missione di cinque anni: «Esplorare strani, nuovi mondi alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare là dove nessuno è mai arrivato prima». È la serie di fantascienza più amata di tutti i tempi, che ha dato origine a infiniti spin-off e ha anche codificato il genere della “fan fiction” come una forma d’arte. La base è la serie originale di Gene Roddenberry con personaggi come il Capitano Kirk di William Shatner e il Mr. Spock di Leonard Nimoy, oltre a Bones, Sulu, Uhura e Scotty, che entrano in contatto con bizzarre e inspiegabili forme di vita tipo i Romulani, i Gorn e Joan Collins. Le prime tre stagioni hanno avuto ascolti bassi, spingendo la NBC a staccare la spina, ma grazie ai fan più accaniti della storia della tv, la visione di Roddenberry ha continuato a vivere e prosperare. (ed. ita.)

17. “Twin Peaks (I segreti di Twin Peaks)” (1990-1991)


«Queste ragazze sono veramente surreali», ha detto David Lynch a RS nel 1990, «sono donne determinate e piene di segreti». La piccola città di Twin Peaks è piena di queste ragazze e dei loro pericolosi segreti, dalla reginetta di bellezza morta Laura Palmer alla viva e seducente Audrey Horne. Girato qualche anno dopo Velluto Blu, questo giallo ambientato sulla costa nord-ovest del Pacifico segue le vicende del detective dell’FBI Dale Cooper (Kyle MacLachlan) impegnato nella ricerca di un ottimo caffè e della soluzione all’omicidio di Laura Palmer. (ed. ita.)

16. “M*A*S*H*” (1972-1983)


Lo show sulla guerra di Corea che è durato tre volte più della guerra stessa nasce dalla rivoluzionaria commedia di Robert Altman del 1970 ambientata tra i dottori e le infermiere della 4077esima Unità Mobile Chirurgica dell’Esercito in attesa dell’ennesimo elicottero pieno di feriti. M*A*S*H* comincia come una commedia realistica, con il dottor Hawkeye e lo staff che cercano di mantenere il senso dell’umorismo in mezzo al massacro con sesso, alcol e scherzi e si evolve in una solenne riflessione sulla inutilità della guerra (anche se con qualche predica di troppo). L’episodio finale è stato visto da oltre 120 milioni di persone, quasi un record. (ed. ita.)

15. “The West Wing (Tutti gli uomini del Presidente)” (1999-2006)


Aaron Sorkin ha dato all’America il leader che non si meritava con il benevolo presidente Jed Bartlet interpretato da Martin Sheen, professore cattolico del New Hampshire e discendente diretto dei firmatari della Dichiarazione di Indipendenza. Andato in onda nella primavera del 1999, è una specie di visione di come avrebbe potuto essere il futuro (per esempio se i Democratici avessero avuto un po’ più di coraggio o se i Repubblicani avessero uno o due principi morali) che diventa improvvisamente irreale nell’era di Bush e Cheney. I dialoghi serrati, marchio di fabbrica di Sorkin, e l’idealismo dell’amministrazione Bartlet, però, trasformano questo show in un gradito universo parallelo. (ed. ita.)

14. “The Larry Sanders Show” (1992-1998)


Garry Shandling poteva diventare il presentatore del Tonight Show, invece è diventato il protagonista di una sitcom incentrata sulle vicende di un suo alter ego da incubo: Larry Sanders, un mostro dello shobiz che disprezza l’umanità in ogni sua forma (e soprattutto se stesso), ma è costretto a chiacchierare con degli sconosciuti seduto dietro a una scrivania nel suo talk show notturno. Larry Sanders debutta nel 1992 sulla HBO con uno stile completamente nuovo (una sola telecamera, niente risate registrate, un flusso costante di rabbia e offese) e diventa un successo grazie al passaparola. Larry è sempre quello con l’ego più smisurato di tutti, ma se la deve vedere con il suo braccio destro Hank (interpretato da Jeffrey Tambor) e con il produttore Artie (Rip Torn). Innumerevoli comici si sono fatti le ossa qui: Judd Apatow, Sarah Silverman, Bob Odenkirk, Janeane Garofalo e Dave Chapelle, tanto per gradire.

13. “Late Night with David Letterman” (1982-2015)


Un metereologo fallito dell’Indiana passa al turno di notte dopo Johnny Carson e cambia completamente il modo in cui l’America vede se stessa. Letterman ha portato in televisione dei personaggi folli mai visti prima, da Larry “Bud” Melman ad Harvey Pekar, da Pee Wee Herman a Sandra Bernhard, dai R.E.M. ad Andy Kaufman. Senza dimenticare Paul Shaffer, l’indispensabile pianista. Letterman era un fine conoscitore dell’eccentricità americana, senza nemmeno fare finta di essere lui stesso un eccentrico e un maestro delle interviste, specialmente quando si trovava di fronte qualcuno burbero quanto lui. Tipo Cher, che gli ha dato dello “stronzo” in onda (e aveva ragione). Quando è passato alla CBS nel 1993, ha cambiato il titolo e l’orario, ma ha mantenuto lo stesso spirito pungente, specialmente nelle magnifiche ultime settimane in cui ha battuto ogni record: “33 anni, 6018 puntate, 8 minuti di risate”. Non vedremo mai più uno come lui. (ed. ita.)

12. “Game of Thrones (Il Trono di Spade)” (2011-oggi)


La notte è buia e piena di cose terrificanti, specialmente la domenica quando va in onda Il Trono di Spade. Nata con la premessa di essere “I Soprano nella Terra di Mezzo”, la serie fantasy della HBO ha superato i confini di genere ed è diventato uno dei drammi più realistici e convincenti mai trasmessi in tv, andando oltre i libri di George R.R. Martin. Il Trono di Spade cattura l’attenzione del pubblico con le scene di nudo, i draghi e le teste tagliate, ma in fondo non è altro che un thriller a sfondo politico. Come ha detto Martin a Rolling Stone: «La storia è stata scritta con il sangue, con i re, i principi, i generali e le prostitute e tutti i tradimenti, le guerre e i segreti. È molto meglio del 90 per cento di quello che gli scrittori fantasy possono immaginare» (ed. ita.)

11. “Freaks and Geeks” (1999-2000)


Paul Feig e Judd Apatow riescono a catturare l’agonia dell’adolescenza americana in questa serie intensa e appassionata, ambientata in una città del Michigan nel 1980. Tragicamente dura solo una stagione, ma tutti i 18 episodi sono riusciti alla perfezione grazie a una colonna sonora rock e a un cast di future leggende: Bill (Martin Starr), Nick (Jason Segel), Lindsay (Linda Cardellini) sono ragazzi fuori dagli schemi in cerca di un luogo di appartenenza, che sia una partita di Dungeons & Dragons o un furgone che segue un tour dei Grateful Dead.

10. “The Daily Show” (1996-oggi)


Il notiziario finto che è diventato più autorevole di quello vero. The Daily Show comincia su Comedy Central nel 1996, ma fa centro nel 1999 quando arriva Jon Stewart alla conduzione, diventando sempre più pungente man mano che le notizie diventano più cattive. Stewart esprimeva la rabbia di un uomo che ha iniziato ad andare in onda alla fine dell’era di Bill Clinton, per ritrovarsi in un’America molto più spaventosa e brutta di quella per cui ha mercanteggiato, e non fa assolutamente niente per nasconderlo. «È un contenitore di cose comiche inondato di tristezza», ha detto a Rolling Stone nel 2006. Oggi lo show fatica senza di lui, ma i suoi allievi, John Oliver e Samantha Bee, mantengono vivo il suo spirito nei loro rispettivi show.

9. “All in the Family (Arcibaldo)” (1971-1979)


Che shock vedere questa roba in televisione nel 1971, nel pieno dell’era di Nixon: lo sbruffone bigotto Archie Bunker, sua moglie Edith, la figlia femminista Gloria e suo marito hippy Mike, tutti sotto lo stesso tetto in una casa del Queens che discutono delle cose di cui discutono tutte le famiglie reali. Numero uno di ascolti ogni anno, perché non stempera mai le caratteristiche dei personaggi, come ha detto il creatore Norman Lear a Rolling Stone: «Alla gente piace vedersi rappresentata in modo corretto». Carroll O’Connor dà al personaggio di Archie decoro e dignità, anche quando dice cose tipo: “L’Inghilterra è un Paese di froci”. Arcibaldo arriva dove la televisione non ha mai osato arrivare. In quegli anni valeva tutto: razzismo, omofobia, aborto, sesso prima del matrimonio, religione, armi ovunque armi. (ed. ita.)

8. “Saturday Night Live” (1975-oggi)


Live da New York, 40 anni dopo che lo show Not Ready for Prime Time Players ha trasformato la commedia televisiva in rock&roll. Come dice Lorne Michaels: «Andiamo in onda non perché siamo pronti, andiamo in onda perché sono le 23.30». Il SNL ha sempre mantenuto questa energia e questo spirito alternativo, anche a costo di toppare alcuni episodi o addirittura tutta una serie. Eravamo tutti convinti che il cast degli anni ’70 (John Belushi, Bill Murray, Dan Aykroyd) fosse assolutamente impossibile da sostituire. E invece no: ecco Eddie Murphy negli anni ’80, Mike Myers e Chris Rock negli anni ’90, Will Ferrell e Tina Fey negli anni 2000, Kate McKinnon e Aidy Bryant oggi. Tutti pensano che sia morto e sepolto, invece risorge sempre: nessun altro show ha scatenato così tanti comici così splendidamente dementi come il SNL.

7. “The Twilight Zone (Ai confini della realtà)” (1959-1964)


“C’è un quinta dimensione oltre a quelle che l’uomo conosce. È la dimensione dell’immaginazione, una zona che si trova ai confini della realtà”. La serie di fantascienza creata da Rod Serling è ancora oggi in grado di mandarvi fuori di testa con le sue storie sovrannaturali. Gli episodi migliori sono quelli in cui l’ignoto si fa largo all’improvviso nella vita di persone normali: maschere grottesche, bambole parlanti, tranquilli vicini di casa che diventano una folla inferocita, invasori alieni travestiti da motociclisti. Ci sono innumerevoli immagini che sono diventate un classico: da William Shatner, che vede un gremlin sull’ala del suo aereo, a Richard Kiel nel ruolo del gigantesco alieno Kanamit, muto e sorridente, che arriva sulla Terra per risolvere i nostri problemi. (ed. ita.)

6. “The Simpsons (I Simpson)” (1989-oggi)


Perché la famiglia a cartoni animati preferita d’America è durata così a lungo? Perché è anche la famiglia più vera e realistica d’America. Soprattutto Homer, il padre stupido che tutti hanno paura di diventare, un crudele scherzo della natura. O, forse, soprattutto Lisa, la voce della saggezza a ritmo di sax. Senza dimenticare Apu, Krusty, Flanders, il signor Burns, Miss K. Lorina e tutti quei piccoli personaggi strambi che rendono Springfield proprio come la vostra città, solo molto più divertente. Il creatore Matt Groening ha detto a Rolling Stone nel 2002: «I personaggi del nostro show bevono, fumano, non indossano la cintura di sicurezza, sporcano per strada e usano le armi. Nell’episodio di Halloween della prossima stagione ci sono probabilmente più sparatorie che in tutta la serie dei Soprano». (ed. ita.)

5. “Seinfeld” (1989-1998)


Lo show che, parlando di nulla, è esploso nel mondo della grande commedia americana. Jerry, George, Elaine e Kramer: quattro amici che si rivelano essere delle persone orribili, in una New York piena di personaggi assurdi. Il giudizio era unanime anche mentre andava in onda: Seinfeld era la sitcom più divertente mai vista, un miracolo che si ripeteva ogni settimana. Non importa quante volte avete rivisto i suoi 180 episodi: continuano ad attirarvi come quei salatini che vi fanno venire una sete tremenda. Jerry Seinfeld e Larry David hanno dettato le regole fin dall’inizio: “Niente abbracci, niente insegnamenti”. Come ha detto Julia Louis-Dreyfus a Rolling Stone nel 1998: «La verità è che quei quattro personaggi sono un gruppo di persone patetiche, che dovrebbero separarsi al più presto. Se li osservi da fuori e guardi quello che succede ogni settimana, si fanno delle cose terribili, eppure continuano a frequentarsi. È un comportamento da sociopatici». Non che ci sia nulla di sbagliato, in questo. (ed. ita.)

4. “Mad Men” (2007-2015)


Vendere il sogno americano. Mad Men è diventato subito un successo, in parte per la sua atmosfera affascinante (un’agenzia di pubblicità di New York nell’era di JFK, tutta sesso, soldi, alcol e sigarette), ma soprattutto perché è un dramma ambizioso per adulti, che non parla di poliziotti e rapinatori (o dottori e avvocati), e rivendica un nuovo territorio narrativo. Il pubblicitario donnaiolo Don Draper (interpretato da Jon Hamm) è un genio nel dare vita ai sogni e alle fantasie degli altri, ma non riesce a sfuggire alla sua solitudine. È un truffatore che ha rubato l’identità a un ufficiale morto nella guerra di Corea e si è rifatto una vita mentendo: «Un buon pubblicitario è come un artista che guida la cultura di massa», ha detto il creatore della serie Matthew Weiner a Rolling Stone, «mette uno specchio davanti alla faccia della gente, e dice loro: “Questo è quello che vorresti essere, questo è quello di cui hai paura”». Don può far scoppiare a piangere una stanza piena di persone parlando di un proiettore di foto, anche quando le immagini della famiglia felice che sta vendendo sono una truffa. Non c’era nulla di tanto seducente prima di Mad Men, e a distanza di anni possiamo dire che è ancora così. (ed. ita.)

3. “Breaking Bad” (2008-2013)


Bryan Cranston, il dentista di Seinfield e l’adorabile papà di Malcolm in the Middle, diventa il cattivo del secolo nel noir di Vince Gilligan trasmesso da AMC: Walter White, un insegnante di chimica del liceo frustrato che scopre di avere un cancro terminale ai polmoni e decide di mantenere la famiglia diventando il miglior produttore di metanfetamina del New Mexico. Purtroppo per la sua famiglia, le sue vittime e in pratica ogni persona che si trova davanti, a Walter piace molto la sua nuova vita segreta nei panni dello spietato signore della droga Heisenberg: “Non sono in pericolo, Skyler”, dice a sua moglie, “io sono il pericolo”-. Heisenberg fa paura, perché è assolutamente normale, un perdente qualsiasi che ha la possibilità di mettere in pratica le sue fantasie criminali: e nel caso di Walter non sono altro che il riuscire, finalmente, a combinare qualcosa nella vita. È questo che dà dipendenza, e rende Breaking Bad irresistibile come la droga preparata da Walter. Più si trasforma in Heisenberg, più scava in profondità nel lato oscuro del sogno americano. Dopo uno spettacolare omicidio nella quarta serie (in cui viene usata anche un bomba nascosta in una sedia a rotelle kamikaze), Walter chiama sua moglie per dirle come è andata, e le dice: “È finita, siamo salvi. Ho vinto”. La cosa tragica è che ne è veramente convinto, ma non sa che insieme alla moglie ha perso anche se stesso. (ed. ita.)

2. “The Wire” (2002-2008)


L’ex reporter David Simon ha puntato alto con questa epica serie, trasmessa da HBO, che racconta il traffico di droga a Baltimora, costruendo un’intera città piena di politici corrotti, spacciatori di strada e poliziotti che imparano presto qual è il crimine più grave: “Interessarsi, quando non è il tuo turno di farlo”.
Ogni stagione racconta una storia diversa: la gang dei Barksdale nella terza, il fallimento del sistema scolastico nella quarta: «Dopo la prima stagione mi sono detto: “Non me ne faranno mai fare un’altra”», ha raccontato Simon a Rolling Stone, «ma nessuno ci ha detto di fermarci. In fondo se uno è così stupido da fare oltre 50 ore di show televisivo parlando del problema che affligge praticamente ogni città americana, e si aspetta che la gente lo guardi, è quello che si merita». The Wire ci ha regalato personaggi mai visti prima, dal terribile Stringer Bell interpretato da Idris Elba al re delle citazioni Proposition Joe, interpretato da Robert F. Chew. Ma è Michael K. Williams ad aver dato vita al cattivo definitivo con Omar Little, il vendicatore con il fucile nascosto sotto l’impermeabile. Ci sono molti momenti indimenticabili in The Wire: i detective Bunk e McNulty che commentano la scena di un omicidio con una sola parola di dialogo, Omar che confida tutto il suo dolore al killer in papillon Brother Mouzone (“Quel ragazzo era così bello”), Avon e Stringer che brindano a un futuro che sanno non arriverà mai. C’è una sensazione di dolore latente in tutta la serie: il crimine vince, ma i personaggi perdono tutti. (ed. ita.)

1. “The Sopranos (I Soprano)” (1999-2007)


La saga criminale che ha diviso in due la storia della tv, dando il via a un’età dell’oro in cui tutto sembrava possibile. Con I Soprano, David Chase ha stracciato ogni regola, ridefinendo quello che è possibile fare sul piccolo schermo, cavandosela ogni volta. Inoltre, ha creato un immortale antieroe americano, il boss della mafia del New Jersey Tony Soprano, interpretato da James Gandolfini, capo di una cricca di criminali e allo stesso tempo marito, padre e uomo che cerca un modo per continuare a vivere, portandosi dietro segreti sanguinosi e brutti ricordi. Come ha detto il grande Gandolfini a Rolling Stone nel 2001: «Ho sentito David Chase dire che I Soprano parla soprattutto di persone che mentono a se stesse, e del casino che ne deriva… Una cosa che facciamo tutti: mentiamo a noi stessi ogni giorno». La conseguenza è stata un bel casino, terrificante e allo stesso tempo estremamente stimolante. I Soprano ha vinto questo nostro sondaggio, perché ha cambiato il mondo. Chase ha dimostrato che si può fare uno storytelling molto ambizioso in televisione, e ha fatto in modo che altri raccogliessero la sfida e alzassero il livello: le serie televisive di maggior successo degli ultimi anni (The Wire, Mad Men, Breaking Bad) non sarebbero mai esistite senza I Soprano. Chase ha dovuto lottare per convincere un network a mandare in onda una storia che parla di un gangster che finisce sull’orlo di una crisi di nervi a causa dei suoi sensi di colpa, mentre sua madre trama per farlo fuori: «Non pensavamo che potesse piacere così tanto al pubblico», ha raccontato a Rolling Stone, «il suo successo ha incasinato tutti noi». I Soprano è andata avanti per sei stagioni con una miscela sfrenata di humor e spargimenti di sangue, e una serie di personaggi devastati che si aggirano nell’immaginario americano: Carmela (Edie Falco), Junior (Dominic Chianese), Christopher (Michael Imperioli), Paulie Walnuts (Tony Sirico), il chitarrista della E Street Band Steven Van Zandt nei panni di Silvio, il luogotenente di Tony. Chase lo ha notato sulla copertina di uno dei primi album di Bruce Springsteen: «C’era qualcosa nella E Street Band che mi ha sempre ricordato una gang», ha detto a Rolling Stone. Niente sarebbe stato possibile senza l’intensità della prova di attore di James Gandolfini, l’unico in grado di dare vita alla rabbia di Tony. Inoltre, la scrittura, la recitazione e la regia hanno portato la tv a un livello mai raggiunto prima. Il punto più alto forse è l’episodio Caccia al russo, in cui Paulie e Cristopher si perdono nella foresta, sapendo che il gangster russo che hanno cercato di far fuori è ancora lì, da qualche parte, nascosto nell’oscurità (“Sembra il fottuto Yukon”). Un mistero che non è mai stato risolto: per quanto ne sappiamo, quel russo è ancora in fuga. Un altro segreto di cui questi gangster non sono riusciti a liberarsi. Nei Soprano la fedeltà familiare viene ribaltata, sia in strada che a casa. Personaggi molto amati possono essere fatti fuori in ogni momento, una sensazione di pericolo costante che non molla fino all’ultimo secondo. Quasi un decennio dopo l’ultima scena in un diner del New Jersey, con un jukebox che suona Don’t Stop Believin’, I Soprano è lo standard a cui ogni prodotto televisivo con una certa ambizione deve aspirare. (ed. ita.)