Spike Lee: «Svegliatevi! non cedete all’odio» | Rolling Stone Italia
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Spike Lee: «Svegliatevi! non cedete all’odio»

Il regista è appena tornato al cinema con il nuovo capolavoro ‘BlacKkKlansman’, un film "dedicato" all'America di Trump ma non solo: «Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania. La crescita dei gruppi fascisti, non è solo un fenomeno americano».

Spike Lee sul red carpet del 71esimo Festival di Cannes per la presentazione di 'Blackkklansman'. ©Spread Pictures / IPA.

Spike Lee sul red carpet del 71esimo Festival di Cannes per la presentazione di 'Blackkklansman'. ©Spread Pictures / IPA.

Ogni ospite della 40 Acres & a Mule Filmworks, la casa di produzione di Spike Lee a Fort Greene, Brooklyn, viene accolto da Radio Raheem. Una gigantesca riproduzione in cartapesta del personaggio di Fa’ la cosa giusta — completa del suo boombox — si staglia sopra l’ingresso, un potente memento dei temi che ricorrono in tutta o quasi l’opera del regista: la bellezza, l’assurdità e l’orrore di essere nero in America.

Quasi trent’anni dopo la realizzazione del suo capolavoro, Lee ha dato vita a un degno compagno con BlacKkKlansman, basato sulla storia vera di Ron Stallworth, poliziotto afroamericano che si infiltrò nel Ku Klux Klan negli anni ’70. A maggio il film ha vinto il Grand Prix al Festival di Cannes, dove Lee ha definito il presidente Trump un “figlio di puttana” per essersi rifiutato di condannare i suprematisti bianchi che avevano dato il via alle violenze di Charlottesville, in Virginia.

Quando lo incontriamo nel suo ufficio, Lee non è così incendiario. Circondato dai memorabilia dei suoi film e non solo, tra cui un poster francese di Fronte del porto autografato due volte da Elia Kazan, riflette sulla sua carriera e spiega perché, in un momento politico che sembra più complicato che mai, vorrebbe che a parlare fosse la sua arte.

La prima lettura che viene automatico dare al film è che non parli solo di suprematismo bianco, ma del silenzio bianco.
Volevamo solo dire le cose come stanno. Doveva essere un film storico, ma che riuscisse a commentare quello che sta succedendo oggi, con questo tizio alla Casa Bianca. Tutta le vicende legate all’inno durante le partite NFL, il muro, i “messicani stupratori”… roba da pazzi. Un anno vissuto pericolosamente, ecco cosa sta succedendo. E poi ho visto la valigetta.

Intendi la nuclear football (la valigetta d’emergenza che viaggia sempre assieme al presidente degli Stati Uniti per ordinare l’eventuale uso di armi nucleari, ndt)?
L’ho vista. Con mia moglie Tonya abbiamo organizzato una raccolta fondi per il presidente Barack e c’era una macchina parcheggiata fuori da casa nostra. Sono uscito a prendere una boccata d’aria ed era lì, sul sedile posteriore. L’ho guardata, l’ho indicata e lui ha annuito. Anche se era Obama, ho fatto un incubo quella notte.

Che incubo?
Che qualcuno potesse davvero mettere fine al mondo. E ora abbiamo proprio questo tizio… Ma spero tanto che gli abbiano dato il codice sbagliato.

Ti hanno detto che qualcuno teneva i codici nucleari lontani dal presidente Trump?
Mi dicevano che aveva un codice finto. Come quando ti danno il numero di telefono sbagliato apposta… Ovviamente questo è quello che mi auguro.

Jordan Peele e il suo team sono venuti da te con lo script per BlacKkKlansman. Cosa mancava a quel copione secondo te?
Comprarono i diritti del libro di Ron Stallworth, ma sentivano che mancava un po’ di pepe. Quello ce l’ho messo io. Sono grato per questa opportunità, perché non avevo mai sentito parlare di Stallworth prima. Non conoscevo la sua storia. La gente dice che è troppo incredibile per essere vera. Ed è questo che la rende bellissima.

John David Washington, che interpreta Stallworth, è il figlio di Denzel. Vedi qualcosa di suo padre in lui?
John David è incredibile in questo film. “La mela non cade mai lontano dall’albero”, c’è un motivo per cui la gente usa questo detto. Lui è il primo figlio di Denzel, ed è un grosso fardello da portare. Ho un rapporto speciale con quel ragazzo, il suo primo film è stato Malcolm X. Avete presente la fine, quando i bambini dicono “My name is Malcolm X”? Lui è uno di quei bambini. Aveva sei anni forse.

Cannes quest’anno è stata un’esperienza diversa rispetto a quando sei andato con Fa’ la cosa giusta. Stai finalmente trovando il tuo posto nel mondo?
Penso che il tempo sia stato clemente con Fa’ la cosa giusta. La gente si dimentica in fretta: a suo tempo non era nemmeno stato nominato come miglior film agli Oscar. Quell’anno vinse A spasso con Daisy. Chi lo guarda più?

Mi ricordo di aver visto una foto con il premio in mano. Sembravi orgoglioso come mai prima.
Perché non hai visto quando mi hanno dato l’Oscar (ad honorem nel 2016, ndt). Ero felice per tutte le persone coinvolte nel film. La famiglia, gli attori, tutto. È stato un momento molto bello. E la standing ovation alla fine? Surreale. Oltre 10 minuti. Come regista, sai che reazione vorresti dal pubblico. Tutti ora amano Crooklyn, ma non fecero altrettanto quando uscì. Bamboozled, He Got Game, posso continuare… Ho fatto film che sono diventati di successo. Ma è diverso avere successo quando escono.

Che tipo di influenza pensi che la tua arte abbia avuto su una generazione di artisti come Peele, Ava DuVernay, Barry Jenkins, su creativi e attivisti?
È una domanda difficile. Di sicuro i miei film hanno avuto una influenza sulla cultura in generale. Le persone mi dicono ancora che non sarebbero mai andati a una scuola di tradizione black, se non avessero visto Aule turbolente. Quello che faccio vivrà a lungo, dopo che me ne sarò andato. Ed è tutto ciò che puoi sperare: che la tua vita sia servita a qualcosa, in una maniera positiva.

Rifletti mai sull’effetto che la tua opera ha avuto sulle persone?
Non proprio. Mi ricordo la prima proiezione di She’s Gotta Have It a Los Angeles. Dopo il film un giovane regista di nome John Singleton venne da me e mi disse «farò dei film proprio come te». E lo fece.

Cinque anni dopo, con Boyz N the Hood.
È qualcosa di cui sono consapevole, ma non ci penso spesso. Sono troppo concentrato su fare quello che devo.

A Cannes, Cate Blanchett, che era presidente della giuria, ha detto che BlacKkKlansman è “fondamentalmente un film su una crisi americana”.
Ma vedi, ecco il punto. Penso che sia una grande attrice, le ho detto che vorrei lavorare con lei dopo il festival. Ma la questione che non ha visto, e che gli altri giurati non hanno visto – e non lo dico perché non ho vinto la Palma d’Oro – è che non è soltanto un film sugli Stati Uniti. Questa situazione è dovunque in Europa: in Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania. Vorrei che la gente lo capisse. La crescita della destra, dei gruppi fascisti, non è solo un fenomeno americano. E in ogni caso voglio ancora lavorare con te, Cate! Non incazzarti!

BlacKkKlansman si conclude con le immagini dalle rivolte di Charlottesville dell’agosto 2017, il momento in cui i suprematisti bianchi investirono i manifestanti, uccidendo una donna di nome Heather Heyer. Perché hai deciso di usare quel girato?
Abbiamo iniziato le riprese a settembre. Quando sono successi i fatti di Charlottesville, sapevo che sarebbe stato il finale del film. Ho dovuto chiedere il permesso alla signora Susan Bro, la madre di Heather Heyer. È una donna che ha visto la figlia morire in un atto di terrorismo americano, gente che mangia gli hot dog, le torte di mele… La signora Bro non ha più una figlia, perché un terrorista americano ha investito la folla con un’auto. Ma la gente che vedrà quel finale, sono certo, sarà, come dire, molto tranquilla. Anche perché ascolterà Prince cantare uno spiritual “negro”, Mary Don’t You Weep. Hai sentito la canzone?

Ho riconosciuto subito la sua voce. Come l’hai trovato?
Sapevo che avrei avuto bisogno di una canzone per il finale. Sono diventato molto amico di Troy Carter, dirigente di Spotify (e uno dei consulenti della famiglia di Prince, ndt). L’ho invitato a una proiezione privata. Poco dopo mi ha risposto “Spike, ho la tua canzone”. Ed era Mary Don’t You Weep, che è stata registrata su cassetta a metà anni ’80. Prince voleva che avessi quella canzone. Non mi interessa cosa dice la gente. Mio fratello Prince ha voluto che io avessi quella canzone per questo film. Non c’è altra spiegazione. Quella cassetta è nascosta negli archivi a Paisley Park. E all’improvviso è stata scoperta? No no. Non è un caso! (ride).

Sei evidentemente scontento delle direzione in cui sta andando l’America. Uno degli obiettivi del tuo lavoro è mostrare i nostri errori per fare in modo che possiamo migliorare?
Sto tornando a dire a tutti Wake up. È stato il motto di molti dei miei film. Wake up. Svegliatevi. State attenti. Non cedete agli imbrogli, ai sotterfugi, e non cercateli a vostra volta. Fate in modo che questi siano i vostri migliori anni su questo pianeta, non cedete all’odio e a tutte queste cazzate che si sentono in giro.

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