Kasia Smutniak e Pierfrancesco Favino: «La nostra scena di sesso vi stupirà» | Rolling Stone Italia
Interviste

Smutniak e Favino: «La nostra scena di sesso vi stupirà»

Siamo andati a trovare i due attori sul set di "Moglie e Marito", commedia sentimentale atipica in uscita il prossimo 13 aprile. Abbiamo scoperto tra i due un'intesa mai vista, forse frutto anche del fatto che, per il film, hanno dovuto letteralmente vestire i panni dell'altro

Smutniak e Favino: «La nostra scena di sesso vi stupirà»

Marito e Moglie, regia di Simone Godano, direzione della fotografia Michele D’Attanasio Roma dicembre 2016 - gennaio/febbraio 2017

Palla alla stella polacca. No, non è Arkadiusz Milik del Napoli, è Kasia Smutniak. Tocco sicuro, avanza in progressione. Supera Pierfrancesco Favino, doppio passo e gol! Anche se in porta, va detto, c’è un bambino. E l’attore, dribblato in scioltezza, nonostante il soprannome Picchio, proprio anche del grande De Sisti, sembra in difficoltà. Nell’azione seguente il suo tocco di testa è rigido, goffo, sembra Fabio Junior.

Non vi siete sbagliati, non parliamo dell’ultima domenica di campionato, ma della visita di Rolling Stone sul set di Moglie e Marito. Siamo al Forlanini, a Roma. È rinato per qualche settimana l’ospedale capitolino e lo ha fatto per una commedia sentimentale atipica, opera prima del talentuoso Simone Godano, con due campioni davanti alla macchina da presa come Favino e Smutniak. Che, quando arriviamo, appunto, palleggiano: lui con un completo coordinato, vezzoso, con pantaloni su misura e golfino chiaro. Lei con un abbigliamento più casuale che casual e uno spolverino che non riesce a nasconderne la bellezza ma che di sicuro ci prova.

La causa dei due look, come dell’inaspettata azione che ha portato in gol Kasia, è che Moglie e Marito si fonda su uno scambio di corpi. Lei, soubrette alla prima rubrica televisiva, lui neurochirurgo, sono insieme da 10 anni e hanno due figli. Sono una bella coppia, ma le ambizioni, la vita e forse anche un amore stanco li stanno sfibrando. Per un motivo che non vi diremo (il santo protettore degli spoiler ci punirebbe, ovvio), lei entra nel corpo di lui e viceversa, costringendo entrambi a capire l’altro come mai avrebbe creduto. A viverne la vita, a immedesimarsi e forse ad amarla, comprendendone la difficoltà.

Un po’ com’è successo tra regista e ideatrice della storia, la brava attrice Giulia Steigerwalt, coadiuvata in scrittura da un’altra donna, Carmen Roberta Danza. «Si è creata subito – dice il regista – un’intesa forte. Non volevamo incartarcela, dicendolo alla romana, abbiamo trovato nel confronto reciproco il modo migliore per andare avanti. Un idillio, già pensiamo a un altro film insieme». Idillio partito proprio dalla scelta dei protagonisti. «Nello script erano più giovani, ma noi volevamo che fossero più adulti, così che avessero un portato di esperienze che rendesse lo scambio tra loro ancora più forte. E poi loro sono due eccellenze, ma precarie, altra caratteristica centrale della storia: così sono arrivati Kasia e Picchio, due bomber, ma anche una visione più indie, più realistica mixata a un’ispirazione più sofisticata: per capirci, più Il nome del figlio che Big o Nei panni di una bionda, più commedia francese che all’americana».

E che sarà un film differente lo intuisci dal macchinario a cui lavora lui, neurochirurgo, che vuole ridare la possibilità di comunicare ai malati di Sla e che sarà inevitabilmente centrale nel film, ma anche nel superare il modello di una banale commedia degli equivoci. «Tre film l’anno scorso hanno permesso di cambiare un po’ il nostro cinema, di proporre qualcosa di diverso. Penso a Non essere cattivo, Lo chiamavano Jeeg Robot, Veloce come il vento: tre motivi per uscire dal disco rotto del grande schermo nel nostro paese, con soggetti anche semplici, come il nostro, ma film originali, complessi, a più strati».

La fortuna è anche che proprio il regista dell’ultimo film citato è anche il suo produttore, Matteo Rovere, con Groenlandia. Uno che giovanissimo ha già fatto tre film e coprodotto, per dire, Smetto quando voglio. Uno che sa cosa vuol dire e cosa significa ricambio, anzi rivoluzione generazionale. Aiutata da chi non ha paura di crederci, pur avendo un nome. «Non ci vergogniamo di far ridere, di calcare la mano sulle possibilità che lo scambio di corpi dà. Le loro camminate sono da urlo, ci saranno momenti divertenti e grazie alla loro credibilità abbiamo potuto esagerare a volte, perché il loro talento permetteva di non rendere certe scene caricaturali». E di restituirne altre con grande forza. «Forse non dovrei dirlo, ma ci sarà una scena di sesso molto politicamente scorretta, spero non la censurino perché è molto bella e decisamente spiazzante». Quasi come Favino in tanga. «No, non arriviamo a questo, ma Kasia avrà il boxer e il calzino da calciatore».

Difficile immaginarsela quando la vediamo, seduta in pausa pranzo, in una delle stanze del Forlanini. «È stata una sfida diventare un uomo, anzi questo uomo, Pierfrancesco. Ci siamo incontrati più volte, abbiamo parlato tanto, ci siamo guardati molto e questo ci ha portato a ragionare sulle differenze tra uomo e donna, insieme, senza generalizzare. E poi qui non ci sono, come dice il titolo, solo i punti di vista rovesciati di moglie e marito, ma anche di una madre e di un padre». Lui sorride, si prende una pausa e sorride. «Mi sono preso un po’ della mia femminilità, quel lato che tutti noi maschi abbiamo e facciamo finta che non esista. Lo dico senza problemi, sarebbe figo per qualche giorno essere nelle vesti della tua compagna, sapere cosa pensa e cosa prova, dentro. Lo dico io che in famiglia sono circondato da donne».

Entrambi non hanno mai avuto paura di cercare altro da sé. La soldatessa di Limbo era molto maschile e il protagonista de L’uomo che ama era molto fem-minile. «Si tratta di conoscersi e di non aver paura di farlo» dice lui, «è un po’ una psicanalisi, ora ho un’idea precisa ma a inizio film non sapevo cosa pensare» scherza lei. Si prendono, si capiscono, si sono studiati a lungo. «C’era tanta femminilità pure nel libanese, su – riprende Picchio – guarda la scena con Kim Rossi Stuart. Ma in tutti i miei personaggi c’è questo lato, qui la particolarità è dargli corpo nel senso letterale del termine».

«Potremmo fare una serie tv l’uno sull’altro – lo rintuzza –, ormai conosciamo anche le espressioni facciali dell’altro. E siamo impazziti a sorprenderci, a sfidarci, a mostrarci come facevamo l’uomo o la donna. E poi la scena di sesso, meglio non parlare: mi limito a dire che ci siamo entusiasmati a farla, noi e la troupe. E quando la troupe si diverte, vuol dire che hai fatto centro». E maledici chi non ti ha invitato sul set quel giorno, a quel punto. Ci sarà da diver-tirsi, sembra chiaro. «E magari anche da conoscersi meglio – continua la Smutniak. Adesso capisco di più guardando dei calzini in giro per casa. Non è che mi faccia piacere, ma forse mi arrabbio di meno. E lo ammetto, potrei essere un po’ rompicoglioni».

«Sì, certo e io ho continui sbalzi d’umore! Scherzi a parte, credo di guardare meglio chi ho di fronte e anche me stesso, oltre gli stereotipi di genere, dalla rabbia repressa alla presunta mancanza di sensibilità degli uomini». Se ci si divertirà a vederlo, quanto a intervistarli, Moglie e marito sarà una bella esperienza cinematografica. «Io credo che le coppie più oneste usciranno rinsaldate dal film – prosegue Favino – insomma, quelle che non si sono lasciate con Perfetti sconosciuti, torneranno insieme con Moglie e Marito». Si guardano. «Va detto che mi ha colpito di lei la capacità di dare maschilità al suo personaggio senza evidenze esteriori, con piccoli dettagli: se ci sono riuscito anche io, è per l’ispirazione che è arrivata da come lo faceva lei».

«È lui a regalare quella fragilità che rende le donne… donne, il voler essere salvata e coccolata. Senza fare il verso, ha saputo interpretarla, indossarla, fin dal nostro primo pranzo insieme». Si fanno i complimenti, come due innamorati. «Impossibile non amarla, tutti sul set perdono la testa per lei: se in molte scene sarò sfocato, saprete perché». E in fondo, ci tiene il regista Simone Godano a dirci che alla fine è una storia d’amore. «Semplice, divertente, surreale ma pur sempre una storia d’amore. Raccontata in una maniera opposta a quella a cui siamo abituati, ma è il loro amore ad essere al centro». L’impressione, insomma, è che Moglie e Marito sia proprio un bel gol. Per saperlo, però, ci tocca aspettare l’uscita in sala, il 13 aprile.