‘Maternal’: nessuna madre si può giudicare | Rolling Stone Italia
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‘Maternal’: nessuna madre si può giudicare

Nemmeno quelle del film di Maura Delpero, che mette sotto lo stesso tetto suore e mamme adolescenti. Un paradosso? No: il modo migliore per affrontare il tema della genitorialità. Ne abbiamo parlato con la protagonista Lidiya Liberman

‘Maternal’: nessuna madre si può giudicare

Lidiya Liberman in ‘Maternal’ di Maura Delpero

Foto: Lucky Red

«Santo cielo, ancora suore»: siate onesti, lo avete pensato, pure noi l’abbiamo fatto. Ultimamente le storie monacali sono un tantino inflazionate: dal docu-cult Ti spedisco in convento al film super bollente Benedetta di Paul Verhoeven in anteprima al prossimo Festival di Cannes, passando per l’evergreen generalista Che Dio ci aiuti. Dove ti giri, tutti qui stanno a parlare di suore. E ora arriva pure il film Maternal, nelle sale dal 13 maggio. Tuttavia, esistono sguardi e sguardi, e quello della protagonista Suor Paola si divora tutta la scena. Per certi versi, è lei stessa il film: una suora che ci parla di maternità, praticamente un ossimoro vivente, che apre la storia, la fa volare alto per poi sbatterci in faccia un finale aperto, anzi apertissimo. Quindi, sì: adesso vi parleremo di questo film ambientato in un convento perché ne vale la pena. E lo faremo anche attraverso le parole della sua principale interprete, l’attrice Lidiya Liberman, alias Suor Paola.

La storia, come anticipavamo, avrebbe per tema la maternità. Scriviamo “avrebbe” perché il concetto di genitorialità che ha in mente la regista Maura Delpero, nata a Bolzano e oggi residente a Buenos Aires, è anni luce distante da quello, idilliaco e sognante, che ha in testa chiunque di noi. Per parlarci di figli, madri, educazione e amore parentale, Delpero ci catapulta infatti in Argentina, in una casa famiglia gestita da suore (là si chiamano hogar). Qui trovano rifugio e accoglienza ragazze madri con alle spalle le esperienze più disparate: abusi, perlopiù, ma anche storie di grande povertà e forse di ignoranza. Tra loro c’è chi sopravvive, come la giovane Fati, e chi, come l’amica Lu, si scopre una mamma “cattiva”, che si mette il deodorante nelle mutande ed è troppo distratta dalla vita per accudire la piccola Nina.

Maternal parte proprio da qui, da questo dialogo (im)possibile tra due forme di maternità apparentemente sbagliate: quella, precoce, delle ragazze e quella, negata e spirituale, delle religiose. «Vedere queste adolescenti, con i loro giovani corpi che stanno ancora crescendo, portare dentro di sé una vita che a sua volta si sta formando è una scena tenera e paradossale al tempo stesso», spiega Liberman, «così come vedere accanto a queste ragazze delle suore, perlopiù anziane, che hanno una maternità mai vissuta e proibita: sembrerebbe una convivenza impossibile. In mezzo a loro si pone poi Suor Paola, il mio personaggio». Con l’arrivo di Suor Paola nella casa famiglia, è come se l’equilibrio fra questi due mondi collassasse, contaminandosi a vicenda. «Volevamo raccontare la donna dietro al velo», continua Lidiya. «Quando Suor Paola arriva, lei si sente come la sposa di Gesù: lo ama profondamente, è convinta di non avere bisogno d’altro. Stando lì, però, scoprirà un proprio lato femminile, inespresso e concreto».

Ed è qui la forza di Maternal. Nel suo lento incedere, il film ci racconta la maternità attraverso le sue contraddizioni e i suoi paradossi. Ne svela il lato proibito, più oscuro, per dimostrare che essere madri è, prima di tutto, un percorso di conoscenza personale. Non esiste l’idillio a priori: la fatica, quella, invece sì. «La maternità è un dono bellissimo, ma, purtroppo, viene spesso idealizzato dalla società», sottolinea Liberman, 35 anni e madre di tre bambini. «Essere genitori è invece una cosa concretissima, perché implica un lavoro su se stessi, in termini di crescita, pazienza e amore». Da qui, la forza di un personaggio come Lu, che, presa da se stessa, arriverà a fare un gesto terribile, che non vogliamo spoilerare. «Per certi versi capisco Lu: è complesso diventare madri a un’età dove non sai ancora chi sei tu. Hai bisogno di vivere, di fare le tue esperienze per capirti, e infatti l’errore la porterà a comprendere le sue priorità».

Maternal è tutto questo, ma senza giudizi morali: la regista esplora con il suo sguardo una realtà, limitandosi a chiamarla per nome, senza aggiungere altro. Non a caso il taglio del racconto ha un sapore quasi documentaristico, fatto di pieni e vuoti, che non forzano mai il ritmo del racconto, nemmeno quando dovrebbero. «Mi piace molto lo sguardo di Maura. Ha affrontato questo tema senza dire cosa è giusto e cosa sbagliato: ha semplicemente restituito la varietà di una realtà che non può essere bidimensionale», concorda.

Una scena di ‘Maternal’ di Maura Delpero. Foto: Lucky Red

A rendere tutto più vero ha poi contribuito l’interpretazione di Liberman, che recita in un perfetto spagnolo. La nostra parla cinque lingue: ucraino (è nata lì), russo, italiano (da 12 anni vive nel nostro Paese), inglese e, per l’appunto, spagnolo. «Per la verità, da ragazza ho studiato anche in Israele e sapevo leggere e scrivere in ebraico». Difficile? «Si scrive da destra a sinistra, non ci sono le vocali ma basta avere un vocabolario ampio ed è fatta: è una lingua divertente». Insomma, capite bene che è una donna sveglia. Liberman ha fatto già diverse produzioni importanti, come Sangue del mio sangue di Marco Bellocchio e Il cattivo poeta accanto a Sergio Castellitto/Gabriele D’Annunzio (sarà al cinema dal 20 maggio); ha talento da vendere (se fai la suora, non te la cavi con due espressioni facciali copia-incolla) e ha persino studiato regia: «È un sogno che coltivo da sempre ma che realizzerò più avanti, al momento giusto. Ora voglio esplorare il mondo della recitazione».

Tuttavia, non è sempre stato facile per Liberman farsi prendere in considerazione: «Pur avendo il passaporto italiano, vengo spesso scartata a priori per i personaggi italiani. In America non è così, tutti fanno tutto: gli stranieri non sono chiamati solo per i ruoli non americani». In ogni caso, l’attrice non rimpiange nulla: «Ho fatto pochi film ma giusti, che peraltro mi hanno permesso di crescere i miei tre bambini». Il maggiore ha nove anni, quello di mezzo quattro e il più piccolo due. Come dicevamo, la maternità non è mai una scelta scontata e implica qualche rinuncia. Ora però pare proprio che il momento di Lidiya sia arrivato.