I ‘divenenti’ di ‘Futura’ (e quello che hanno da insegnarci sui ragazzi di oggi) | Rolling Stone Italia
Interviste

I ‘divenenti’ di ‘Futura’ (e quello che hanno da insegnarci sui ragazzi di oggi)

Così i registi Alice Rohrwacher, Pietro Marcello e Francesco Munzi hanno ribattezzato la generazione che indagano in questo film-inchiesta presentato a Cannes. Un’opera didattica, come la definiscono loro, sulla scia dei reportage di Pasolini

I ‘divenenti’ di ‘Futura’ (e quello che hanno da insegnarci sui ragazzi di oggi)

Un’immagine di ‘Futura’

A Cannes i film sono sempre “bellissimi”. Al massimo, “necessari” o “d’autore” (che vuol dire: se pensi che sia brutto, il problema sei tu). Chi calpesta infatti il sacro suolo della Croisette si sente un unto dal direttore artistico Thierry Frémaux, e per principio non sbaglia mai. Capite dunque quanto possa essere stato straniante vedere arrivare i registi Alice Rohrwacher, Francesco Munzi e Pietro Marcello e sentirli dire, con tanto orgoglio: «Il nostro film, Futura, è didattico. E superficiale». Il bello è che è proprio così.

A differenza di certe mattonate egoriferite che infarciscono il cartellone festivaliero, Futura è un film-inchiesta che resta volutamente in superficie, per accendere i riflettori su una realtà di cui, di fatto, non abbiamo mai capito un tubo: quella dei giovani. «Futura è un film libero dalla meta: non vogliamo svelare “la verità, vi prego, sui giovani”, ma semplicemente metterci in ascolto, cedere loro la parola e registrare lo spirito dell’epoca», spiega Rohrwacher. Il progetto, che è stato presentato in anteprima mondiale alla Quinzaine des Réalisateurs, vede il dinamico trio attraversare tutta l’Italia per porre ai giovani una domanda apparentemente semplice: come ti immagini il tuo futuro? Un interrogativo prospettico che ne sottende altri, non meno impegnativi. «Abbiamo voluto smontare l’idea del regista come individuo che si guarda addosso», aggiunge Marcello. «Tra noi non c’erano sociologi o esperti: il nostro è un approccio da reportage, che attinge al cinema dei grandi come Pasolini. È un film didattico, quasi da archivio: non un lavoro a tesi, ma a campione».

Francesco Munzi, Alice Rohrwacher e Pietro Marcello. Foto: Tiziana Poli

Ed è proprio questo sguardo a fare la differenza. Per una volta gli adulti si fermano e stanno lì, zitti e buoni (come i Måneskin insegnano), a guardare quelli che (per davvero) sono i giovani o, per usare un’espressione del film, i “divenenti”: i ragazzi nati dopo il 2000 che si trovano in quel limbo che separa i bambini dagli adulti. «Ho una figlia adolescente, ma, girando Futura, mi sono reso conto della mia incapacità di parlare ai ragazzi in un modo che non suonasse paternalistico», commenta Munzi. «La domanda che poniamo loro sul futuro svela nei ragazzi a volte delle attitudini, altre uno stato di inerzia, dettato da alcuni condizionamenti. Quando è così, la domanda ci si rivolge contro perché, se ci sono dei blocchi, la responsabilità è nostra». Futura è, insomma, molte cose insieme: uno spaccato, nudo e senza filtri, delle generazioni divenenti, ma anche uno specchio che interpella gli adulti.

A rendere l’operazione ancora più interessante è la tempistica: le riprese del film sono iniziate a inizio 2020 e, da lì a poco, sono state scompaginate dalla pandemia. I tre, però, non hanno mollato: sono andati avanti, sfidando «una burocrazia di liberatorie e permessi ancora più complicata», e il risultato è uno spaccato del pre e post pandemia finalmente onesto. Futura non promuove infatti il Covid a capro espiatorio: non ci dice che i suicidi dei minori sono scoppiati con il lockdown, mostrandoci invece come i disagi dei ragazzi abbiano radici più profonde, che vengono da lontano. «La pandemia ha violato l’immaginario dei ragazzi», commenta Marcello, «fa male vederli così pietrificati».

Ma cosa emerge da Futura? Per i motivi di cui sopra, nessuno dei registi si avventura in una sintesi antropologica. Preferiscono restare fedeli alla superficie, limitandosi a riportare i chiaroscuri emersi: la luce è la capacità di accoglienza e accettazione del diverso dimostrata dai ragazzi. A differenza delle precedenti generazioni, i divenenti non hanno una visione manichea del mondo: ne colgono le sfumature e sono paladini della difesa della libertà sessuale, dell’inclusione e del rispetto dell’ambiente. Per esempio, in Futura una ragazza di Napoli racconta le difficoltà dell’essere lesbica: «Sì, spesso mi sono sentita giudicata. Con il tempo mi ci sono abituata… ma, quando ti ci abitui, diventi un’ignorante pure tu».

La parte di tenebra viene invece dal doversi «confrontare con l’idea stabile della fine del mondo», come sottolinea Rohrwacher. «Oggi la paura non è più esterna, ma interna ai ragazzi che vivono in uno stato di angoscia». Così succede che quando i registi chiedono ai ragazzi cosa li leghi, ossia quale sia il collante tra loro, la risposta è a dir poco spiazzante: “la legge”. Sì, Futura è un film decisamente didattico. Che, proprio per questo, ha parecchio da insegnare.