Alessandro Borghi, padrino di Venezia: «Voglio essere cattivo» | Rolling Stone Italia
Interviste

Alessandro Borghi, padrino di Venezia: «Voglio essere cattivo»

Il primo padrino della storia della Mostra del Cinema è l'attore più brillante dei film ‘Made In Italy’ anche se a Mastroianni preferisce Leonardo DiCaprio

Sembrava che solo a Ostia potesse diventare quell’Al Pacino romano che conosciamo grazie ai registi Caligari e Sollima. Poi è arrivato Il più grande sogno, dell’esordiente Vannucci. Ora – con i prossimi film di Özpetek e Genovese, con Stefano Cucchi da interpretare anima e corpo, e con Suburra – La serie che ci restituisce un Numero 8, il suo personaggio estremo, ragazzo e platinato – abbiamo capito che Alessandro Borghi è bravo e basta. Di quelli, direbbe Julia Roberts in Pretty Woman, che ti fanno attorcigliare le budella. Ci incontriamo su un set fotografico al Rockett, piccolo loft romano, dove indossa di tutto ed è buffo vederlo professionalmente impegnato in smorfie e pose assurde che poi, per magia, diventano sexy grazie al fotografo.

Con Ale siamo amici, di quelli che si vedono poco e si abbracciano molto. Con lui è così: a Roma diciamo che è “uno vero”, uno che non sgarra. È forse l’anno più importante per lui, quello che va a iniziare. Ma Ale non si dimentica degli altri, mai. Ed è questo che «Claudio» (Caligari, regista di Non essere cattivo) ha forse capito più di altri: prima di essere Borghi, era il ragazzo che per fare l’attore, quando sul set si guadagnava poco e male, faceva le notti come custode di un garage a vedere film su film. «Così si conquista la libertà, di scegliere e di rifiutare. Sapendo che al massimo tornerò a fare un lavoro normale, ma anche che non tradirò mai me stesso».

Alessandro Borghi indossa giacca PAUL SMITH, t-shirt FENDI. Foto Fabrizio Cestari

Di nuovo Suburra, di nuovo nei panni di Numero 8.
Questa volta è diverso. È passato del tempo, ora ho una consapevolezza, da uomo e da attore, completamente nuova. Ricordo l’emozione quando mi chiamò Sollima per Suburra il film, una cosa enorme, saltavo di gioia. Quando ho saputo di Netflix, della serie, c’era una grande felicità, sì. Ma ho subito pensato a come affrontarlo, non a godermi la notizia. Il bello e il brutto del nostro mestiere è questo: che andando avanti forse le cose te le godi meno. O forse di più, ma in maniera diversa.

Cos’è cambiato?
Ho ritrovato nella serie molto del background che avevo costruito per il film: ci avevo preso, perché il passato che avevo pensato per Numero 8 assomiglia molto a quello raccontato nella serie. Sono nato e cresciuto in contesti dove ce n’erano parecchi come lui, conosco i suoi amici. Devi conoscere certe estrazioni sociali per avere il suo punto di vista, ci sono cose che per quelli come lui sono automatiche, ma tu neanche sospetteresti. Devi ricordare che è un essere umano con le sue debolezze, le sue fragilità. La parte dura è stata smontare la consapevolezza, perché dovevamo immaginare un ragazzo che vive ancora in famiglia, che ancora non sa tenere testa a tutte le relazioni che il padre gli sta lasciando in eredità, oltre all’immaturità naturale di chi forse ancora non sa quale sarà il suo posto. E in più ci sono i rapporti conflittuali, difficilissimi, con il padre e la sorella, non aiutati dal suo carattere, che certo non possiamo definire gioviale! Abbiamo lavorato, poi, esteticamente, sul ringiovanimento: mi troverete molto diverso.

Alessandro Borghi indossa total look PRADA. Foto Fabrizio Cestari

Confessa, chi hai preso come modello? Al Pacino in Scarface?
A livello di cinema, c’è sempre stato il Woody Harrelson di Out of the Furnace davanti a me. Ho scoperto solo sul set con Sollima che entrambi lo avevamo preso a riferimento, senza dircelo. Stefano una volta ha detto: “Nun se capisce mai se Numero 8 è scemo o lungimirante, se te vole ammazzà o se s’è scordato che te vole di’”. Come in Non essere cattivo, però, ho cercato ispirazione soprattutto nella borgata. Nelle comitive del Tufello e di Ostia, in quei ragazzi con cui sono andato a ballare quand’ero adolescente e che ora sono la tavolozza di colori con cui dipingo i personaggi. Ho la fortuna di aver avuto, e avere, una vita piena e varia, che è come uno zaino in cui trovo sempre gli strumenti del mio mestiere. A un certo punto però non penso più e mi affido alla pancia: e capisco se il personaggio funziona quando sono felice e me lo sento addosso. È successo anche con Suburra – La serie, con tre registi diversi e un sistema produttivo e di lavoro completamente complesso. Anzi, è proprio in questi casi che devi focalizzarti sul personaggio, aderire a lui, non pensare al resto. E farti trascinare.

Alessandro Borghi indossa total look GUCCI. Foto Fabrizio Cestari

Suburra, Özpetek, Genovese, il “madrino” a Venezia. Ma come fai?
Inizio a pensare che l’unico modo per salvarsi sia non pensarci: se ti fermi e progetti tutto perché vada bene, impazzisci e ti viene l’esaurimento nervoso, oppure semplicemente non ci riesci. Scherzi a parte, molto lo devo a chi mi sta attorno: agente, ufficio stampa, amici, la mia fidanzata, la famiglia. Quando non sei lucido, loro sanno pensare a – e per – te, ti fanno tornare in carreggiata e concentrare sull’essenza di tutto, evitandoti il sovraccarico negativo e positivo di un lavoro e un momento come questo. E tu non vai in confusione, il pericolo più grande.

Cosa ti fa andare in confusione?
Sono ossessivo-compulsivo: sono ossessionato, per esempio, dal fatto che tutti possano vedere qualcosa che ho già fatto in altri ruoli. Anzi, che lo possa vedere io. È un attimo che penso “Oh, sto a rifà il coatto, adesso tutti mi diranno che faccio sempre lo stesso ruolo, non farò mai più l’attore”. E poi mi fa andare in confusione la mia agenda, quando la guardo: se penso alle cose da fare anche solo fino a dicembre, mi prende un infarto. Meglio far finta di niente!

Paura di essere etichettato da un cinema italiano senza fantasia? Da qui le scelte forti di quest’anno?
No, sia chiaro: se non faccio il criminale romano non è per gli altri, per quello che dicono, ma per me. Io sono un egoista, quando devo fare una scelta penso a quello che mi fa godere, che mi fa stare bene. Fai Numero 8, poi Özpetek e poi dimagrisci 15 chili per fare Cucchi. Sono scelte forti, dettate da quanto sia bello poter raccontare Stefano e fare qualcosa di importante per la società e allo stesso tempo affrontare una performance anche fisica molto difficile. E mi piace che lo spettatore mi veda recitare in sala in un lavoro di Ferzan mentre su Netflix mi vede sparare e fare il matto. Il motivo per cui io e i miei smettiamo di leggere i copioni quando vediamo la frase “Alessandro prende due grammi di cocaina” oppure “Borghi impugna la pistola” è questo: un giorno tornerò a fare anche quel ruolo, ma prima voglio divertirmi con tutti gli altri.

Mi piacerebbe un cattivo vero. Uno che spara tanto e male

Ora cosa cerchi nei copioni?
Mi piacerebbe un cattivo vero. Uno che spara tanto e male, senza redenzione. Nessuno vuole più rischiare di raccontare un bad boy a senso unico, ma se ci pensi nemmeno un buono a senso unico, altro ruolo che mi piacerebbe. Certo, per un attore l’assenza di un ciclo di trasformazione può essere un problema, ma pensa a Jack Nicholson in The Departed o a Hopkins ne Il silenzio degli innocenti. Poi però magari fai un prequel e scopri che “porello”, persino lui c’ha le sue ragioni!

Alessandro Borghi indossa total look GUCCI. Foto Fabrizio Cestari

Sei una macchina a 300 all’ora: da una serie che andrà in tutto il mondo a Berlino che ti ha premiato come Shooting Star, non hai più confini. Guardando avanti cosa provi? Paura, curiosità, adrenalina?
Una voglia enorme di fare le scelte giuste, non paura. Non voglio farmi inghiottire dalla strada che ho davanti o farmi investire da questa macchina. E sono curioso: voglio capire dove posso arrivare, quanto ancora posso alzare l’asticella. Ho la fortuna, ora, di avere tante occasioni per forzare i miei limiti. Voglio capire quanti personaggi posso essere e su quali piattaforme. È un momento di espansione enorme, voglio arrivarci sempre il più preparato possibile. Ma il segreto, l’ho capito negli ultimi due anni, è stare bene con se stessi e con gli altri. È la cosa più importante. Magari fai la memoria per 4 mesi, sei perfetto, però arrivi sul set e odi tutti. Hai sbagliato qualcosa. Se invece come sul set di Genovese, dove faccio un cieco, con Valerio Mastandrea rido e mi diverto, allora tutto è più facile. Certo, poi diventa impossibile fare una scena buona: ti dico solo che sul set mi sono fatto fare le lenti a contatto oscurate per non vederlo: altrimenti con le smorfie di Valerio non riuscivo a portare mai a casa un ciak buono.

Alessandro Borghi indossa total look DIOR. Foto Fabrizio Cestari

Cosa ti dà e cosa ti toglie fare l’attore?
Ho capito che fare l’attore non è per nulla semplice. Però ti dà la possibilità di avere scambi umani e intellettuali importanti. Persino in questo ambiente, che è pieno di stronzi, ma anche di anime belle e interessanti. Io e te, se non avessi fatto l’attore non ci saremmo mai conosciuti, per dire. La cosa negativa è il conflitto costante, doloroso, con il tempo. Sapere che alla fine di una lunga giornata ce ne sarà una più lunga, scoprire che sono tre giorni che non chiami tua madre, che non esci con gli amici da mesi. Se il lavoro diventa un guinzaglio e pensi solo a quello, ti inaridisci, non trovi più un’ispirazione perché sei chiuso dentro un recinto. Il tempo mi ha tolto anche il teatro, che mi manca molto.

Amo Mastroianni e Volonté, ma sono pazzo di Leonardo DiCaprio

Per dirla alla Stanis La Rochelle, nel modo di recitare e nelle scelte sei “molto poco italiano”. Più De Niro che Mastroianni, insomma.
Essendo io abbastanza giovane, mi viene naturale avere come riferimenti diretti i divi americani. Ho visto tutto il cinema italiano classico, amo Mastroianni e Volonté, ma sono pazzo di Leonardo DiCaprio. Forse il mio essere “poco italiano” sta nel fatto che sono Leo e soci che mi hanno cresciuto, e probabilmente ho preso da loro la voglia di trovare sfide sempre nuove, al limite, anche fisicamente… Se unisci il tutto alla curiosità morbosa che mi distrugge la vita da quando sono bambino… eccomi qua.

Alessandro Borghi indossa total look GUCCI. Foto Fabrizio Cestari

Interpretare Stefano Cucchi dopo Suburra è un modo per non farsi strozzare dal mainstream?
borghi È fare un’opera di importanza civile, sociale, raccogliere un testimone che non potevo ignorare. E poi, il film su Cucchi ha una sceneggiatura pazzesca, che è la cosa più importante.

Dove ti vedi fra 10 anni?
Oddio, non lo so proprio. Dipende da quello che accadrà. Non so se come Totti da calciatore passerò a fare il dirigente: per ora non sento velleità da regista e produttore, ma la vita è una e vuoi vivere tante cose diverse, magari a 50 anni scappo a New York e apro un albergo col cinema dentro, che ne sai. So che voglio divertirmi e sì, forse una certezza la ho: andarmene un po’, anche tra meno di 10 anni, in un posto che non sia l’Italia.

Alessandro Borghi indossa total look GIORGIO ARMANI. Foto Fabrizio Cestari

Hollywood?
Magari.

Questo tuo desiderio di lasciare l’Italia è in linea con la fuga di talenti e cervelli che la nostra generazione vive ormai da tempo.
Ti faccio un esempio: mia sorella, intendo quella di Numero 8, Barbara Chichiarelli. Già dai provini avevo capito che era di un altro livello. La prima volta che ci siamo incontrati per girare mi fa: “Sono tesa, è il mio primo giorno” . “Pure il mio”, rispondo, sorridendo. E lei: “Non hai capito, è il primo giorno di set della mia vita”. Non ci credevo: 32 anni, un’attrice pazzesca. Ho pensato: perché devo sempre incazzarmi con il mio Paese? Perché devo arrabbiarmi anche quando mi alzo felice dal letto? Per fortuna che ci sono Suburra e Netflix, direttrici casting come Laura Muccino e registi come Stefano Sollima, che non hanno pregiudizi né bisogno di grandi nomi nel cast. Perché sono loro che hanno scelto Borghi e ora Barbara.

Alessandro Borghi indossa total look GUCCI. Foto Fabrizio Cestari

Hai avuto più paura del ruolo di “madrino” a Venezia o della messa in onda mondiale di Suburra?
I miei pensieri sono più rivolti alla Sala Grande. Non perché avessi paura di cadere o di fare gaffe. Ma perché all’entrata il pensiero è andato a Claudio, Claudio Caligari. Ricordo Luca Marinelli, Valerio Mastandrea e io sulla macchina che ci portava al red carpet di Non essere cattivo. Il nostro silenzio. Gli occhi che si guardavano e dentro c’era quell’uomo, che se n’era andato da poco e ci aveva cambiato la vita. Entrando ho pensato a lui. Non era paura, era emozione.

Alessandro Borghi c’è l’ha ancora, il suo più grande sogno?
È quello che mi succede da tre anni a questa parte. E sì, c’è anche il remake di The Departed con DiCaprio. Ma per quello c’è tempo!

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