Il grande freddo: gli effetti del coronavirus su Hollywood | Rolling Stone Italia
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Il grande freddo: gli effetti del coronavirus su Hollywood

Festival annullati, uscite rimandate, set bloccati, parchi a tema chiusi: l'industria del cinema e della tv sta vivendo un contraccolpo economico senza precedenti. Che è solo all'inizio

Foto: Amy Peryam on Unsplash

Ora che la gravità della crescente epidemia di coronavirus è comprovata e tutti si stanno impegnando a salvaguardare la propria salute e le risorse per andare avanti, l’industria dello spettacolo se la vede con queste tre domande cruciali: quanto sarà doloroso il bilancio generale sulle fasce di lavoratori meno pagate e tutelate? Quanto sarà alto l’ammontare delle perdite finanziarie? E tutto il settore come gestirà questo effetto-domino sull’intero calendario di Hollywood mai sperimentato prima? La valanga di repentini annullamenti e rinvii di festival e uscite che garantiscono la benzina ai motori dell’industria farà sentire l’impatto del COVID-19 ben oltre il 2020. E la recessione che incombe sugli Stati Uniti amplificherà il colpo subito dalle maggiori società di media. Gli analisti dell’industria affermano che la caduta del Dow Jones in questo mercato in ribasso ha già provocato l’istantaneo congelamento, quantomeno al momento, su acquisti e investimenti nel settore.



In effetti, i massimi dirigenti in campo stanno già facendo passare la voce, almeno tra di loro, che c’è una sola certezza all’orizzonte: soltanto i più forti sopravvivranno a questo crollo. I rami più deboli dell’industria e quelli tradizionali, che hanno già superato i loro anni d’oro (soprattutto convention e fiere, festival cinematografici e il rituale primaverile della presentazione dei listini dei principali network), se la vedranno davvero brutta, durante questa tempesta improvvisa. E, considerate le decine e decine di produzioni costrette a fermarsi, inclusa almeno una ventina di episodi pilota della stagione televisiva 2020-2021, gli insider prevedono che la bolla della Peak Tv potrebbe definitivamente scoppiare.



«Tutto questo potrebbe arrestare definitivamente un sacco di cose che sono fuori controllo da troppo tempo», afferma un veterano degli studios. Le prime vittime di questa inattesa interruzione sono, come sempre, i dipendenti in prima linea che non possono più timbrare il cartellino, come quelli dei parchi divertimenti Disney e NBCUniversal costretti alla chiusura, o i 50 impiegati del SXSW, che questo mese invece della busta paga hanno avuto il benservito, visto che il festival annuale di Austin, Texas, è stato cancellato.



Con i cinema chiusi nelle piazze più grosse come Los Angeles e New York, ulteriori posti di lavoro saranno a rischio. Il box office nordamericano dell’ultimo weekend è crollato a 55.3 milioni di dollari, il livello più basso dal settembre del 2000. Tra gli insider dell’industria, c’è il timore diffuso che ci saranno licenziamenti considerevoli in tutta Hollywood, se l’impatto del virus costringerà a tenere chiuse le attività ancora per molto tempo.



Il blocco di tantissime produzioni cinematografiche e televisive pronte a partire o in piena lavorazione ha inferto un duro colpo non solo agli sceneggiatori e ai produttori, ma a tutti i lavoratori di rango minore, che contavano non solo sugli stipendi dei prossimi mesi, ma anche su nuove voci da mettere nel curriculum in grado di garantire lavori in futuro. Ancora non è chiaro, da parte di studios, network e servizi di streaming, se e come i membri delle troupe di queste produzioni interrotte saranno rimborsati.



Mentre le maggiori agenzie di talent, le compagnie di management, le società di pubbliche relazioni e le case di produzione hanno istituito politiche di smart working, e molte serie stanno cercando di mettere in piedi delle “writers’ room” virtuali, ad alcuni degli assistenti e dei membri del personale non è stata data questa opzione, come dichiarano loro stessi a Variety. «I lavoratori che sono pagati meno, che hanno le assicurazioni sanitarie più scarse e le minori possibilità di sfruttarle sono costretti a presentarsi sul luogo di lavoro», dice un assistente alla produzione. «Se stiamo a casa, dobbiamo prendere dei giorni di malattia; ma, una volta esauriti quelli, non verremo più pagati. I miei capi hanno l’atteggiamento del tipo “Se ti ammali, è colpa tua”. Ma qui siamo di fronte a una pandemia!».



Quando inevitabilmente il picco della pandemia si attenuerà, l’altra grande sfida per l’industria sarà riscrivere il calendario di tutte le cerimonie di premiazione, degli eventi, delle anteprime e delle uscite, per fare spazio a tutto ciò che sarà stato lasciato indietro in questa metà di 2020. Il Tribeca Film Festival, la convention della National Association of Broadcasters, il WonderCon, la Hong Kong Filmart e gli AFI Life Achievement Award sono tutte manifestazioni che sperano in una resurrezione alla fine di quest’anno. Molti prevendono che anche il prossimo Festival di Cannes, previsto nel periodo 12-23 maggio, sarà annullato o rimandato, considerate le restrizioni recentemente imposte dal governo francese. Il festival di pubblicità e marketing Cannes Lions si è già assicurato una finestra alla fine di ottobre, se sarà costretto a rimandare l’evento al momento programmato tra il 22 e il 26 giugno.



Il mondo post-coronavirus potrebbe essere caratterizzato da una riduzione «piuttosto drammatica» degli eventi relativi all’industria dell’entertainment, sostiene Rob Gabel, CEO della società di video measurement Tubular Labs. «Quando c’è una recessione, l’esito è sempre una riduzione del “gregge”. Se non sei un evento cruciale, o il numero 1 o 2 nella tua nicchia, allora per te sono guai. La domanda è: sei una manifestazione a cui bisogna partecipare per forza o una manifestazione a cui è semplicemente divertente andare? È una mera questione di sopravvivenza».



La prospettiva del rinvio di un evento di scala colossale come le Olimpiadi di Tokyo, pianificate nel periodo 24 luglio-9 agosto e probabilmente rinviate all’estate del 2021, è uno degli esempi in grado di generare un effetto domino globale: sugli atleti che hanno lavorato duramente per potervi partecipare, sul Comitato Olimpico Internazionale e i suoi partner, sugli investitori pubblicitari e sui network di tutto il mondo, che hanno pagato a peso d’oro i diritti per la messa in onda dei Giochi. In aggiunta a tutto questo, lo spostamento delle due settimane di Olimpiadi colpirà le strategie di lancio dei futuri film e serie, nonché l’agenda di festival e convention.



La portata dei danni causati dal COVID-19 è ancora difficile da misurare, anche se il numero dei contagiati cresce e l’economia si arresta ogni giorno di più. Nessun settore dell’industria mediatica è stato risparmiato, nella valanga di divieti imposti da città e Stati riguardo agli eventi pubblici e al telelavoro dei dipendenti di tutte le aziende o quasi. Nell’era moderna, non c’è nessun precedente di questo tipo per quanto riguarda NBA, NHL e NCAA, costrette a sospendere le loro partite a metà stagione. Si prevede un ritardo anche sull’inizio della prossima stagione della Major League di baseball, anche se, al momento, la NFL ha assicurato che la stagione inizierà quando previsto, vale a dire a settembre.



«Considerati tutti i campionati sportivi sospesi o cancellati, saremo costretti ad assistere a una sorta di esperimento su larga scala che potrebbe mettere a nudo la gestione economica delle maggiori televisioni», ha scritto l’analista di Barclays Kannan Venkateshwar in una nota del 12 marzo scorso, nella quale definisce gli eventi sportivi in diretta «l’ultima ancora di salvezza» per i network sia in chiaro sia via cavo.



La corsa a modificare le date d’uscita di film e serie tv costerà un prezzo salatissimo nel settore marketing e promozione. E pure le entità delle perdite su progetti che erano pronti a partire lascerà sul tavolo conti molto alti da pagare. Rischedulare tour musicali e altri tipi di spettacoli spesso prenotati con un anticipo di mesi se non anni porterà a un processo labirintico, che dovrà far combaciare le agende degli artisti con la disponibilità delle location.



Il frettoloso spostamento di Fast & Furious 9, di produzione Universal, dal 22 maggio di quest’anno al 2 aprile del 2021 avrà come risultato la perdita di milioni di dollari sul mercato internazionale. Non solo, ha anche ritardato di un anno il calendario delle uscite della saga stessa, attentamente studiato da tempo: il nono episodio ha ora preso il posto previsto per il decimo capitolo.

Yifei Liu in ‘Mulan’



Disney è stata costretta a congelare l’attesissimo Mulan: la versione live-action del classico d’animazione è spostata dal 27 marzo a data da destinarsi. MGM e Universal sono state le prime a optare per il rinvio dell’ultimo film della saga di James Bond, No Time to Die, rimandato dall’inizio di aprile alla fine di novembre. Paramount Pictures ha invece posticipato A Quiet Place II una settimana prima dell’uscita in sala prevista.



«Rinviare molti titoli al 2021 o persino più tardi renderà difficile la ripresa del normale calendario per Disney, soprattutto relativamente ai titoli forti di quest’annata», sostiene Venkateshwar. «Il che potrebbe portare a una ricerca di alternative per monetizzare sui progetti in corso, soprattutto quelli che non saranno distribuiti su larga scala o quelli che hanno budget inferiori»



Per player minori come Lionsgate, MGM e STX, l’impossibilità di portare i loro film nelle sale rischia di prosciugare le entrate, soprattutto se la chiusura dei cinema andrà avanti. Ancora non si sa quando le sale dei due maggiori mercati nazionali – New York e Los Angeles, come da decreto dei sindaci Bill de Blasio e Eric Garcetti – potranno riaprire.



«Siamo di fronte a un trauma a lungo termine per ciò che concerne l’industria, e a un trauma a breve termine riguardo alla solvibilità», osserva James Angel, docente di Finanza alla Georgetown University. «Le attività che si basano sugli incassi quotidiani e che improvvisamente non possono più contare su quelle entrate potrebbero finire schiacciate dai debiti. Ci sarà una reazione a catena sull’intera scala economica».



Gli esercenti sono i più esposti, in questa crisi causata dall’epidemia. Jeff Logan, proprietario dei Logan Luxury Theaters (tre sale in South Dakota), ha definito «spaventosi» sia la minaccia per la salute collettiva sia il potenziale di perdite delle sue attività. «Se la vendita di biglietti crollerà, la mia società sarà costretta a ridurre all’osso la sua forza lavoro. Siamo tutti molto preoccupati: già vediamo quanto si sono messe male le cose. In realtà, credo che la situazione varierà da sala a sala, ognuna ha spese diverse. Se ti finanzi da solo e non hai chiesto soldi in prestito, allora è un altro discorso».



Oltre ai pilastri dell’industria, ci sono tante altre vittime sul campo. L’action Bloodshot, prodotto da Sony Pictures e interpretato da Vin Diesel, è stato prodotto nella speranza di capitalizzare sfruttando l’attrattiva della star in Cina. Ma lì il film è uscito il 13 marzo, nel pieno della quarantena e delle sale chiuse in gran parte del Paese, col relativo tonfo dell’intero botteghino.

Vin Diesel in ‘Bloodshot’



Con così tanti titoli alla ricerca di nuove date d’uscita, si rischia un periodo di siccità nella stagione estiva, seguito da un effetto imbuto sul calendario della fine di quest’anno e dell’inizio del prossimo. Nel frattempo, risollevare il circuito dei festival sarà il principale compito dei produttori che contavano su quelle manifestazioni per incassare i primi introiti e lanciare i loro titoli più “arty” verso la stagione dei premi.



La produttrice Christine Vachon, co-fondatrice della Killer Films, aveva in canna Shirley, il thriller con Elisabeth Moss pronto per il Tribeca Film Festival, inizialmente previsto dal 15 al 26 aprile. Il 13 marzo, Vachon ha dichiarato che stava continuando a lavorare alla produzione di Halston, la serie di Ryan Murphy prodotta da Netflix con Ewan McGregor nel ruolo del famoso stilista. «Date le circostanze, il Tribeca non aveva scelta», dice ora Vachon. «Anche se i registi che speravano di presentare i loro film lì o al SXSW sono giustamente dispiaciuti, è troppo presto per stabilire quando potremo venirne fuori. Davvero non so che dire».



L’impossibilità di prevedere quando le condizioni di lavoro potranno tornare alla normalità significa anche l’incapacità, da parte degli studios, di riprogrammare le date delle riprese dei progetti ora bloccati. È certo che tutto questo porterà a un periodo caotico, in cui la sfida principale sarà mettere insieme le agende di attori, produttori, showrunner e dell’intero, fondamentale personale di produzione. Gli insider preannunciano che molti progetti finiranno, molto semplicemente, nel dimenticatoio. Molti film pronti a uscire nelle sale sbarcheranno direttamente sulle piattaforme di streaming. E alcuni episodi pilota di serie attese per il futuro saranno bloccati e magari non riportati in vita: almeno non subito.



Questo scossone costringerà le compagnie a ridurre le spese destinate ai festival, alle convention, alle fiere di mercato, agli eventi promozionali e alle partnership commerciali. Un colpo ancora più duro, considerato uno scenario in cui le principali aziende del settore media stanno già vivendo una forte pressione riguardo alla loro attività in campo di marketing e pubblicità, col rischio di contrarre ancora più debiti. «Se le entrate quest’anno saranno pari allo zero, e dunque le società aggraveranno le loro perdite, non potranno di certo tornare in piedi», nota lo storico executive di una delle più grandi società del campo.



Alcuni pensano che le preoccupazioni per questi ritardi nelle produzioni, per gli annullamenti e i rinvii dell’uscita dei film siano una cosa frivola, rispetto alla crisi che riguarda la salute pubblica. Ma anche i film più luccicanti sono realizzati grazie al duro lavoro dei membri della troupe, e degli sceneggiatori, dei registi, dei dipendenti degli studios, tutte categorie che soffrono di questa paralisi generale, e con all’orizzonte la minaccia dei licenziamenti.



Il professor Angel della Georgetown University sostiene che la domanda vera è quando avverrà la recessione, non se. Anche se il picco dell’epidemia calerà, la recessione produrrà un forte arresto nella possibilità di spesa dei consumatori, così come sta portando Hollywood a focalizzarsi sui servizi di streaming e sui prodotti da distribuire direct-to-video. Gli esborsi per la pubblicità ripiomberanno nel vecchio ciclo di espansioni e frenate che l’economia aveva evitato nell’ultimo decennio. Ma, come evidenziato finora dai folli oscillamenti del mercato azionario, ci vorrà molto tempo per sperare in una correzione di questa tendenza.



«È come vedere un incendio arrivare da lontano, e sapere che davanti a te c’è solo sterpaglia secca pronta a prendere fuoco», commenta Angel. «Adesso, tutto sommato, siamo pronti. Ma poi, quando l’incendio sarà spento, tutti cominceremo a pensare: “Dobbiamo davvero ricostruire la stessa casa nello stesso punto?”».



Anche prima che l’emergenza da COVID-19 esplodesse il mese scorso, i sommovimenti del mercato economico avevano costretto molte aziende a fare scelte durissime su come e dove allocare le proprie risorse. Le società di media ed entertainment erano già nel pieno di una forte transizione, ben simboleggiata dal passaggio dalla filiera tradizionale alle piattaforme di streaming. I tre maggiori gruppi del settore – Disney, Comcast e AT&T – si stanno tutti riallineando sulla scia di nuove fusioni e acquisizioni.

Ma la risposta del pubblico all’epidemia crescente ha lasciato i boss dell’industria con un senso di frustrazione profonda. Il ritmo delle chiusure è accelerato il giorno dopo che il Presidente Donald Trump ha annunciato con un funereo messaggio alla nazione che gli Stati Uniti, come misura preventiva, avrebbero bloccato tutti i voli dall’Europa. La gente si è riversata nei supermercati a fare incetta di qualsiasi cosa, lasciando gli scaffali vuoti e preparandosi all’isolamento e all’auto-quarantena. Nei giorni scorsi, il panico è ulteriormente aumentato, spostando l’attenzione dagli eventi al cinema e in tv all’accumulo di scorte e all’adozione di misure per la salute personale e pubblica. L’inversione di 180 gradi nel livello collettivo di allarme è palpabile sia nella Borsa sia nella politica.



«I mercati odiano l’incertezza. E il coronavirus sta creando un’incertezza così grande come non ne vedevamo da un paio di decenni», dice Erik Gordon, professore associato alla Ross School of Business della University of Michigan. Tra gli storici player dell’industria dello spettacolo, l’impatto di una recessione autoindotta porterebbe dalla padella alla brace.



Oggi le società di media hanno strutture verticali e si muovono su più fronti. Ciò significa una maggiore diversificazione e un minore affidamento su un settore in particolare. Ma vuol dire anche una più ampia possibilità di subire colpi, moltiplicati su un numero molto più alto di segmenti diversi. Se non altro, la paura generata dal COVID-19 ha rinforzato la profondità e la portata del mercato internazionale dei media e dell’intrattenimento.



Prendete Comcast, le cui proprietà includono comunicazioni Internet e via cavo, i network di NBCUniversal, l’europea Sky, teatri di posa e parchi a tema. Questi ultimi due settori saranno quelli più danneggiati, dice Craig Moffett, analista presso MoffettNathanson. I due parchi tematici di Universal Studios su suolo americano resteranno chiusi almeno fino alla fine del mese, per evitare la diffusione del virus provocata dall’assembramento di grandi folle. Un colpo durissimo sullo “spring break” in Florida.



Lo slittamento delle Olimpiadi è un’altra pessima notizia per NBCUniversal, che detiene i diritti della messa in onda dei Giochi fino al 2034. E anche per il suo sbarco nell’universo delle piattaforme con Peacock, la cui partenza è prevista per il 15 luglio, una settimana prima dell’originale inizio dei Giochi. «Se le Olimpiadi saranno cancellate, Comcast non solo perderà tutte le entrate garantite da pubblicità e sponsorizzazioni: si ritroverà anche senza l’evento-chiave attorno a cui era imperniata la strategia di lancio di Peacock», osserva Moffett. «Dovranno ripensare Peacock come una piattaforma meno esclusiva e, di conseguenza, meno allettante».



Considerato il fatto che l’economia sprofonderà in una recessione in piena regola, il conseguente aumento dei nuclei famigliari – figli che torneranno a vivere con mamma e papà, persone che sceglieranno di condividere il loro appartamento con più coinquilini per diminuire la rata dell’affitto – assesteranno un colpo a Comcast anche per ciò che riguarda gli abbonamenti Internet.



C’è poi la Walt Disney Company, il cui status di decano dell’industria può rivelarsi un’arma a doppio taglio. La decisione del 14 marzo di chiudere temporaneamente i cancelli di Disneyland è stata presa prima che Universal facesse la stessa cosa coi suoi parchi. Anche le “succursali” Disney di Orlando e Parigi hanno annunciato l’intenzione di fermarsi, portando alla chiusura di tutti i parchi Disney nel mondo entro marzo. E le crociere Disney hanno sospeso le nuove partenze. Una serie di altri parchi a tema ha seguito il trend, per evitare la diffusione della malattia.



«È una situazione in cui solo i comportamenti corretti potranno darci in cambio cose buone», ammette Peter Liguori, ex presidente di Fox Entertainment ed ex CEO di Tribune Media. «Ora non dobbiamo cercare di controllare i danni. Dobbiamo pensare a come garantire una continuità all’industria». L’impatto sul bilancio di Disney sarà significativo. I parchi a tema, le crociere e i gadget relativi hanno garantito lo scorso anno circa la metà (il 45%, per la precisione) degli introiti della compagnia. Ogni giorno la chiusura dei parchi Disney solo negli Stati Uniti costa all’azienda dai 20 ai 30 milioni di dollari, è la stima di Venkateshwar.



La “madre” di WarnerMedia, cioè AT&T, ha in previsione, proprio come Comcast, il lancio di un’altra piattaforma di streaming: HBO Max, che dovrebbe essere operativa da maggio. Tra tutte le maggiori compagnie con proprietà diversificate nel settore dei media, AT&T è la più pesantemente compromessa. «Il problema è che non cresce», dice Moffett. «Sono un business in calo anche senza una recessione di mezzo. Con una recessione, la loro attività nel campo della wireline commerciale, le cui dimensioni sono pari quasi a quelle dell’intera WarnerMedia, potrebbe essere ancora più violentemente danneggiata».



Non è tutto. Oltre alla perdita dei vantaggi commerciali garantita dalla messa in onda su TNT delle partite della NBA, «AT&T dovrà fronteggiare mesi di sale cinematografiche chiuse, e si prepara al lancio di HBO Max con un prezzo di partenza già più basso di quello previsto, ma che potrebbe essere comunque disertato da molti consumatori alle prese con lo stress economico in corso», aggiunge Moffett. «Sembra che ogni settore di AT&T sia al momento a rischio».



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L’unico raggio di sole per tutte le società in campo è rappresentato dal fatto che, tra i divieti imposti nelle città e l’incremento delle persone che lavorano da casa, i nuovi servizi di streaming – Disney +, HBO Max e Peacock – potranno fare gola a molti.



Nel frattempo, il panico da pandemia ha dato una notevole botta anche a ViacomCBS, che stava già vivendo un calo vertiginoso, al punto da provare in tutti i modi a convincere Wall Street che una compagnia più allargata sarebbe potuta essere la strategia vincente per una crescita futura. Se l’ultima capitalizzazione in Borsa lo scorso 4 dicembre le aveva già fatto perdere più della metà dei 30 miliardi di dollari del suo valore di mercato, con l’emergenza coronavirus le azioni di ViacomCBS sono scese ulteriormente, cosa che non succedeva dal dicembre del 2010.



Ma anche se il mare in cui nuotano è sempre più rosso, le società di entertainment possono sfruttare questo momento per tenere i riflettori accesi su ciò che ognuno sta pagando per una questione che riguarda la salute di tutti. «La fiducia è l’unica cosa davvero collettiva», conclude Liguori. «Agire in modo onesto e trasparente è il vero bonus che incasseranno queste aziende sul lungo termine. Adottare misure eque e focalizzare l’attenzione sulle persone che sono il vero cuore di questo business: è questa la cosa giusta da fare adesso».

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Variety dell’18 marzo 2020.

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