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‘The Power of the Dog’: Benedict Cumberbatch sporco e cattivo per il ritorno di Jane Campion

12 anni dopo il suo ultimo film, la regista neozelandese porta a Venezia 78 un post-western psicologico girato impeccabilmente e con una grazia purissima. Starring un Cumberbatch clamoroso e inedito

Benedict Cumberbatch in ‘The Power of the Dog’ di Jane Campion. Foto: Netflix


QUEL fischio che terrorizza il personaggio di Kirsten Dunst e perseguita pure noi. Un bagno solitario ed evocativo nel laghetto come mammà l’ha fatto che alzerà le sue quotazioni da sex symbol (manco ce ne fosse bisogno). Ma soprattutto, per Benedict Cumberbatch, un ruolo inedito, totalmente inaspettato e finalmente d’auteur, all’altezza di un carisma e un talento larger than life (ma cosa c’avranno ‘sti inglesi? Domanda retorica). In The Power of The Dog, il gentleman british dalle fattezze quasi aliene e con il nome più bistrattato di sempre, è un ranchero brutto (si fa per usare la citazione, sia chiaro), sporco e cattivo. E sadico, rabbioso, omofobo, temutissimo. Un villain? «Phil Burbank non è solo il cattivo della storia, ma una figura poetica complessa. È stata un’esperienza immersiva: Jane ti permette di esprimerti con libertà nel perimetro del suo gusto», dice lui.

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La Jane in questione è Campion, signora neozelandese del cinema dai lunghi capelli bianchi che con questo film è tornata sul grande schermo 12 anni dopo il biopic su John Keats, Bright Star (in mezzo c’è stata la miniserie Top of the Lake). Prima Palma d’oro femmina della Storia e seconda mai nominata come regista agli Oscar (in entrambi i casi per Lezioni di Piano). «Non c’è niente che fermi una donna de le si dà una possibilità, ma le statistiche non sono a nostro favore», Campion dixit. Certo, se tutte le registe (e pure un buon numero di registi) girassero come lei non ci sarebbe nessun affaire quote rosa, niente di niente. Fine della polemichetta, passiamo oltre.

Tratto dal romanzo del 1967 di Thomas Savage, The Power of The Dog (dal 1 dicembre su Netflix) è un po’ I giorni dell’Eden, un po’ La valle dell’Eden, un po’ Brokeback Mountain. Campion realizza impeccabilmente e con grazia purissima (i panni stesi al sole! I close up sui volti!) un post-western psicologico di anime sole, sempre fuori posto, intrappolate da una frontiera ideale, quella del mito machista dell’autodeterminazione tutto americano che piega e spezza anche e soprattutto chi finge di padroneggiarlo alla perfezione: «Ho pensato che il libro fosse bellissimo», racconta Jane. «Ha avuto un effetto potente su di me. Non sono riuscita a dimenticarlo, perché ti lavora dentro». Lo score atmosferico strepitoso di Jonny Greenwood, che ricorda parecchio quello del Petroliere, fa il resto.

È il primo film con un protagonista maschile per Campion, («Sono una persona creativa, non ho calcolato le percentuali di genere. Semplicemente la storia era incredibile»), ma è anche un cautionary tale sui rischi della mascolinità tossica: «È il risultato di come Phil è cresciuto: lo capisco, non giudico né condivido, ma lo capisco. L’assenza di redenzione fa parte di lui, è la sua tragedia personale. Il maschilismo tossico lo riconosci, le persone spezzate danneggiano gli altri», afferma Benedict.

Tutto si rivela nel finale, e dare un’idea di quello che succede senza fare spoiler è praticamente una mission impossible, tocca fermarsi un attimo prima di incapparci. Il Phil di Cumberbatch possiede il più grande ranch del Montana (in realtà è la Nuova Zelanda) insieme al fratello George (Jesse Plemons), che chiama costantemente “fatso”, “panzone”. Il primo è brutale e sgradevole quanto il secondo è cordiale e gentile, ma negli anni sono riusciti trovare un loro equilibrio. Che verrà minato quando George sposa la vedova Rose (Kirsten Dunst). E Phil tortura lei e il figlio adolescente Peter (un eccezionale Kodi Smit-McPhee, attore australiano già visto in The Road, Blood Story e nei panni di Nightcrawler nella saga degli X-Men): la bomba potrebbe scoppiare in qualsiasi momento. Cumberbatch padroneggia in maniera impressionante le meccaniche spietate della crudeltà: in una sequenza da pelle d’oca minaccia Rose mentre lei cerca di esercitarsi al pianoforte. Come? Semplicemente suonando il suo banjo di rimando. Poi la cadenza pesante dei suoi stivali con gli speroni. E, di nuovo, QUEL fischio.

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