Siamo stati a ‘La Guarimba’, l’anti-festival che sfida il pubblico | Rolling Stone Italia
Eat the rich

Siamo stati a ‘La Guarimba’, l’anti-festival che sfida il pubblico

Un piccolo paradiso di resistenza cinematografica e culturale, una factory ad Amantea, in Calabria, che da tredici anni si occupa di «riportare il cinema alla gente e la gente al cinema», dice il fondatore Giulio Vita

Siamo stati a ‘La Guarimba’, l’anti-festival che sfida il pubblico

Foto: Antonio Reda per La Guarimba 2025

Screening Day 1 a La Guarimba 2025

Eat the rich. Mangia il ricco. Una scimmia dall’aria sfacciata e divertita addenta un trancio di pizza. La tagline campeggia ovunque, in pieno agosto, durante la settimana del festival. Il biglietto da visita de La Guarimba è provocazione e manifesto, una bandiera calabro-venezuelana issata su Amantea, antica città di pescatori nella provincia di Cosenza. Il messaggio è chiaro ed è politico: «Rivendicare i diritti del popolo contro le ricchezze di pochi». Tra avventurieri e abitanti locali di una quotidianità che affaccia sul mare ma guarda verso la montagna, siamo andati a toccare con mano il festival che per il tredicesimo anno di fila, in un’atmosfera decisamente fuori dall’ordinario, riunisce volontari, maestranze e artisti provenienti da tutto il mondo. Qui hanno un nome preciso: sono i guarimberos.

«Non è la mia comunità», chiarisce subito Giulio Vita spiegando perché rifiuta di lavorare con talent famosi e con i numeri delle grandi città. La sua comunità incarna invece l’antitesi del festival contemporaneo: è quasi un anti-festival. Mi ritrovo dentro una factory che da tredici anni si occupa di «riportare il cinema alla gente e la gente al cinema», con una residenza per artisti internazionali (il Kino Guarimba), un’altra per compositori e musicisti emergenti (La Guarimba Music Camp), un festival di cinema per bambini con laboratori creativi nelle scuole (La Grotta dei Piccoli) e due spazi culturali attivi ogni giorno, tutto l’anno e gratuitamente: La Piccola Biblioteca di Amantea (l’unica Aula Studio del territorio con uno studio di registrazione e una sala conferenza) e Il Terrenito, campo base che ospita anche le giornate de La Guarimba International Film Festival. Insomma, un piccolo paradiso di resistenza culturale.

Foto: Antonio Reda per La Guarimba 2025

Per gli indios venezuelani la parola “guarimba” significa “posto sicuro”. Non è un vezzo. È l’emblema della vita del suo ideatore, Giulio Vita, nato nel 1988 in Italia ma cresciuto in Venezuela in una famiglia calabro-venezuelana. A Caracas ha studiato giornalismo, a Madrid cinema. Entrambe le cose hanno arricchito la sua travagliata relazione con Amantea, paese natale dei nonni. In Italia, Giulio è tornato dopo essere stato sequestrato e torturato dalla polizia di Caracas per aver protestato contro il governo. Di certo non ha perso lo spirito sovversivo. Così La Guarimba è nata nel 2012, dalla voglia di creare un nuovo “posto sicuro”: prima il festival e poi l’Associazione Culturale, centro di una comunità che richiama personalità eclettiche e internazionali verso una terra, la Calabria, in cui a detta di Vita «tutto è possibile».

«L’anno scorso ci ha lasciati Nonna Saveria, uno dei simboli di questo festival e la prima sostenitrice dei miei progetti», racconta per il lancio di questa edizione. «È andata via poco a poco, in una discesa verso l’infanzia, dopo una vita di sacrifici come quella di tante donne calabresi della sua generazione. È stata lei, col suo fare contadino, ad insegnarmi a prendermi cura delle cose, dell’importanza di sporcarsi le mani per coltivare i propri sogni, e a celebrare insieme le belle notizie. Nonna era, per me, la dimostrazione fisica di quello che significa l’impatto del mio lavoro: una lavoratrice che non ha avuto accesso all’educazione né a eventi culturali, però molto motivata dalle storie che proiettiamo. Perché la Cultura non può essere un’arma contro gli ignoranti né una bolla per farci sentire superiori. Deve essere una strada illuminata per elevarci in maniera collettiva, liberi di interpretare le immagini che vediamo, senza spiegoni né pippotti inutili. Infatti, dopo ogni sera, io e mia nonna scambiavamo opinioni su quello che le era piaciuto di più. Questa tradizione ha creato il Premio Nonna Saveria, che consegnavamo al corto che le era piaciuto di più. Quest’anno sarà la prima edizione senza la sua luce e la prima di mio figlio Lorenzo, che purtroppo non ha potuto conoscere».

Foto: Antonio Reda per La Guarimba 2025

Il fatto che il progetto Guarimba si nutra di ricordi e valori personali è la sua vera peculiarità. Arrivo tra i guarimberos troppo tardi per conoscere Nonna Saveria, ma giusto in tempo per dare il benvenuto a questa nuova famiglia che sorge, e scoprire un anti-festival a conduzione familiare, in cui la sensazione di trovarsi a casa incontra una programmazione di corti internazionali di alto livello, nel contesto di una manifestazione atipica, libera e davvero multiculturale. Scopro storie che difficilmente avrei scoperto altrove, come quella di Camila Bonnet e Coromoto Hernández, dj e produttrici di Está Jevi, uno spazio urbano che negli ultimi anni ha trasformato la vita notturna di Caracas. Nato durante la pandemia con l’esigenza di creare, in una città a misura d’uomo, uno spazio destinato soprattutto alle donne, Está Jevi è diventato un microcosmo rivoluzionario che ha cambiato la vita di tante persone, in cui ognuno può vestirsi come vuole, ballare come vuole, essere chi vuole. Senza pregiudizio e senza correre pericoli. Conosco da vicino anche il più noto collettivo Volevo Solo Aprire Un Museo, costola irriverente del TAM – Tower Art Museum di Matera, nata da un gruppo di giovanissimi amici – tra cui architetti, curatori museali, storici dell’arte e disegnatori – che, un po’ come Giulio Vita, hanno scelto di tornare a casa per cambiare qualche regola. «È possibile fare qualcosa di sostenibile, economico e sociale?», si sono domandati, e tra un’infinità di sfide burocratiche tipicamente made in Italy, hanno messo in piedi una nuova comunità proprio attorno ad un museo (consigli per il futuro: andarli a trovare a Matera). Scopro poi un collettivo di quattro animatori sopra le righe che ha ideato una rassegna nomade di animazione underground e indipendente: Serato Animato. Sono partiti un anno fa da Monticchio, frazione della città dell’Aquila, radunando gli anziani del paese di fronte a una selezione di corti sperimentali. Le prime reazioni? «Ma che cazzo stiamo guardando?». Eppure ha funzionato: oggi portano in giro per l’Italia una rassegna grunge di stranezze ed esperimenti visivi, ogni volta curata attorno a un tema diverso. Per La Guarimba scelgono ‘lo schifo’: un’immersione disturbante nel corpo, nel sesso, nel cringe, tra blatte, secrezioni e chi più ne ha più ne metta, distribuendo al pubblico degli eloquenti sacchetti anti-vomito (le foto scattate alla gente durante le proiezioni sono un esperimento sociale fichissimo).

Foto: Antonio Reda per La Guarimba 2025

D’altronde Giulio Vita ripete spesso e con orgoglio che «La Guarimba non è un festival per soddisfare il pubblico ma per sfidarlo», e che questa è la terra perfetta per provarci, come una sorta di foglio bianco tutto da riempire. In effetti, nonostante chi scrive abbia frequentato la Calabria tutta la vita per motivi personali, qui alla Guarimba di cose improbabili ne succedono parecchie, a partire da una daily routine che lascia quasi spiazzati. Quella di un anti-festival, appunto, che decostruisce persino le abitudini delle manifestazioni più indipendenti. La mattina ci si ritrova al Lido Azzurro oppure al Terrenito per partecipare a laboratori, conferenze e talk in inglese, o al massimo in spagnolo tradotto in inglese. Qui l’italiano, se arriva, arriva per ultimo, e questo contribuisce ad alimentare l’impressione di una bolla culturale fuori dai confini eppure radicatissima nel Sud. Giulio Vita parla diverse lingue, modera e traduce, conosce personalmente le storie e i percorsi di ogni ospite che ha invitato. Ha un gusto estremo per la sperimentazione, evita qualsiasi figura che possa filtrare la natura spontanea del festival – giornalisti, moderatori, creator – e non perde occasione per farci notare che, in certi luoghi più di altri, fare cultura liberamente è un atto politico: «Vi ricordiamo che abbiamo avuto il patrocinio del Parlamento Europeo e della Camera dei Deputati, ma non abbiamo avuto il patrocinio del Comune di Amantea. Purtroppo non siamo così bravi per loro». Dalla platea solidarietà, fischi e tuoni: «Buuu!».

Foto: Antonio Reda per La Guarimba 2025

La sensazione che tanti, qui, siano alla ricerca di un posto sicuro, è forte. Arrivano da ovunque, Francia, Scozia, Ungheria, Spagna, Venezuela, Colombia, Stati Uniti, Italia, Argentina, Bolivia, Libano, Belgio, Austria, Germania, Ucraina, Polonia: c’è chi viene a prendersi una pausa dal caos del proprio Paese, chi dal frullatore delle vetrine mainstream, chi dal proprio corpo, dal futuro o da una timidezza che svanisce, di fronte a un gruppo giovane e ricchissimo, tra volontari, maestranze, tecnici e artisti in cerca di una parentesi di libertà. Come la mattina in cui ci ritroviamo con il musicista José Ignacio Benítez (nome d’arte Domingo en llamas) per un laboratorio sulla poesia nel ritmo. Dal Don Chisciotte di Cervantes a Emily Dickinson, passando per la lunga tradizione del merengue caraqueño, Benítez chiude gli occhi e ci racconta Gloria Fuertes: «Vorrei essere lei. Vorrei scrivere come lei». Ripete «everything is music», non solo il ritmo dei migranti, ma anche il rumore del condizionatore che prova a salvarci dall’afa di questo agosto calabrese, e perfino il pianto languido di un neonato che partecipa alla lezione. Io lo chiamo inquinamento acustico, ma lui no, lui crede davvero che quel pianto sia «il suono della vita» e che tutto sia musica, il clapping del flamenco ma pure quello che possiamo improvvisare noi, poveri scemi incapaci di suonare uno strumento. Il segreto è sempre il ritmo, e naturalmente ce lo mostra con il blues. Benítez chiama un giro al tastierista: do, re, si. È un incontro dissonante, ci dice, ed è quello di cui il blues ha bisogno, perché la vita è entrambe le cose insieme. Ma è il ritmo che dà un senso a tutto: con quelle stesse tre note, combinate in maniera diversa, stavolta fa partire una marcia nuziale che ci cambia ogni prospettiva. Capito come funziona, no? Allora ci convince a suonare con tutto ciò che abbiamo addosso: con le braccia, con i vestiti, con la bocca, con le dita, con le bottiglie d’acqua e con le stoffe delle borse. Ci dimeniamo, ridiamo ma la prendiamo anche sul serio, perché in qualche modo, solo attraverso i nostri corpi, il ritmo trova una forma. Dall’esterno sembriamo una piccola giungla di esseri umani finalmente liberi, o forse soltanto una comitiva di fricchettoni esaltati. Per un attimo sembra di essere tornati bambini, senza paura di giocare e di mettersi in ridicolo. Deve significare questo, essere veri guarimberos? Pochi strumenti ma buoni, divertiti e sfacciati come la scimmia mascotte del festival. Eat the rich.

Foto: Antonio Reda per La Guarimba 2025

‘Mangia il ricco’ non è solo una postura, alla Guarimba. Basta osservare come si muovono la Piccola Biblioteca di Amantea e La Grotta dei Piccoli, in collaborazione con Unicef Italia, con una programmazione curata dalla regista e illustratrice italo-srilankese Valeria Weerasinghe: qui i bambini rappresentano il cuore della comunità, condividono spazi e attività durante tutto l’anno, usando gli strumenti del gioco per iniziare a comprendere le cose degli adulti. Durante il festival hanno partecipato a laboratori di fumetto e di animazione (come quello di ‘disegno extraterrestre’ per celebrare i cento anni di Carlo Rambaldi, insieme alla nipote Cristina e una riproduzione del pupazzo E.T.), e insieme hanno visto più di cento corti selezionati da tutto il mondo, votando il vincitore come una vera giuria junior. Un gruppo emozionato di gnappetti quattrenni arriva sul palco a premiare i grandi, e nelle loro magliettone targate Guarimba, tanto oversize da arrivargli fin sotto le ginocchia, sono una ventata di speranza anche per i più cinici. «Non stiamo formando bambini, stiamo formando gli adulti del futuro, che saranno ancora migliori di noi», dice Giulio Vita, che da qualche mese è diventato padre.

Giulio Vita e Cristina Rambaldi. Foto: Antonio Reda per La Guarimba 2025

Disorientata ma incuriosita, in una convivenza costante tra generazioni, abitudini e culture diverse, capisco che l’obiettivo della Guarimba è quello di rimescolare più schemi sociali possibili. Nessuno viene presentato con il proprio titolo (approcci come “Che mestiere fai? Perché sei qui? Sei della stampa o sei un artista?” non solo non esistono, ma appaiono inopportuni), il pubblico delle proiezioni serali si accomoda tra sedie di plastica e cuscinoni posizionati sotto il maxischermo, i laboratori si fanno spesso scalzi o seduti a terra, così come diventa irrilevante il buoncostume di un’ospitalità di facciata: vengono allestite, al contrario, lunghissime tavolate sotto i gazebi del Terrenito, per pranzi spartani in cui i volontari cucinano arepas venezuelane da accompagnare con «i pomodori migliori del mondo», quelli del vicinissimo Belmonte Calabro. Tra gli eventi più attesi di ogni edizione c’è il famoso party notturno in una location segreta, che non scopriremo prima del giorno stesso. Ma in perfetto stile Guarimba, c’è da meritarsi anche quello, con una sveglia alle sette di mattina per andare a ripulire la spiaggia che ci ospiterà (vedi alla voce educazione civica: se te ne assumi la responsabilità, poi ti passa la voglia di inquinare). Quest’anno la festa è curata dalle ragazze di Está Jevi, è anticipata dalla proiezione di una rassegna di ‘dance films’ e va avanti fino all’alba. Alla fine dell’avventura, lo staff ci regalerà diverse playlist con tutta la musica ascoltata in questi giorni, con la cumbia moderna del Frente Cumbiero, il folklore elettronico dell’argentino Chancha Vía Circuito, il pop tropicale della portoricana Olga Tañón. A un certo punto giuro di aver flashato anche un Bad Bunny, ma questa è un’altra storia. Quella notte Amantea sembrava Caracas.

Foto: Antonio Reda per La Guarimba 2025

Dopo 190 corti da 67 nazioni diverse, una decina di laboratori per grandi e piccini, tre conferenze, un numero indecifrabile di chilometri percorsi e uno ancora più alto di bambini-che-fanno-cose, dopo aver impiegato circa una settimana per orientarmi tra staff, artisti e pubblico, aver interagito in inglese e spagnolo più di quanto il mio cervello potesse concepire e aver promesso a troppe persone di andarle a trovare in luoghi sparsi per il mondo, forse ho visto davvero l’anima della Guarimba. «You connect people», ho sentito dire spesso dagli ospiti a Giulio Vita. Lui risponde sempre che questo è un festival pensato «per tutti noi che lottiamo contro la diffidenza, per costruire un mondo migliore di quello che ci hanno consegnato». Ma anche per portare avanti l’eredità di chi ci ha visto lungo, e di questo angolo di mondo ha avuto cura prima di noi. Le luci del Terrenito si spengono quando è il momento giusto di salutarci, e sullo schermo, solo per questa volta, la scimmia incazzata lascia il posto alla vignetta illustrata di Nonna Saveria. Come in un fumetto, sorride con le braccia conserte e strizza l’occhio a una scritta. Dice: ¡Hasta la Guarimba siempre!

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