‘The Waterfront’: un po’ ‘Dawson’s Creek’, un po’ ‘Succession’, 100% soap | Rolling Stone Italia
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‘The Waterfront’: un po’ ‘Dawson’s Creek’, un po’ ‘Succession’, 100% soap

Kevin Williamson torna nei suoi luoghi (Wilmington), per una lettera d'amore (e di rancore) alla famiglia che l'ha cresciuto: se Capeside era il nido dello tsunami emotivo dell’adolescenza, Havenport è la palude morale della vita da adulti. Un binge estivo che non ha paura di sporcarsi le mani

‘The Waterfront’: un po’ ‘Dawson’s Creek’, un po’ ‘Succession’, 100% soap

Cane (Jake Weary) e Bree Buckley (Melissa Benoist)

Foto: Dana Hawley/Netflix

Sì, Wilmington è lo stesso posto dove giravano Dawson’s Creek: questa volta però nella finzione non siamo più a Capeside, Massachusetts, ma a Havenport, Carolina del Nord, una piccola città portuale sulla costa orientale degli Stati Uniti. E non c’è spazio per mugugni teen-filosofici e lacrime memabili sul pontile al tramonto. Qui ci sono faide familiari, traffici di droga, matrimoni traballanti e segreti che affondano nei fondali come un carico da dieci milioni di dollari. È il regno della dinastia ittica (ehm, almeno all’apparenza) dei Buckley, una sorta di royal family local che possiede mezza cittadina e spadroneggia tra pesca, ristorazione e gossip da generazioni. Se Capeside era il nido dello tsunami emotivo dell’adolescenza, Havenport è la palude morale della vita da adulti.

Con The Waterfront (su Netflix), Kevin Williamson, aka lo sceneggiatore che ha firmato un decennio di fantasie adolescenziali e slasher metanarrativi (oltre a Dawson’s Creek, Scream, The Faculty, So cosa hai fatto, The Vampire Diaries), torna nei suoi luoghi, ma cambia stagione: è di nuovo estate (dell’anima), ma la spensieratezza (anche se Dawson & C. spensierati non lo sono stati mai) ha lasciato il posto alla mezza età, e i drammi da ballo di fine anno sono diventati misteri nerissimi, con cadaveri che affiorano in darsena e un’intera comunità che pare galleggiare sull’ipocrisia.

The Waterfront | Official Trailer | Netflix

Harlan Buckley (Holt McCallany) è il patriarca alcolizzato che torna in pista dopo due infarti, la moglie Belle (Maria Bello) è la regina del ristorante locale che prova a gestire l’ingestibile con la diplomazia, mentre la figlia Bree (Melissa Benoist) cerca di restare sobria e Cane (Jake Weary), in preda a indecisioni da golden boy con consorte e bambina a carico, ha iniziato a contrabbandare droga sulle imbarcazioni. Attorno a loro, comprimari che sembrano usciti da un catalogo Netflix 2025: l’ex del liceo che ritorna, il ragazzino diffidente che vuole la verità, il bartender con un segreto, il gangster con la felpa di marca, l’agente federale col grilletto facile. Ma The Waterfront riesce a dare a ognuno un piccolo momento di verità.

Perché per Williamson questa serie pare anche una confessione personale: lo showrunner infatti ha rivelato che il padre trafugava marijuana con la sua barca e che solo dopo la sua morte ha trovato il coraggio di raccontarlo. E allora questa non è solo una storia di droga e famiglia: è un tentativo di fare i conti con quello che si eredita, anche quando non si vuole. I figli fanno di tutto per non diventare come i padri, ma ricadono nel ciclo con una goffaggine tragica, le madri non salvano nessuno, ma vendono tutto (letteralmente e metaforicamente).

Harlan (Holt McCallany) e Belle Buckley (Maria Bello). Foto: Dana Hawley/Netflix

È Kevin Williamson che torna dove tutto è iniziato, per smontarlo pezzo dopo pezzo: non è nostalgico, è autocritico. È una lettera d’amore (e di rancore) alle persone che lo hanno cresciuto, mettendoci dentro il vizio del padre, la responsabilità, la colpa e l’alcol per dimenticarsene. The Waterfront è il suo modo di superare il generational trauma, di rivedere catarticamente da capo tutto: la provincia come incubatore di paure, le famiglie come teatro di colpe, i ricordi come trappole. Ma anche il suo modo di fare pace con il mezzo televisivo, di prendere l’innocenza degli anni ’90 e sottoporla a un bagno acido di malinconia. In fondo è l’aggiornamento di Dawson’s Creek, il suo contraltare adulto, cinico e un po’ vendicativo. Guarda con affetto al teen drama, ma si rivolge a un pubblico che nel frattempo ha pagato l’IMU e capito che crescere non significa smettere di farsi del male. Non importa quanto lontano sei andato, prima o poi torni sempre dove hai lasciato i cocci.

Certo, ogni personaggio è tormentato, bellissimo, lievemente tossico. Tutti sembrano muoversi in un universo narrativo dove i dialoghi sono sempre troppo perfetti (Dawson docet, again), i litigi sempre troppo teatrali, le rivelazioni sempre troppo drammatiche e i cliffhanger sempre troppo clamorosamente cliffhanger, ma (forse) è proprio questo il senso. The Waterfront è una soap travestita da drama, che però non si vergogna di voler essere soap. Di più, la saga da famiglia lussuosamente disfunzionale si intreccia con il noir, per un guilty pleasure che si assume le sue colpe, che non ha paura di sporcarsi le mani (e la coscienza). Anche se c’è un pizzico di entrambe, non aspettatevi gli spigoli di Yellowstone, la darkness di Ozark o la profondità esistenziale di Succession, ma un piuttosto un mix con la sfacciataggine teen-adulta di Outer Banks diretto da un fan di Lana Del Rey. The Waterfront è puro intrattenimento da condizionatore acceso, fatto con mestiere, cosciente della sua natura effimera e proprio per questo potenzialmente irresistibile. Se fosse una canzone, sarebbe August di Taylor Swift. Con un segreto finale, senza spoilerare, che farà discutere chi ancora crede che una buona soap debba per forza anche avere senso.

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