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‘The Watcher’: perché sì, perché no

È una delle hit Netflix del momento. Ma il pubblico è diviso tra thriller pieno di tensione e ‘pecionata’ in pieno stile Ryan Murphy. Ecco il verdetto di Rolling

Foto: Netflix

Perché sì: Il giallo

Un giallo vecchia maniera da binge-watchare dal divano? Che goduria! The Watcher, l’ennesima produzione Netflix by Ryan Murphy (ideatore col fidato socio Ian Brennan), punta esattamente a quella roba lì. E, in fondo, non fallisce. Una famiglia newyorkese compra la casa dei suoi sogni nella solita suburbia del New Jersey solo apparentemente tranquilla. Ma dal giorno 1 strani segni iniziano a manifestarsi: vicini minacciosi, oscure presenze sulle scale, musica creepy dalla cantina e, soprattutto, lettere minatorie da parte di colui (o colei?) che si firma appunto come “The Watcher”, e che sembra intenzionato a tutto pur di far sloggiare i nuovi inquilini dal villozzo di lusso in cui si sono appena trasferiti. La cosa pazzesca – e quella che ti tiene ancora più saldamente ancorato alla poltrona (vabbè, al divano) fino alla fine – è che questa storia di stalker e fantasmi è verissima. La serie è infatti ispirata a un articolo di Reeves Wiedeman uscito su The Cut nel 2018. Il che rende la visione ancora più “incredibile ma vera”. Fino al finale che… no, be’, saremmo stron*i a svelarvelo.

Perché no: Il giallo (ehm)

Il giallo funziona, dicevamo. Ma è anche un po’ troppo allungato, con parecchi buchi di sceneggiatura nonostante la durata (sette puntate: sotto la media, ma comunque troppe) e le solite spiegazioni for dummies per bocca di attori pur bravi (vedi capitolo successivo) ma che in molte scene si trovano a declamare battute da operetta. Se mystery dev’essere, potete servircelo anche senza bisogno di didascalia di fronte ad ogni svolta della intricatissima (ma non troppo) vicenda. E a volte, davanti all’ennesimo ingresso in scena dell’ennesimo sospettato, viene da rimpiangere la docuserie true crime che The Watcher avrebbe potuto essere, in un universo parallelo in cui Ryan Murphy non ha un contratto con Netflix per diciotto serie “scripted” al mese.

Perché sì: Il cast

Mia Farrow e Terry Kinney in ‘The Watcher’. Foto: Netflix

Possiamo ripetere che il cast è di gran lunga superiore alle battute che si trova a recitare? Sì, lo facciamo. Naomi Watts e Bobby Cannavale meriterebbero thriller migliori di questo (soprattutto lei, che da tempo non sembra indovinare un film o una serie), ma sono impeccabili nella parte della ordinary couple invischiata in un horror apparentemente inspiegabile. E così i comprimari, stavolta tutti volti nuovi rispetto alla solita “Ryan’s family”, che tende a lavorare sempre con gli stessi, fidatissimi interpreti. Ci sono la meravigliosa detective interpretata da Alfre Woodard, caratteristi di razza come Margo Martindale e Richard Kind, l’ormai prezzemolina Jennifer Coolidge, presto in The White Lotus 2, qui in svolta Selling Sunset e (forse) villain. E persino il ritorno di Mia Farrow con trecce amish, che pare autocitare gli orrori passati: le sette di Rosemary’s Baby su tutti.

Perché no: L’effetto Canale 5

La morale della favola (nera) sarebbe non originale ma puntualissimo: per diventare la versione migliore di quello che vorremmo essere, per ottenere successi, ruoli, status symbol, posizionamento sociale (qui tutto passa per una casa, ma potrebbe essere qualsiasi cosa), saremmo disposti a qualsiasi cosa. Nei confronti di noi stessi e degli altri. Ma – l’abbiamo detto molte volte – Netflix molto spesso si trova ormai ad essere la nuova rete generalista globale, e anche in questo caso quello che avrebbe potuto essere un thriller hitchcockiano pieno di sfumature si trasforma in una fiction di Canale 5 con l’effetto facile e il cliffhanger pronto ad ogni fine di puntata. Il verdetto è senza infamia e senza lode: un giallo che si fa (più che) guardare, ma che lascia la sensazione dell’ennesima occasione un po’ persa.

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