‘The Crown’ è diventata pura propaganda per la royal family | Rolling Stone Italia
Problemi reali

‘The Crown’ è diventata pura propaganda per la royal family

Più la serie si è avvicinata ai giorni nostri, più ha esitato nell'assegnare le colpe ai suoi protagonisti reali. E il sesto e ultimo atto, i cui primi episodi sono appena arrivati su Netflix, ne è la conferma

‘The Crown’ è diventata pura propaganda per la royal family

Dominic West alias il principe Carlo e Olivia Williams nei panni di Camilla Parker Bowles nella sesta stagione di ‘The Crown’

Foto: Netflix

The Crown è tornata. La sesta e ultima stagione del royal drama di Netflix inizia con una bella dose di big D energy: inteso come Diana e Dodi, i giovani amanti la cui storia d’amore vorticosa si è conclusa tragicamente nell’incidente d’auto di Parigi che è diventato il “dov’eri in quel momento?” di una generazione.

La prima parte della sesta stagione, uscita su Netflix il 16 novembre, si concentra sulla principessa mentre affronta la vita al di fuori della famiglia reale. Qual è il suo scopo? Chi è lei senza il titolo di Sua Altezza Reale? Diana e Carlo sono in competizione tra loro, mentre lui cerca disperatamente di convincere il pubblico ad accettare la sua nuova compagna Camilla Parker Bowles (spoiler: ora è regina). La relazione della principessa con Dodi Fayed – un erede affettuoso ma frustrato – fiorisce su un superyacht nel Sud della Francia.

C’è un cattivo nel sesto atto di questo melodramma? Il primo gruppo di episodi presenta diversi antagonisti. Mohamed Al-Fayed, il padre dispotico e iracondo di Dodi, viene ritratto come se avesse praticamente costretto il figlio a buttarsi in una storia d’amore con Diana, che ora sappiamo aver portato alla sua morte. Ma è chiaro qual è il cattivo principale: i media. Dai paparazzi che pedinavano ogni mossa di Diana – la inseguivano a tutta velocità nel tunnel di Parigi quella notte – ai direttori di giornali che pagavano fior di quattrini per le sue foto, fino agli spin-doctor impiegati per assicurare ai reali una copertura favorevole, è inquietante vedere la “fabbrica di contenuti” su Diana in azione. C’è un momento particolarmente eloquente in cui il viaggio della principessa in Bosnia, nell’ambito di una campagna globale contro le mine antiuomo, viene oscurato dalle foto di lei che bacia Fayed. Queste immagini sono state pubblicate la prima volta in un reportage di 11 pagine e diffuse a milioni in tutto il mondo, battendo ogni tipo di record.

I media sono, per molti versi, un cattivo appropriato. È difficile non concludere che se questi uomini (erano tutti uomini) avessero agito diversamente, oggi Diana sarebbe ancora viva. Il comportamento dei tabloid ricorda anche il modo in cui donne famose come Britney Spears e Meghan Markle sono state perseguitate dalla stampa. Se si deve credere al libro di memorie del principe Harry, Spare – Il minore, i reali sono ancora in buoni rapporti con gli stessi tabloid che hanno adottato questo comportamento. È una questione decisamente rilevante.

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Anche il fatto che The Crown decida di screditare i media sembra strategico. Conveniente, persino. Sono un bersaglio nebuloso e non specifico. E soprattutto, sono al di fuori dell’ovile reale. Più The Crown si è avvicinata ai giorni nostri, più ha esitato nell’assegnare la colpa a persone specifiche, in particolare ai suoi protagonisti reali.

Quando Netflix ha lanciato The Crown nel 2016, la serie era ambientata negli anni Cinquanta. Nella prima stagione, la defunta regina Elisabetta II divenne sovrana in un’età inaspettatamente giovane. Nel corso delle prime stagioni, le allusioni controverse a relazioni extraconiugali e a vari scandali sono state protette dal fatto che i colpevoli erano deceduti o che questi racconti erano considerati Storia antica. Le decisioni sbagliate della regina erano spesso imputate a sua madre o a persone come Alan “Tommy” Lascelles, il suo segretario privato, ritratto come un serpente che tirava le fila dietro le quinte. In quella prima fase, l’accoglienza della serie è stata estremamente positiva. Alcuni reali, tra cui le principesse Anna ed Eugenia, hanno persino dichiarato di averla guardata.

Man mano che The Crown si è avvicinata all’attualità, il dibattito intorno alla serie si è spento. Sembra quasi impossibile rappresentare la complicata rete di circostanze politiche e personali in cui si trovano i reali senza che qualcuno si arrabbi. Questo perché alcuni reali, come la regina Elisabetta II e il principe Filippo – entrambi scomparsi poco prima della messa in onda della quinta stagione nel 2022 – erano molto amati e occupavano posizioni di potere. L’eredità culturale e morale di altri personaggi, come la prima donna Primo Ministro del Regno Unito Margaret Thatcher, è invece stata molto più divisiva. Il creatore della serie, Peter Morgan, ha recentemente dichiarato che è difficile avere una conversazione sensata su The Crown, nel Regno Unito: “Tutti in Gran Bretagna, che lo riconoscano o meno, hanno un livello di sensibilità e di attaccamento a questa famiglia, ed è per questo che per i drammaturghi è un campo assolutamente minato da esplorare”, ha detto.

Cos’è cambiato? L’apparizione di Margaret Thatcher nella terza stagione è stata un momento importante, dato che si trattava di una figura così contestata le cui decisioni controverse continuano ad avere un impatto sulle persone ancora oggi. Ma è stata la quarta stagione della serie, che ritraeva una giovane principessa Diana che si sentiva messa da parte nel suo stesso matrimonio mentre Carlo cominciava la sua relazione con Camilla, a rappresentare un momento di svolta.

Diana (interpretata da Emma Corrin) è stata vista come una figura isolata, tagliata fuori da qualsiasi sistema di supporto. Quella stagione racconta anche la sua lotta contro la bulimia. In preda all’ansia e alla solitudine, Diana scendeva di nascosto in cucina nel cuore della notte per mangiare dolci. La macchina da presa tagliava poi sulla principessa in bagno, mentre vomitava. Nei primi giorni del suo matrimonio, spesso sembrava che nulla fosse abbastanza. Ogni sua apparizione pubblica, compreso l’abbraccio ai malati di AIDS, veniva sbeffeggiata. Carlo la accusava di “mettersi in mostra”, e lui e gli altri reali non sopportavano la sua popolarità. Il peggio arrivò quando era incinta del principe William: la serie ritraeva Diana come un’aspirante suicida – secondo la sua stessa testimonianza, si gettò dalle scale – mentre il marito e l’amante continuavano la loro liaison. Non c’erano dubbi: Carlo e Camilla erano i cattivi di quel capitolo.

I politici del Regno Unito, soprattutto quelli di destra, si sono infuriati per questa rappresentazione. La richiesta che Netflix aggiunga un disclaimer, ricordando agli spettatori che si tratta di finzione, è diventata un punto chiave della “guerra culturale”. Personaggi di spicco come l’ex Primo Ministro John Major hanno pubblicamente sconfessato la serie, definendola “una sciocchezza maligna”. Potrebbe essere una coincidenza, ma sembra che gli autori di The Crown abbiano avvertito questo contraccolpo, cercando di aggiustare il tiro in modo eccessivo. Non solo è stata aggiunta una clausola che esclude ogni tipo di responsabilità alla quinta stagione, ma la serie è diventata anche molto più benevola e positiva, in particolare per quanto riguarda Carlo (che ora è interpretato da Dominic West, uno degli uomini più affascinanti del piccolo schermo). C’è stato persino un intero episodio incentrato sulla sua associazione benefica, The Prince’s Trust, che sembrava al limite della marchetta. Non a caso, la quinta stagione è stata anche la prima a deludere completamente la critica. “Molti episodi avrebbero potuto essere cestinati del tutto”, si legge nella recensione a sole due stelle del Guardian, mentre la BBC ha definito la quinta stagione una “soap mal raccontata”.

Harry, Diana e William in una scena della sesta stagione. Foto: Netflix

A parte un paio di scene davvero atroci in cui una Diana fantasma (a cui ora dà il volto Elizabeth Debicki) parla in tono profondamente saggio a vari reali, la sesta stagione della serie sembra aver trovato una via di mezzo tra l’adorazione e l’indagine. Carlo, in questa prima parte, non è un angelo: sembra più preoccupato di organizzare feste per Camilla e riabilitare la sua immagine che di fare il padre. Viene anche ritratto mentre chiede una tregua a Diana, continuando poi a macchinare contro di lei attraverso la stampa. C’è una scena particolarmente spaventosa in cui lui e il suo spin-doctor organizzano un servizio fotografico con i giovani principi a Balmoral per farlo apparire come un padre premuroso mentre i media attaccano l’ex moglie.

Nel complesso, dal punto di vista delle PR, i reali dovrebbero comunque essere soddisfatti di come la stagione finale li ha ritratti finora. Il quarto episodio si concentra sulle devastanti conseguenze della morte di Diana. È la stessa settimana che abbiamo visto drammatizzata in The Queen, il film del 2006 interpretato da Helen Mirren e scritto sempre da Peter Morgan. Mi ha colpito come, in confronto, The Crown abbia ampiamente sorvolato sul feroce contraccolpo pubblico che i reali – in particolare la regina Elisabetta II – subirono in quel periodo, quando furono bollati come freddi e senza cuore. Questa volta, Morgan ha ritratto Carlo – e non il Primo Ministro Tony Blair – come la forza dominante che ha eroicamente riportato la famiglia verso l’umiltà e le manifestazioni pubbliche di emozione. Non sapremo mai quanto ci sia di vero in queste interpretazioni dei fatti. Forse è solo una coincidenza, o Morgan ha voluto evitare di copiare il suo film precedente, ma c’è una differenza notevole, soprattutto ora che Carlo è re. È un dato di fatto.

The Crown è sempre stata una forma di PR regale. Ammettiamolo: anche inconsciamente, è una serie che umanizza persone oscenamente ricche e potenti che sono letteralmente nate per governare e colonizzare gli altri. Ritrarli come imperfetti è una parte fondamentale del racconto, ma verso la fine le sue critiche all’istituzione reale e a coloro che la abitano sono diventate più caute. The Crown è diventata troppo ingenua, e sta soffrendo moltissimo per colpa di questa riverenza.

Da Rolling Stone US

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