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‘Temptation Island Vip’, finalmente a vendere la propria dignità sono i professionisti

Prima puntata del reality tutto sbagliato e quindi perfetto ed è subito show vittimista di Pago. Brillano il fascionauta Er Faina e Ciro Petrone. La copia "famosa" è meglio dell'originale, perché i protagonisti sono già abituati a buttarla in caciara

Je suis Pago. Prima di parlare di altro e di altri, voglio dirvi che sto dalla parte di Pacifico Settembre per i maltrattamenti che ha subito a Temptation Island Vip. Vedere Serena Enardu prima rimproverarlo pubblicamente, poi ridicolizzarlo con i suoi comportamenti – è evidente che lei voleva chiudere e ha trovato un modo redditizio e rumoroso per farsi lasciare – poteva essere ancora sopportabile, ma commentare le sue disgrazie amorose e le sue reazioni avvilite con Toto Cutugno, quello è troppo. Ma come? Persino a Er Faina mentre sniffa senza vergogna il vestitino della fidanzata e manda un bacio attraverso una staccionata di bambù si merita almeno un Fausto Leali, e a lui tra Soli e Quanti amori gli tocca piangere “in mezzo a due consonanti e tre vocali”?

È iniziata Temptation Island Vip. Ve lo diciamo subito, lo spin-off è meglio dell’originale. Intendiamoci, la differenza è quella che passa tra Natale in India e Natale sul Nilo nel ciclo dei cinepanettoni, ma da una parte la conduzione di Alessia Marcuzzi, empatica e allo stesso tempo maliziosa nel “drammatizzare” i video e i momenti clou, ha uno spessore ben maggiore di quella di Bisciglia (che in frangenti analoghi rischiava la narcolessia, propria dei concorrenti e degli spettatori), dall’altra i vip – o presunti tali – hanno più consapevolezza del mezzo, del gioco, dei loro personaggi e anche un bizzarro senso dell’orgoglio che porta le persone normali a vivere con maggiore partecipazione le loro vicende. Se, insomma, nella versione “gente comune” ti ritrovi davanti a chi venderebbe la madre pur di un’ospitata in discoteca, qui trovi chi lo ha già fatto e sa almeno contrattare un buon prezzo.

Rimane, purtroppo, la mediocre qualità di regia e montaggio – soprattutto il secondo – anche se la scena dell’inseguimento di Ciro Petrone, con tanto di uomo della crew che si sta rimorchiando una bionda e si perde l’inizio, è da Oscar. L’attore di Gomorra di Garrone ne mette a sedere almeno tre, uno con una finta di corpo da urlo, e il cameraman merita un premio per essersi rimesso in piedi e averlo seguito con fiato notevole e prontezza di spirito tra le sdraio e le dune dello splendido Is Morus Relais di Santa Margherita di Pula. Sconta, questa edizione, i soli 21 giorni di durata, che costringe coppie e trasmissione a contrarre i tempi, ma risulta sicuramente più interessante. Er Faina prova a mostrarci Damiano Coccia: il fascionauta del Web con furbizia vuole spiazzare tutti, ripulirsi reputazione e immagine e mostrare l’orsacchiotto che si nasconde dietro il socialcoatto, piange e svapora dal naso come un toro, per poi, al falò e davanti ai video, tirar fuori il suo romanticismo muscolare – “c’ho una palla ner petto che nun se sa quant’è grossa, Alè” –, capendo che tra il fare la figura del cornuto e mazziato e un po’ fesso e quella dell’omo tutto d’un pezzo duro e puro passa una linea sottilissima, quasi quanto un mojito al Papeete per Salvini. La sua Sharon, che non vuole tradirlo, ma regge solo male l’alcol e ci fa sapere che lui in questi sei mesi si è un po’ accollato, se fa ancora un paio di puntate la troviamo nel prossimo film di Carlo Verdone.

Gustoso il ruolo di Anna Pettinelli (e simpatico e bambacione il suo Macron): la sua ironia e cultura la fanno diventare leader nel villaggio delle fidanzate – rischiava seriamente di diventare una patetica macchietta, anche per colpa del suo parrucchiere –, la portano nel divertentissimo ruolo di consigliori di queste donne senza qualità e con un rapporto di sorellanza imprevedibile alla Sex & the City con Nathalie Caldonazzo, che tira fuori brio, ironia, ma anche un disincanto che fa paura (ma con un uomo come il suo, talmente concentrato su se stesso da trovarsi a suo agio solo con Zoe, la gatta morta zerbino) è già tanto che riesca ancora a sorridere.

Ci piacerebbe parlarvi di Simone Bonaccorsi – sosia del giocatore del Torino ed ex Napoli Simone Verdi – e Chiara Esposito, ma fin dall’inizio il loro sembra un copione recitato male, quello del pedante superbello supersalutista e un po’ tonto lui, della ragazzina entusiasta della vita e assetata d’attenzioni lei. Talmente tanto che nelle prossime puntate, finiti i single, comincerà a provarci con gli operatori. Il problema è che non gli credi mai, all’uno e all’altra, o meglio non senti mai, tra loro e nelle loro reazioni, alcuna intimità.

Rimane un oggetto televisivo assurdo, Temptation Island, una trasmissione che non sa di essere tutta sbagliata, nella scrittura e nell’impostazione, e funziona lo stesso. A maggior ragione se ci sono concorrenti che conoscono la comunicazione, come direbbero i The Jackal, che sanno qual è “l’effetto di Temptation sulla gente”, e riescono a costruire su se stessi e i propri sentimenti un minimo di storytelling, che porti più facilmente all’immedesimazione lo spettatore, piuttosto distante nei primi minuti anche grazie all’entrata in scena superkitsch dei tentatori e delle tentatrici con un saio e cappuccio a metà tra Silas de Il codice Da Vinci e il Ku Klux Klan. Ovviamente tutti perfettamente torniti da Madre Natura, con conchiglie e curve al limite della perfezione, tanto da farci sospettare che per religione debbano, le donne, usare sempre il tanga e gli uomini, almeno due volte su tre, parlare con il proprio interlocutore a torso nudo e in posizione plastica.

Altra sorprendente differenza rispetto al Temptation classico è che qui le tentatrici farebbero fatica a rimorchiare persino Alvaro Vitali. Dimentichi il loro nome in un attimo, i loro visi si confondono, non riescono ad attirare la tua attenzione, figuriamoci a eccitarti o tentarti. Per loro le frasi di senso compiuto sono un miraggio e la seduzione in punta di fioretto un’utopia (Zoe in piscina ha almeno l’umiltà di passare subito al sodo). Gli uomini si salvano, forse anche grazie alla lezione del mitico Javier, che ha fatto vacillare il nostro mito Ilaria Teolis solo poche settimane fa. Parlano, ascoltano e ballano, persino. Certo, non brillano per fantasia nei tentativi d’approccio, ma son pur sempre uomini.

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