“It’s tiiiiime”, dice Henry/Vecna/One/Mr.Whatsit (chiamatelo come volete) un po’ Grinch nel cliffhanger dell’ultima, sudatissima puntata che ci è dato di vedere prima del finalone di Capodanno. E visto che il Volume 2 (e cioè gli episodi 5, 6 e 7) è arrivato sulla piattaforma la notte del 25 dicembre il riferimento pop a Mariah pare fin troppo facile (ma lo dico: io ho riso). Già, tutto quello che volevano a Natale i fan di Stranger Things l’hanno avuto, non si può dire che i Duffer Brothers non abbiano fatto la loro parte nel creare hype e nell’alleggerirci queste feste, dove a tavola tenevano banco due argomenti: come finirà Stranger Things (ho perso il conto di quante volte ho dovuto rispondere: “no, non ho ancora visto nulla, era tutto segretissimo”) e la variante K dell’influenza (presa, ovviamente: guardare ST senza riuscire a respirare è un’esperienza nell’esperienza. Che non consiglio).
Ma torniamo a bomba (ehm): fino a qui tutto bene. Tutto bene perché – attenzione, spoiler! – no, non muore nessuno, almeno per ora. Sì, pure Steve Harrington, dato per spacciato praticamente da tutti, è ancora vivo e vegeto, e anzi dimostrerà definitivamente che oltre quel ciuffo c’è di più: cervello, cuore e una leadership che negli anni si è guadagnato sul campo (momento preferito: la rappacificazione con Dustin, awww). Quindi nessun piccolo indiano eliminato episodio dopo episodio come ai “bei” tempi di Game of Thrones. Pare che i Duffer si siano affezionati troppo ai loro personaggi (e chi non), e dunque i toto-morto della saga dovranno aspettare. Chapeau però per tutta l’ansia da separazione che sono riusciti a crearci lo stesso. È un’arte: promettere l’addio senza praticarlo subito, farci stare sul bordo del divano con la sensazione che qualcosa stia per succedere, e poi rimandare. Funziona. Sempre.
Tutto bene anche sul versante della storia. Se la prima parte della quinta stagione era partita con una fiammata tra rivelazioni wow, ferite mai rimarginate, identità che bussano alla porta, qui il fuoco rimane per fortuna accesissimo. Non sono episodi di transizione, non è solo un ponte (pardon: chi sa, sa) verso la fine: è una camera di decompressione in cui ognuno, finalmente, inizia a trovare le sue risposte. Di nuovo Will, certo. Ma non solo. Pure – ad esempio – Max, e Kate Bush c’entra fino a un certo punto.
Nel frattempo, senza anticipare o rovinare la festa a nessuno, la serie decide di mettere ordine nella propria mitologia, leggi spiegare la natura del Sottosopra. È il nostro nerd appassionato di scienza preferito, Dustin, a chiarire at last che cosa stiamo guardando da dieci anni, e perché. Una spiegazione che non mette limiti all’immaginazione né banalizza il mistero, semplicemente ce ne dà le coordinate. E soprattutto arriva al momento giusto, quando Stranger Things ha smesso di chiedere allo spettatore semplicemente di credere per avere finalmente la possibilità di capire davvero. La sensazione è quella di essere cresciuti insieme a un racconto che ora più che mai ci prende sul serio. Non a caso, come raccontano i Duffer stessi in un’intervista a Entertainment Weekly, la serie ha sempre usato metafore visive e simbolismi per rendere accessibili anche i concetti più complessi. E Stranger Things è sempre stata un “epico horror fantascientifico”, con elementi ispirati a idee reali di scienza e fisica, per dare più peso alla narrazione e aumentare l’impatto emotivo delle rivelazioni finali.

Gaten Matarazzo (Dustin Henderson) in ‘Stranger Things 5 – Vol. 2’. Foto: Netflix
Ecco, il finale. Mike a un certo punto dice a Eleven: “Io, te, Will, Lucas, Dustin: questa è la nostra storia e comincia riprendendoci Will”. È lo show che torna al punto zero per prepararsi alla conclusione. Perché se c’è una cosa che Stranger Things ha sempre saputo fare è trasformare il trauma in legame. “Chi altro può capire?”, si chiedono anche Nancy e Jonathan in una bellissima resa dei conti, adulta ben oltre la loro età. Nessuno. Ed è il motivo per cui questa famiglia d’elezione resterà legata per sempre. Il Volume 2 è disseminato di frasi-soglia, di promesse che suonano come saluti definitivi senza esserlo del tutto. Un’ultima volta. Un’ultima confessione. Un’ultima missione. Ci vediamo dall’altra parte. È un lessico da fine corsa, ma senza il cinismo della resa. Piuttosto, con la consapevolezza che crescere significa anche sapere quando qualcosa sta per finire. E decidere di attraversarla insieme, quella fine, invece di far finta che non esista.
E poi i Demogorgoni come i Raptors, i pensieri felici di Hook, Nancy novella Sarah Connor che spara a Linda Hamilton (!), mamme (e genitori d’anima) che salvano il mondo anche se “fanno sempre la scelta sbagliata”, piccole sorelle che crescono e imparano a dire chi sono. È Stranger Things che fa quello che ha sempre fatto meglio: prendere il cinema che amiamo e usarlo per parlare di noi.

Natalia Dyer (Nancy Wheeler) in ‘Stranger Things 5 – Vol. 2’. Foto: Netflix
Fino a qui, insomma, tutto bene. Certo, non sarà facile trovare una conclusione che renda giustizia a un cast corale che ormai sfiora la ventina di personaggi — i migliori finali della serialità, di solito, si concentrano su uno solo, Breaking Bad docet — e che dia a Winona Ryder quello che è di Winona Ryder, qui fin troppo sottoutilizzata. Ma comunque sì, tutto bene perché la serie non si è persa. Tutto bene perché non ha avuto fretta di chiudere. Tutto bene perché ha scelto di crescere invece di esplodere. E tutto bene perché, mentre ci prepara al gran finale, ci ricorda perché siamo qui: non per sapere come finisce il mondo, ma per vedere se questi ragazzi riescono a salvarsi l’un l’altro un’ultima volta. Dai dai dai (cit.) che forse ce la facciamo a vedere ‘sto finale. Ci vediamo dall’altra parte. A Capodanno. One last time.

Noah Schnapp (Will Byers) Finn Wolfhard (Mike Wheeler) e Winona Ryder (Joyce Byers). ‘Stranger Things 5 – Vol. 2’. Foto: Netflix













