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‘Sky Rojo’: sesso, Tarantino e truzzeria spagnola. Ci piace o no?

Dal creatore della 'Casa di carta', un nuovo, tamarrissimo titolo, in cui tutto è eccesso. A partire dal pitch: tre prostitute in fuga dal loro magnaccia. Ma si sa, gli spagnoli le fanno meglio. Queste serie, cosa avevate capito

Foto: Netflix

Se non son truzze non le vogliamo

Le serie spagnole, cos’avevate capito. In principio (dell’era moderna, quantomeno) fu La casa di carta (l’autore è sempre lui: Álex Pina), che comunque rispetto a questa nuova serie Netflix pare Rohmer: no, dai, quasi. Poi sono arrivate – citando sommariamente – Vis à Vis (quasi uno spin-off “de papel”), Élite (successone formato teen), White Lines (flop meritato, nonostante la ddròga e l’inglese), Alto mare (drammone stile Titanic, ma senza iceberg), Valeria (basti la categoria su Netflix: “sensuale”), Qualcuno deve morire (miniserie stile soap, per aficionados duri e puri), senza dimenticare il colosso (più da loro che da noi) Le ragazze del centralino. E, ovviamente, Toy Boy, un mix tra Magic Mike, Cinquanta sfumature e uno pseudo thriller, di cui Sky Rojo pare una versione al femminile, migliorata e sotto steroidi. Serie di tutti i tipi, i generi e le fogge, purché – appunto – truzze. Sentimenti larger than life, eccessi di ogni tipo, sbraco narrativo obbligatorio. Sky Rojo ci mette il carico da novanta: si comincia in un bordello popolato da scatenatissime puttane (lo dicono loro), il resto è tutto in tamarissima discesa.

Tra de la Iglesia, Almodóvar e Tarantino

Pedro Almodóvar: celo. Álex de la Iglesia: celo. E può mancare, tra i riferimenti esteri, il solito Quentin Tarantino? Certo che no: se esagerato dev’essere, tanto vale omaggiare il Maestro della nuova exploitation per eccellenza. Tant’è che Sky Rojo comincia come un (quasi) reboot di Grindhouse: donne, macchinoni, colori saturissimi. Latin pulp, insomma. Ma in quei colori c’è, appunto, anche il Pedro nazionale, così come nelle “ragazze del mucchio” al centro della scena, materne e cazzute insieme. E la violenza grafica, quasi da fumetto, non può non ricordare quella di de la Iglesia, specialista del genere. Se bisogna citare, tanto vale farlo dichiaratamente. E, alla fine, in Sky Rojo è tutto così sfacciato che manco l’accusa di plagio tiene.

Il casting furbo

Direttamente da Dolor y gloria (dove interpretava Alberto Crespo, l’ex amante e protagonista di Sabor, il primo film di Salvador Mallo/Antonio Banderas), abbiamo Asier Etxeandía nei panni del sadico e luciferino pappone Romeo, vero villain della serie con tanto di master in misoginia (vedi più avanti). Miguel Ángel Silvestre (Lito Rodríguez in Sense8 e Franklin Jurado in Narcos) interpreta il suo braccio destro, Moisés, che recluta le ragazze da portare al club e, con il fratello minore, è il tutore dell’ordine (eufemismo, of course). A capitanare il trio delle working girl che tentano di scappare c’è Verónica Sánchez, molto celebre in patria, alias Coral, la prostituta più saggia (e tossica), e, nel ruolo di Wendy, quella selvaggia e tosta, ecco la popstar argentina Lali Espósito, per finire con la cubana Yany Prado, aka l’ingenua Gina, dall’ecosistema seriale sudamericano. Álex Pina ha affermato che il casting di attrici spagnole, argentine e cubane per interpretare i personaggi principali aveva lo scopo di rappresentare la realtà della prostituzione nella Spagna contemporanea. Sarà pure così, ma pare anche un bell’occhiolino di Netflix al fandom pan-latino della Casa di carta e alla questione della rappresentazione di milioni di madrelingua spagnoli.

Tanti saluti al MeToo

Lali Espósito (Wendy) e Asier Etxeandia (Romeo). Foto: Netflix

Se punk vuol dire “andare contro il sistema”, allora Sky Rojo è la serie più impavidamente e spericolatamente punk che sia stata girata in quest’epoca di MeToo: la violenza esplicita e implicita contro le ragazze, la sessualizzazione estrema del corpo femminile e gli atti sessuali umilianti: è chiaro che si va ben oltre la questione morale, è tutto esagerato. Qualche esempio, ché non c’è modo migliore delle parole delle stesso Romeo per rendere l’idea. Alla domanda di una delle ragazze sui giorni di ferie che le sarebbero spettati, il magnaccia risponde: «Dio concede alle puttane del tempo libero con le mestruazioni, ogni mese». Sempre lui alla nuova arrivata: «Potresti farmi un pompino in questo momento e renderlo un capolavoro?». E ancora il nostro che, durante uno dei “consigli di amministrazione” del club, stabilisce il manifesto della serie: «Dio ha dato ai maschi l’istinto di montare quante più femmine possibili, garantendo così la sopravvivenza della specie. Questa è la loro missione, per questo pagano quando vengono qui. Quella missione divina non sarà ostacolata da alcun MeToo e da nessun “Caro, ho mal di testa”. Qui “no” significa “sì”, “sì” significa “sì” e tacere significa ancora “sì”». Alla faccia del consenso.

La colonna sonora

Verónica Sánchez (Coral) e Miguel Ángel Silvestre (Moisés). Foto: Netflix

In quanto a scelte musicali, Álex Pina (feat. i suoi consulenti) sa il fatto suo: basti pensare all’uso di Bella ciao nella Casa di carta. E anche nel floppone in inglese White Lines la soundtrack spaccava. Non sbaglia un colpo nemmeno qui: ogni episodio inizia con un momento musicale e le tracce sono essenziali per mantenere il ritmo e la suspense. La tracklist spazia da Joe Strummer & The Mescaleros al francese Johnny Hallyday, da Perfect Day di Lou Reed a The Girl from Ipanema by Amy Winehouse, con in mezzo anche parecchia roba latina, claro.

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