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Sì, dovreste correre a guardare ‘House of Guinness’

Per una serie di motivi: in primis, perché la serie uscita il 25 settembre su Netflix è una bomba. E poi perché può insegnarci indirettamente molte cose sulla Storia dell'Irlanda, scavando nei fatti dietro la finzione
House of Guinness

Foto: Netflix/Ben Blackall

Uno pensa di averle viste tutte: metalupi, troni di spade, imperi dei media con fratelli bisticcioni, mafia italo-americano-irlandese che cucina imponenti dosi di cibo, conduttrici televisive in preda al #MeToo, luoghi di lavoro che scindono i dipendenti (sì, sto citando i fondamenti di trama di casuali hit televisive), amici che si trovano al pub, amici che si trovano al pub per spiegare come un padre ha conosciuto la madre dei suoi figli, aerei che creano buchi spazio-temporali e finiscono su isole misteriose, Twin Peaks e la Loggia Nera. Uno pensa di averle viste tutte e che niente possa più attirare realmente la sua attenzione. E poi esce House of Guinness su Netflix.

È successo il 25 settembre, la prima stagione (cioè, sicuro ne arriva un’altra e poi ancora) ha otto episodi di circa un’ora ciascuno, galoppano indemoniati e, proprio come la porter black as midnight on a moonless night (nel senso che Guinness è proprio la birra scura irlandese conosciuta in tutto il mondo), se mi concedete la licenza poetica, dissetano e assetano allo stesso tempo. Buonissimi, al carboazoto, spillati magistralmente. E se ne vuole prendere giusto un sorso in più, un’altra pinta, per favore. Insomma: un’altra ottima serie da bingeare il prima possibile è arrivata. Riprova ne è che la stampa internazionale si divide senza consenso (ci finiamo dentro anche noi), e alla fine quasi non si sa che pensare.

Dublino, XIX secolo. Benjamin Lee Guinness, colui che ha portato il birrificio creato dal bisnonno alla fine del Settecento a essere per la prima volta una forza riconoscibile nel mercato irlandese e del Regno Unito, è morto (la moglie lo era da tempo). Restano i suoi quattro figli: Arthur (Anthony Boyle), Edward (Louis Partridge), Anne (Emily Fairn) e Benjamin (Fionn O’Shea). Pochi credono in loro, ognuno è pieno di problemi, “solo uno non ha segreti”. E la nuova era dell’azienda di famiglia, l’impero che sarà, dipende interamente da loro e dai loro intrighi.

Aspetta, ma come… Benjamin? Arthur? Se i nomi non vi sembrano precipuamente irlandesi, ci avete letto giusto: i Guinness appartengono a quel ramo sociale definito “Anglo-Irish”, anglo-irlandese, che durante la storia dell’isola del trifoglio ha creato, per dirla breve, un sacco di problemi.

Anthony Boyle è Sir Arthur Guinness. Foto: Netflix/Ben Blackall

Tutto comincia nel XII secolo, e non per nulla nella serie (nuova creatura dell’inglese Steven Knight, che da Peaky Blinders in poi sappiamo ossessionato dalle robe irlandesi) si parla di “settecento anni” di dominio inglese sulla nazione irlandese. I Normanni invadono l’isola dalla vicina Albione, il giro di vite si asserisce nel 1541 sotto il regno di Enrico VIII, nominato Re d’Irlanda con il benestare del Parlamento irlandese. I protestanti inglesi cominciano a spostarsi nella cattolicissima Irlanda. Non sono di origine celtiche come gli autoctoni, impongono l’inglese al posto del gaelico, e di fatto creano uno Stato parallelo nel più perfetto stile coloniale, perché di dominio coloniale si tratta. Nel 1801, il Parlamento irlandese viene abolito e viene creato il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda. Qui cominciano i dolori.

Agli irlandesi ovviamente non è mai andata giù, anche perché hanno la rispettabile e veritiera fama di essere pugnaci, fumantini e gran bevitori. La boa si sorpassa attorno agli anni Quaranta del secolo, quando le patate hanno un pessimo raccolto. Sono la base alimentare del popolo non nobile, è carestia, c’è l’emigrazione di massa in America. La classe dirigente anglo-irlandese non fa nulla, in stile thatcheriano, per risolvere la situazione. Si creano i movimenti indipendentisti e nazionalisti irlandesi (in House of Guinness li individuerete sotto il nome di “feniani”) che porteranno alla guerra civile, alla creazione dell’Irlanda del Nord, alla discografia degli U2, all’Accordo del Venerdì Santo del 1998 con cui termineranno i “Troubles” – gli Anni di Piombo irlandesi.

Alcuni nomi di personalità di spicco anglo-irlandesi: Oscar Wilde, Jonathan Swift, Bram Stoker, William Butler Yeats, George Bernard Shaw, Samuel Beckett, C.S. Lewis. A parte forse Beckett e Yeats (ma lui quanto avrebbe voluto non essere irlandese, Dio solo lo sa), bisogna sforzarsi di ricordare che queste persone fossero irlandesi e non inglesi (non so come la pensiate voi). Seamus Heaney (R.I.P.), per dire, poeta nazionale irlandese e Premio Nobel nel 1995, è conosciuto perlopiù nei circoli della letteratura, e lui era un irlandese cattolico fatto e finito. Credo che queste osservazioni dicano tutto.

Fionn O’Shea è Benjamin Guinness. Foto: Netflix/Ben Blackall

Ma se per approfondire i dolori della classe anglo-irlandese ci si può rifugiare con profitto tra le pagine di Castle Rackrent di Maria Edgeworth, scrittrice parimenti Anglo-Irish che amava prendere in giro l’ipocrisia del suo ceto, lo stesso non si può dire per House of Guinness, che proprio dell’impero economico di una prominente famiglia anglo-irlandese di Dublino, ohibò, tratta. Perciò, un disclaimer a cappello di tutto: ovvio che i quotidiani irlandesi titolano House of Guinness è un racconto distorto che assomiglia a una Succession con gli shillelaghs (tra parentesi: con bastoni da passeggio intagliati del folklore irlandese). Ovvio, che avendo tra i produttori esecutivi della serie Ivana Lowell, discendente diretta dei Guinness, il punto non sia indagare il vero posizionamento della famiglia nella questione anglo-irlandese. Ovvio che si può scegliere di non guardarla a prescindere proprio per questo motivo e per la cornice all’acqua di rose in cui posiziona i dilemmi dei quattro eredi, avreste la mia simpatia. Ma tralasciando momentaneamente tutto questo…

James Norton è Sean Rafferty. Foto: Netflix/Ben Blackall

Be’, si può, innanzitutto, prendere la visione come spunto per cadere in un rabbit hole sano, per una volta, e approfondire lo spiegone sulla Storia d’Irlanda che vi ho servito poc’anzi – e se finirete a guardare Derry Girls, se ancora vi manca, attenderò i vostri ringraziamenti. E poi, come di solito si fa con le serie tv, le si può far partire e giudicare da un fatto semplicissimo: se fanno salivare, se fanno venir voglia di schiaffarsi sul divano a premere Play ancora e ancora. Ditegli quello che volete, ma in questo, il caro Knight, è maestro.

Eccoci quindi anche noi nei bassifondi di Dublino, al molo del porto, nei pub, a stappare bottiglie di oro nero mentre Edward Guinness fa piani per espandere il business in America insieme al cugino Byron Hedges, di madre Guinness, capitano di ventura con il fare di un leprecauno interpretato da Jack Gleeson, proprio quel Joffrey Baratheon del Trono di spade. Edward ha la silhouette di Louis Partridge, che è bello ritrovare in completi smaglianti dopo l’apparizione da manuale a Wimbledon con la girlfriend Olivia Rodrigo.

Olivia Rodrigo e Louis Partridge a Wimbledon, 2025. Foto: Instagram

Nel frattempo, al fratello maggiore, Arthur, è affidato l’incarico più gravoso: far ottenere alla famiglia Guinness un vero status nobiliare. Ha già vissuto a Londra, è lui l’Anglo-Irish che non vorrebbe essere irlandese, e sta correndo per essere eletto al Parlamento britannico come rappresentante di Dublino. E poi una famiglia per bene, specie se anglo-irlandese e fissata con i cerimoniali, deve apparire rispettabile. Che, non ce li metti i matrimoni di interesse, d’amore, scandalosi e cornuti? Un punto particolarmente soffice, dato che proprio Arthur non mostra l’interesse verso l’altro sesso che la legge del tempo, omofoba e sempre pronta a criminalizzare la “sodomia”, pretenderebbe.

A latere, Benjamin viene allontanato da Dublino in quanto alcolista. L’unica sorella, Anne, è esautorata dall’eredità del padre e costretta in un matrimonio grigissimo con il Reverendo Plunket. Trova sollievo nella comunità femminile della famiglia, la quale non disdegna dedicarsi alle opere di carità e fungere da matchmaker per i componenti maschi del clan. Senza contare la componente irlandese-irlandese dei nazionalisti, dove due sono le figure da tenere d’occhio: i fratelli Patrick (Seamus O’Hara) ed Ellen Cochrane (Niamh McCormack).

Louis Partridge è Edward Guinness. Foto: Netflix/Ben Blackall

Un’ulteriore freccia all’arco di House of Guinness: la colonna sonora regala alcune perle dal repertorio della musica irlandese di ogni genere (Fontaines D.C. e oltre), e per quanto l’appaiamento con il ritmo scenico non sia, diciamo, degno di un Martin Scorsese, it’s so bad it’s good. Al primo episodio vorrete quasi spegnere per l’accoppiata davvero pessima di suono e regia, all’ultimo, dove di fatto una scena si ripete, vi ritroverete affezionati anche a questa caduta di stile.

Per farla breve: il consiglio appassionato che vi posso dare è godervi un ottimo prodotto televisivo, ed essere felici. Cum grano salis, tenendo a mente lo iato tra palco e realtà, tra i fatti reali e la storia che vi è stata tratta. Non è una lezione nuova: The Crown, per traslarci in territorio “nemico”, ce l’aveva ricordato con notevole forza. Anzi, per scuotere la tovaglia: dannate le storie raccontate bene, che ci fanno sempre credere a quello che dicono. Con questo però mi levo dalla discussione, ché è terreno insondabile. Ogni ottima storia è una bugia detta ad arte. E di prendermela con l’intero decorso dell’uomo, francamente, non ho voglia.

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