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Showrunner e music supervisor non sono più parolacce (nemmeno da noi)

‘Euphoria’, di cui è attesissima la seconda stagione, non esisterebbe senza la visione di Sam Levinson. Ma ora queste figure si fanno strada anche in Italia. Vedi Ludovico Bessegato, da ‘SKAM Italia’ alla prossima ‘Prisma’. Il punto su uno scenario che sta cambiando

Foto: HBO

Negli Stati Uniti è consuetudine usare la parola showrunner quando si parla di serie tv. La o lo showrunner è una figura che, mediando tra esigenze creative e produttive, è praticamente identificata con un certo titolo. Ha una formazione specifica che comprende ogni singolo aspetto della costruzione di uno show, dal concetto fino alla disponibilità o messa in onda. Phoebe-Waller Bridge di Fleabag o Issa Rae di Insecure, per esempio, scrivono e recitano sorvegliando sulla riuscita complessiva di adattamenti per la tv di loro lavori precedenti (pièce teatrale e webserie, rispettivamente); Sam Levinson di Euphoria, di cui l’attesissima seconda stagione arriverà anche da noi (su Sky) il 9 gennaio, scrive e dirige tenendo le redini di un prodotto con cifre creative decisamente personali. In Italia, invece, lo showrunning è ancora una mezza chimera. I suoi molti compiti si dividono tra professioni diverse: sceneggiatrici e sceneggiatori, produttori e produttrici, story editor e naturalmente registe e registi. Non è necessariamente meglio o peggio; si tratta proprio di un modello diverso per un mercato, in effetti, molto diverso (e molto più ristretto) di quello statunitense. Netflix e Amazon Prime Video, con le loro produzioni italiane, hanno portato un vento nuovo in un Paese dove è ancora il colosso Rai a offrire il 78% di offerta in termini di prime visioni, ma al momento non superano il 3-4% delle quote di mercato. Incredibile, eh? Ma possiamo aspettarci che le cose cambieranno.

In effetti, alcune personalità se non altro simili all’idea americana di showrunner iniziano ad affermarsi. Si distinguono per un linguaggio quasi esclusivamente loro, una prospettiva d’insieme che restituisce una visione compatta e unica. Un esempio virtuoso è Niccolò Ammaniti, che con Il miracolo e Anna ha messo a segno due serie audaci. Un altro esempio è Ludovico Bessegato, anche produttore per Cross Productions, che ha sviluppato SKAM Italia a partire dall’originale norvegese di grande successo firmato da Julie Andem e nel 2022 arriverà su Amazon Prime Video con l’attesissimo Prisma. «Showrunning per me significa prendersi la completa responsabilità della serie che stai creando», racconta proprio Bessegato, «il che non vuol dire ovviamente rinunciare a delegare o ad avere collaboratori anche più bravi di te all’interno del loro ambito. Significa sforzarsi di offrire a tutti una visione organica di quello che si sta facendo. Impedire cioè la confusione, le ingerenze e la creazione di competenze e responsabilità che non si relazionano tra loro e che in alcuni casi possono entrare anche in conflitto. L’aspetto creativo, quello organizzativo e quello economico, non devono viaggiare in parallelo. Devono intrecciarsi, dialogare, confrontarsi. Solo così si possono davvero risolvere i problemi. Questo è quello mi ha trasmesso il mio produttore Rosario Rinaldo ed è quello che in Cross Productions cerchiamo di fare su ogni progetto. Solo se c’è una visione creativa solida il prodotto alla fine avrà una identità coerente. Se un prodotto è frutto di troppi compromessi, sarà un prodotto di tanti ma alla fine non sarà di nessuno. Nessuno lo potrà davvero difendere. Ecco, lo showrunner è quello che si mette nelle condizioni di poter dire: se non ti è piaciuto non devi cercare tante spiegazioni. È colpa sua. E anche il contrario ovviamente».

Parte integrante della visione d’insieme propria dello showrunning è anche un’attenzione maniacale alla musica di una serie, che è la sua spina dorsale emotiva. La colonna sonora di uno show può dare sfumature alla storia, aiutare a distinguere i personaggi tra loro e assegnare un valore preciso agli eventi (si pensi al lavoro magnifico di Trent Reznor e Atticus Ross sul Watchmen di Damon Lindelof, o al contributo fondamentale della music supervisor Susan Jacobs ai drammi casalinghi di Big Little Lies). Quando si parla di aspetti che «non devono viaggiare in parallelo» si parla anche di come brani e composizioni si intreccino alla vicenda, diventandone parte costituiva. Cristiano Joyeusaz di Operà Music – società che si occupa di music supervision, sincronizzazione e post audio dal 2006 e il cui motto è «providing the right music for the moving image» – sostiene: «Lavorare con la musica sulle immagini in generale, più che una sfida, per me rappresenta sempre una grande possibilità per poter dare al contenuto un taglio e una visione aggiuntiva rispetto alle sole immagini. Questo perché significa aggiungere livelli di significato e di interpretazione al visuale, e le narrazioni audiovisive possono cambiare radicalmente al cambiare della musica o dell’audio in generale. Nella nostra idea il ruolo di strutture come la nostra dovrebbe essere quello di “braccio destro potenziato” della figura dello showrunner, dove l’idea di braccio destro rappresenta il ruolo di supporto a 360 gradi sulla gestione dell’audio, in maniera non solo “da assistente”, ma con un rapporto appunto potenziato da aspetti di partnerariato. Questo significa, nel concreto, concorrere nel gestire gli aspetti creativi, di budget e produttivi del lato sonoro del progetto, supportando in modo produttivo la figura dello/a showrunner a partire dalle fasi di progettazione fino alla finalizzazione e alla consegna dei materiali audiovisivi. Proprio il lavoro a stretto contatto è il fulcro della proposta di Operà, perché permette un allineamento della visione creativa ed emotiva del progetto che è assolutamente centrale per la forza comunicativa di un prodotto audiovisivo, che si tratti di uno spot da 30 secondi o di una stagione di una serie, di un documentario, di un corto o lungometraggio».

Ma come funziona questo processo di collaborazione, nei fatti? Per Bessegato «c’è una prima fase di scambio di brani sulla base dei copioni. Si individuano una serie di brani che potrebbero sposarsi bene alle scene scritte e si crea una playlist condivisa. Poi una volta arrivati al montaggio io e il montatore iniziamo a provare delle musiche sulle scene. Partiamo da quelle condivise, ma spesso spaziamo anche in altri mondi, con grande libertà. Il pezzo giusto è molto spesso quello che non avresti mai immaginato. E da lì partono ore di ascolti e di confronti. Non è importante chi trova il pezzo. Una buona idea è una buona idea. Siamo tutti molto laici e in ascolto gli uni con gli altri. Nessuno si offende, nessuno pensa di dovere avere l’ultima parola. È un grande, lungo e bellissimo confronto». Importantissima per Joyeusaz e Operà Music è la condivisione immediata dell’idea di chi crea una serie tv: «Quando lavoriamo con la musica sulle immagini in qualche maniera lavoriamo con i “sentimenti”, i ricordi, a volte anche i “traumi”, che ognuno di noi associa a momenti specifici il cui è entrato in contatto con quel brano, quel sound, quella specifica combinazione di stimoli sonori. La situazione è totalmente differente quando il percorso creativo viene condiviso subito con noi, senza avere un’idea preconcetta. Questo ci permette di esplorare liberamente mondi sonori differenti, e spesso trovare la soluzione più giusta per raccontare il film. Chiaramente la scelta più giusta a volte non è quella esteticamente più “bella” (in termini di gusto personale): è importante non farsi distrarre dalle prime sensazioni, per cercare di cogliere al meglio l’essenza del racconto che vogliamo narrare». La serialità italiana, del resto, è un microcosmo in espansione che oggi affronta la sfida di non perdere la sua identità, e la sua storia, adeguandosi a ritmi produttivi molto più elevati. Accettando, soprattutto, l’idea che anche un medium come la tv – per tanti anni percepito come «inferiore» al cinema – possa diventare campo da gioco per autrici e autori con una poetica inconfondibile di cui la musica fa pienamente parte.

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