‘Sex and the City’: se non ne possiamo più, perché non riusciamo (ancora) a farne a meno? | Rolling Stone Italia
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‘Sex and the City’: se non ne possiamo più, perché non riusciamo (ancora) a farne a meno?

Negli anni, le avventure di Carrie & C. (che da oggi tornano su Sky Atlantic Confidential) sono diventate un termine di paragone così abusato da rischiare la saturazione, ma senza di loro non esisterebbe la serialità che amiamo oggi

‘Sex and the City’: se non ne possiamo più, perché non riusciamo (ancora) a farne a meno?

Qual è la serie più copiata, imitata, citata a proposito e a sproposito, di cui più spesso si è cercato di riprodurre la formula? Certo, potete rispondere Lost, soprattutto se ricordate quei primi anni dello scorso decennio in cui trovare un equivalente dell’isola misteriosa sembrava un’ossessione collettiva. Ma, molto prima di Lost, c’è stato un altro show piombato nelle nostre esistenze come un ciclone rivoluzionario, installandosi a vita nell’immaginario collettivo e generando innumerevoli tentativi d’imitazione. E quello show è Sex and the City.

“Oh no, ancora Sex and the City!” avete mormorato, ricordando l’imponente mole di articoli di costume a riguardo che avete letto, tra il 1998 e il 2004, quando la serie andò in onda per la prima volta negli USA sulla prestigiosa HBO e poi in Italia sulla defunta TMC – pagine e pagine dedicate alla sconvolgente scoperta che alle donne non solo piaceva fare sesso, ma addirittura parlarne. Magari state ripensando all’ultima volta in cui avete fatto un test per scoprire se siete una Carrie, una Miranda, una Samantha o una Charlotte, o alla prima volta in cui avete ordinato un Cosmpolitan per scoprire se era davvero così buono come sostenevano le ragazze. State rievocando quella vacanza a New York, in cui avete partecipato a un tour organizzato sui luoghi dallo show. O riconsiderando la tremenda delusione provata al cinema davanti a Sex and the City 2 e a quel momento in cui una bella commedia romantica sofisticata si è trasformata definitivamente in uno squilibrato mix tra un cinepanettone e un lungo spottone fashion-turistico.

Sex and the City 2 | Digital Trailer | Warner Bros. Entertainment


Però, sì: ancora Sex and the City. Prima di tutto perché Sex and the City ritorna in tv, sul nuovo pop-up channel Sky Atlantic Confidential, acceso al canale 111 di Sky dall’8 al 28 maggio, e in streaming su Sky on demand e Now Tv. E poi perché senza Sex and the City la serialità televisiva che tanto amiamo oggi – quella adulta, complessa, intelligente, profondamente capace di raccontare il proprio tempo e di sperimentare tra commedia e dramma – non sarebbe esistita. È facile sottovalutarla, Sex and the City: ha un formato da comedy, qualcosa che siamo abituati a guardare con occhio distratto, mentre facciamo altro, per staccare il cervello; è patinata e luminosa, e parla di presunte “frivolezze” come l’amore, i sentimenti e la moda; negli anni, come si diceva, è diventata talmente tanto un punto di riferimento, un termine di paragone così abusato da rischiare la saturazione. E poi, diciamola tutta: è difficile perdonare allo show di averci propinato l’illusione di potersi mantenere a Manhattan, in Manolo Blahnik e abiti firmati, tra locali cool ed eventi mondani, solo scrivendo una rubrichetta da 2.000 battute a settimana sugli affari di cuore delle proprie amiche.

Eppure nel panorama televisivo del 1998 Sex and the City fu una deflagrazione. La prima stagione – approfittate di Sky Atlantic Confidential e riguardatela: la scoprirete molto più ruvida e sgranata, molto meno levigata e scintillante di quel che ricordate, mentre Carrie Bradshaw vi sfiderà con i suoi malinconici sguardi in macchina e i monologhi rivolti direttamente al pubblico – fu una di quelle epifanie allo stesso tempo banali e geniali: per la prima volta c’erano quattro donne come protagoniste assolute, legate da un profondo e indistruttibile rapporto d’amicizia (tema che nella serie conta più del sesso o dell’amore romantico), indipendenti e libere, attorniate da personaggi maschili secondari, sistemati nei ruoli di spalla e/o interesse amoroso che di solito toccavano di default alle figure femminili. In onda su HBO, un canale via cavo all’epoca in cerca di fama, e libero dalle censure delle reti generaliste, Sex and the City poteva finalmente dire – e spesso anche mostrare – cose che voi umani fino ad allora neanche potevate immaginarvi, sul piccolo puritano schermo americano: il sesso in tutte le sue declinazioni, combinazioni e forme, finalmente slegato da ansie e sensi di colpa, vissuto, com’è giusto che sia, in modo naturale, consensuale, giocoso, quasi sempre molto piacevole, ogni tanto imbarazzante. Il luogo comune diffusissimo ribadisce che Carrie & compagne “finalmente facevano sesso come gli uomini”, ma forse sarebbe più corretto dire che “finalmente facevano un sesso libero e appagante”.

Guardando Sex and the City la prima sensazione è quella di un’attesa liberazione: vale per qualsiasi spettatore, di qualsiasi genere. E poi arriva l’eccitazione per una quotidianità avventurosa, piena di infinite possibilità appena dietro l’angolo: merito del sesso certo, ma anche della città, una New York sicuramente romanticizzata dal filtro sfavillante della confezione televisiva, ma non così lontana dall’elettricità che si respira nella vera Manhattan, la Grande Mela che non dorme mai, la metropoli dove si può incontrare chiunque, trovare di tutto, e tutto può accadere. Sex and the City è una fantasia, sì, ma capace di distillare sensazioni maledettamente autentiche.

Certo, come accade quasi sempre, proseguendo la sua corsa (e soprattutto nelle ultime due stagioni) la serie ha finito per incastrarsi sulle sue caratteristiche più iconiche, esasperando i caratteri di Charlotte, Miranda e Samantha per far da contrappunto comico agli intrecci sentimentali di Carrie, e insistendo sempre di più sull’ossessione per il glamour, le grandi firme, i locali in. E le sue liberissime protagoniste, tutte quante, hanno finito per capitombolare davanti all’ideale convenzionale dell’Unico Vero Amore, sostituendo pian piano l’appassionante ricerca di se stesse con quella dell’uomo della vita (per questo, con tutto il male che si può dire dei sequel cinematografici, la scelta che fa Samantha alla fine del primo film almeno riagguanta lo spirito indomabile dell’inizio della serie).

Ma basta guardare le altre serie che fanno compagnia a Sex and the City su Sky Atlantic Confidential per rendersi conto di quanto la serie di Darren Star sia stata fondamentale per aprire la strada alla tv del futuro: The L Word (altro show con diverse criticità, non lo neghiamo) ha portato per la prima volta al pubblico mainstream un cast di protagoniste fieramente lesbiche; la controversa Girls di Lena Dunham ha avviato il fiorente filone di dramedy disorientanti, sperimentali e autoriali che oggi arriva fino a Fleabag; Big Little Lies ha coniugato il melodramma con la rappresentazione sfaccettata e dolorosa dell’esperienza femminile; Sharp Objects, Veep ed Euphoria – in modi e formati diversissimi – hanno messo al centro del racconto delle antieroine più che imperfette, discendenti dalle imperfezioni, a volte adorabili altre insopportabili, di Carrie & socie.

E così, scorrendo l’infinito catalogo delle serialità d’oggi, ricco di personaggi complessi e audaci sperimentazioni, non posso fare a meno di chiedermi: quanto dobbiamo ringraziare Sex and the City per averci insegnato, con entusiasmo ed eccitazione, a guardare con occhi nuovi?