Sarah Jessica Parker è sempre lei | Rolling Stone Italia
At the ballet

Sarah Jessica Parker è sempre lei

In 'And Just Like That...' (ora alla terza stagione) niente poteva essere più come prima. Ma l'attrice ha avuto la capacità di restare fedele a un’icona sapendola decostruire, di continuare a essere Carrie Bradshaw senza doverla giustificare. SJP è ancora cool, ma – forse – non gliene frega più niente

Sarah Jessica Parker è sempre lei

Sara Jessica Parker in 'And Just Like That... 3'

Foto: HBO/Sky

C’è una sequenza che per me contiene più di ogni altra l’essenza di Sarah Jessica Parker, soprattutto ora che sono passati più di vent’anni dalla fine di Sex and the City. E no, Carrie Bradshaw non c’entra nulla, o quasi. Mi spiego. È la quarta stagione di Glee, serie bellissima e sfortunatissima (parlando della vita vera dei protagonisti) che meglio di ogni altra ha raccontato adolescenza, diversità e bullismo – ma sempre à la Broadway – prima che diventassero (anche) etichette da algoritmo. Di anni da SATC ne sono passati una decina e Sarah partecipa a qualche episodio di quella serie di Ryan Murphy nei panni (rigorosamente griffati) di Isabelle Wright, direttrice della sezione moda di Vogue, una sorta di Miranda Priestly con il cuore tenero e un’armatura di chiffon, la fata madrina che ogni giovane queer di Lima, Ohio, avrebbe voluto incontrare all’arrivo nella City.

A un certo punto Isabelle porta Kurt, Rachel e Santana al Gala del New York City Ballet e insieme cantano At The Ballet dal musical A Chorus Line. È un momento che resta per quiete e grazia: SJP intona quell’“everything was beautiful at the ballet” con una malinconia che un po’ culla e un po’ fa male, come se per un attimo il suo volto portasse il peso e l’incanto dell’aver vissuto mille vite. La stessa identica espressione torna, (altri) dieci anni dopo, nella prima puntata della terza stagione di And Just Like That… (in esclusiva su Sky e in streaming su NOW): Carrie Bradshaw accompagna al balletto Lily, la figlia di Charlotte, che si è innamorata di un ballerino. Non è un caso che il personaggio più glamour degli anni Duemila scelga proprio il balletto come atto simbolico (e sì, SJP da ragazzina ovviamente ha studiato all’American Ballet School). In mezzo a una stagione televisiva che promette sorprese, new entry e amore eterno (?) per Aidan, Carrie si siede in silenzio sotto i lampadari e guarda i corpi danzare. Come in un pezzo di Proust con le Louboutin al posto della madeleine, tutto si muove per evocazione. And Just Like That… è sempre più malinconico, più quieto, pure più rassegnato. E Sarah Jessica Parker, anche nei momenti più caricaturali (i topi!), riesce a infondere a Carrie un’eleganza nostalgica, una delicatezza che la Tv contemporanea fatica a permettersi.

At The Ballet (4K ULTRA HD & 60FPS) — Glee 10 Years

A volte ci vogliono vent’anni per diventare quello che si era già. Sarah Jessica Parker ce ne ha messi trenta: dalla ragazza stramba e affamata di Broadway all’icona dell’Upper East Side, poi al simbolo pop femminista più frainteso del millennio. Quando Sex and the City finisce nel 2004, SJP è la donna più amata (e detestata) della Tv. Carrie Bradshaw – quella che scriveva articoli su “relazioni e scarpe”, ma ti spiegava meglio di un trattato di sociologia cosa significa stare al mondo da single – era diventata un archetipo. Un’eroina imperfetta, viziata, spesso egoista, ma in costante esplorazione di sé. Una che sbagliava, sempre. E che, proprio per questo, parlava a molte. Poi sono arrivati i backlash, i meme sul fatto che nessuna giornalista freelance si sarebbe potuta permettere quelle Manolo, le accuse di superficialità, di narcisismo, di egocentrismo newyorkese (ma dai). La cancel culture ante litteram applicata a una serie che aveva fatto del parlare di sesso senza filtri una rivoluzione pop. E infine, il giudizio spietato: Carrie è tossica e Sex and the City è solo una favola neoliberale travestita da empowerment. Ma le favole sono eterne.

Quando arriva And Just Like That… siamo su un altro pianeta. Le quattro ragazze del Village non sono più quattro: Samantha ha fatto ciao ciao (più per beghe contrattuali e interpersonali con SJP che narrative), le altre sono diventate donne mature alle prese con funerali, menopausa, figli adolescenti e crisi identitarie. C’è chi ha urlato allo scempio, chi ha difeso il coraggio di parlare di invecchiamento e chi ha semplicemente cambiato canale. Ma Sarah Jessica Parker è rimasta lì, nel cuore pulsante del revival, ad abitare un personaggio che è ancora Carrie, ma con meno leggerezza e più consapevolezza. Una Carrie meno “tutta vestiti, brunch e Manhattan”, più riflessiva, a tratti smarrita, ma ancora ostinatamente sé stessa. E proprio qui l’attrice ha mostrato la sua carta vincente: la capacità di restare fedele a un’icona sapendola decostruire. Di continuare a essere Carrie senza doverla giustificare. Sarah Jessica Parker è ancora qui, è sempre lei. E non ha più bisogno di piacere a nessuno.

A ben vedere, And Just Like That… ha avuto bisogno di due stagioni per capire cosa voleva essere: non più il sequel frizzante di Sex and the City, ma il suo spettro danzante, il racconto allegramente crepuscolare di tre donne (quattro, cinque, sei contando anche Seema, Lisa, Nya) alle prese con il tempo che è passato. Certo, la scintilla non c’è più, e la terza stagione si apre con Carrie che si è trasferita in una casa ottocentesca a Gramercy Park, Aidan che è sparito di nuovo (ma resta sullo sfondo) e il balletto che diventa la prima nota di una sinfonia nostalgica.

And Just Like That S3 | Trailer Ufficiale

Il pubblico e la critica, stavolta, sembrano apprezzare. Il Guardian scrive che “finalmente il reboot ha trovato la sua voce”, Decider parla di “una stagione da guardare, finalmente rilassata e consapevole”. C’è qualcosa di etereo che si riflette anche nel modo in cui Carrie viene filmata: spesso di spalle, immersa nella luce dorata del tramonto newyorkese, come se il suo corpo fosse sempre un po’ altrove. E c’è qualcosa di profondamente commovente nel vedere Sarah Jessica Parker interpretare ancora Miss Bradshaw. In un’epoca che ti chiede di rinnovarti a ogni costo, lei resta. Con i suoi cappelli assurdi, il suo gatto che si chiama Scarpa (!), le sue fragilità, le sue borse griffate che sembrano valigie dell’anima. Si vedono la fatica, le rughe, i dolori, le disillusioni. E lei non li nasconde, anzi, li mette in scena. Con quella grazia spigolosa che le è sempre appartenuta. Perché non è solo un revival di una serie: è un’autonarrazione, una lettera aperta al pubblico e a sé stessa, un coming-of-age a sessant’anni.

Ed è proprio questa fragilità a rendere And Just Like That… qualcosa di più di un sequel nostalgico. Nel suo modo di camminare tra le strade di Manhattan, di parlare con le amiche (e con se stessa), di riabbracciare il dolore per Big e l’incertezza con Aidan, Carrie Bradshaw racconta la condizione esistenziale di chi vuole sentirsi ancora se stessa – fanculo i cinquant’anni. E, attraverso di lei, SJP rifiuta l’idea che ci sia un’età per smettere di raccontarsi. Nel frattempo, Parker è tornata anche in pubblicità. Nello spot Zalando con Mahmood, gira tra backstage, piume e riflessi: il suo sguardo è ironico, il passo sicuro, la voce fuori campo dice: “Stile è sentire che puoi essere te stesso, chiunque tu sia”. Ecco.

SJP forse non ha mai voluto essere una diva, lo è diventata anche un po’ suo malgrado. Con quella voce che graffia, il corpo scolpito ma mai esibito, l’aria da intellettuale boho con il tacco (altissimo) ben piantato nel mainstream. Un paradosso vivente: l’attrice che ha vestito Balenciaga e letto Didion, che produce commedie romantiche mentre cita Virginia Woolf. Quella che tutti pensavano fosse solo moda e invece aveva un’anima letteraria cucita addosso. Sarah Jessica Parker è sempre lei, è ancora cool, ma – forse – non gliene frega più niente.