Un’attenzione e un interesse per i dettagli pari solo all’attesa: come da aspettative, Il Mostro, la serie evento di Leonardo Fasoli e Stefano Sollima è balzata pronti-via in cima a ogni trend su Netflix. E immediatamente, come in molti casi analoghi, è partita la caccia ai particolari, se e quanto la ricostruzione rispetti storia e protagonisti. Con la più classica delle domande: è tutto vero? Quanto c’è di realmente fedele a come si sono svolti i fatti? Spoiler: moltissimo, quasi tutto.
Come è noto, la serie si occupa del primo filone d’indagine, a partire dalla scoperta all’inizio degli anni Ottanta della connessione tra i delitti del Mostro fino ad allora conosciuti e un altro duplice omicidio, risalente al 1968: l’uccisione a colpi d’arma da fuoco nelle campagne di Signa di Barbara Locci e del suo amante, Antonio Lo Bianco, con il bambino di lei addormentato sul sedile posteriore. Confessò subito il marito, Stefano Mele. Arma usata, si sarebbe scoperto anni dopo, la stessa Beretta Serie 70 calibro 22 dei delitti del Mostro di Firenze. E si tornò a indagare sul caso del ’68, ipotizzandolo maturato nella cerchia dei conterranei sardi che circondavano la vittima e suo marito. Chiamando in causa altri amanti, come i fratelli Vinci. Anche, e soprattutto, in relazione ai delitti del Mostro. La serie racconta quindi una (buona) parte delle indagini, quelle sulla cosiddetta pista sarda, prima che Pietro Pacciani e i compagni di merende balzassero agli onori delle cronache. Un focus che dunque, dichiaratamente, non intende essere né totale, né esaustivo.
La sceneggiatura è stata scritta consultando verbali, testimonianze, riportando interviste e articoli dell’epoca, studiando carte e sentenze, al di là dell’inevitabile libertà (e necessità) narrativa di ipotizzare dialoghi e relazioni tra i personaggi. Perché oltre alla ricostruzione della fredda cronaca, la serie ha anche il merito di proporre un’ottica inedita, sociologicamente significativa: filtrare la vicenda del Mostro di Firenze attraverso la lente del patriarcato e della violenza di genere. Uno sguardo prezioso in connessione con l’attualità, e che molto sta facendo discutere in questi giorni. Se questo riguarda interpretazione e taglio narrativo, resta sullo sfondo la relazione con i fatti. E il rapporto tra realtà e finzione, o meglio ricostruzione, in pochi casi come questo forte e credibile, offre comunque lo spazio a qualche considerazione. Tra verità e fiction, qualche argomento di riflessione esiste. Qualche domanda, qualche risposta.
La fine, anzi no
Quattro episodi per raccontare diciassette anni di terrore: cosa, anche relativamente alla sola pista sarda che è il focus della stagione, non è stato incluso? Una prima discriminante sarebbe la verità processuale, che nel 1989 ha di fatto chiuso la pista sarda archiviando la posizione dei fratelli Francesco Vinci e Salvatore Vinci per il delitto Locci-Lo Bianco, e di conseguenza anche per i delitti del Mostro. Per la giustizia l’unico colpevole dell’omicidio di Barbara Locci e del suo amante restava il marito, Stefano Mele. Un’archiviazione che segnava anche una svolta investigativa sul Mostro, e che la serie non ha inteso raccontare neppure didascalicamente, concentrandosi, nei quattro capitoli, sulle possibili verità alternative del delitto di Signa. Oltre a Stefano Mele, uno per episodio, il fratello Giovanni Mele, Francesco Vinci, Salvatore Vinci: i rispettivi moventi, le dinamiche disfunzionali di ognuno di loro, le reciproche connessioni. Insomma, occupandosi di come e perché ognuno di loro potesse aver commesso il duplice omicidio. Ma non occupandosi della sentenza che ha indirettamente stabilito come ognuno di loro potesse non averlo commesso.
La pistola passata di mano

La pistola del Mostro pronta a colpire. Foto: Emanuela Scarpa/Netflix
La serie ha il suo (storico) presupposto, che sostiene con sicurezza: il duplice omicidio di Signa è il primo commesso dal Mostro di Firenze. Posizione peraltro ampiamente per la maggiore negli anni e decenni, sino a oggi. Che la pistola dei delitti del Mostro sia certamente quella che ha sparato anche nel 1968 è una verità che tuttavia può non necessariamente risolversi nell’equazione stessa arma-stesso autore. Un’equazione non così automatica, ad esempio, per la sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Firenze, che nel 1994 attribuiva a Pietro Pacciani quattordici omicidi, ovvero sette duplici omicidi su otto. Non quello di Signa nel ’68, che restò fuori anche nella sentenza del successivo processo ai compagni di merende. Per la giustizia il 1968 resta, semplificando molto, un caso a parte. Restringendo il campo esclusivamente all’arma, la serie non contempla peraltro l’altra ipotesi, che negli anni ha diviso chi ha seguito il caso. Ovvero che tra il ’68 e il ’74, data del primo duplice omicidio dal primo momento ufficialmente attribuito al Mostro, la pistola sia banalmente passata di mano. Più che rivenduta (estremamente difficile, sostengono inquirenti e soprattutto la stampa che si è occupata dell’ipotesi), ritrovata o raccolta da una seconda persona presente, o capitata in seguito su quei luoghi isolati, eppure paradossalmente abbastanza frequentati.
Figure nell’ombra
Il che ci porta direttamente al capitolo relativo a quei personaggi secondari, o forse no, di quelle notti fiorentine. Da Scandicci a Baccaiano, da Montefiridolfi a San Casciano, nella serie le campagne della provincia toscana vengono raccontate come popolate da altre inquietanti creature notturne. Un sottobosco di voyeur puntualmente appostati tra le frasche, una folla di guardoni, anche piuttosto organizzati: era proprio così? Nessuna esasperazione narrativa, la risposta è sì. In quei campi, tra quegli alberi, nell’ombra si nascondeva tanta gente, tutt’altro che sprovveduta, a guardare di nascosto quegli amori consumati nell’abitacolo delle auto. E spesso non solo a guardare: è altrettanto vero, come raccontato dalla serie, che era gente in alcuni casi attrezzata con microfoni, registratori, persino dispositivi di ripresa notturna. Tutto è nelle risultanze investigative, e non è un caso che le primissime indagini si concentrino proprio in quell’ambiente, quello dei guardoni. Lo è la prima persona arrestata nel corso delle indagini. Lo sono diversi testi nei processi degli anni Novanta.
Intuizione o soffiata?

Piero Luigi Vigna (Sergio Albelli) e la pm Silvia Della Monica (Liliana Bottone). Foto: Emanuela Scarpa/Netflix
E se avesse già colpito in passato? E se fosse sfuggito qualcosa su altri casi? Sospetti, ricordi, connessioni: accade nel primo episodio, quando alla pm Silvia Della Monica viene l’idea che il primo duplice omicidio possa non essere stato davvero il primo. E così si ripesca il faldone del caso Locci-Lo Bianco, con tanto di bossoli. Una felice intuizione? Negli anni ha preso piede, presa in considerazione persino in diverse interviste ai diretti interessati, l’ipotesi che sia stata una segnalazione anonima a mettere gli inquirenti sulla pista del collegamento con il diritto di Signa. Quello della lettera anonima, dell’aiuto esterno arrivato da un sedicente cittadino amico, è uno degli aspetti più controversi e a lungo oggetto di interesse di ricostruzioni e speculazioni giornalistiche. Una versione, o suggestione, che la serie, strutturata sulla fedeltà alle carte ufficiali, non percorre e nemmeno accenna. Ma che per chi ha seguito negli anni il caso è stata, e resta ancora, una discriminante fondamentale.
Una storia di donne. E di genere
Il racconto di due personaggi femminili, ciò che rappresentano, ciò che attorno a loro si muove: è la duplice linea narrativa che regge la serie. Strutturata non solo su Barbara Locci, la vittima di Signa, volto dell’oppressione maschile prima, di una libertà mal sopportata poi. Ma anche, sul fronte investigativo, sulla figura della pm Silvia Della Monica. Profilo centrale nella prima fase di indagini, donna di riferimento nel pool investigativo prima dell’avvento della Squadra Anti Mostro di Ruggero Perugini. “Perché a me?”, si chiede ricevendo la lettera del Mostro, indirizzata espressamente a lei, con all’interno parti anatomiche dell’ultima vittima, la francese Nadine Mauriot. “Perché sei l’unica donna”, è la risposta immediata. È una lettura, con l’annessa carica semantica e di genere, coerente con la realtà dei fatti? Decisamente sì. Fino al 1985, quando il killer le scrive, Silvia Della Monica è la donna fondamentale, la sola, nella squadra che indaga sul Mostro. Ed era stata lei a ideare il famoso bluff, anch’esso realmente accaduto, come ha confermato lei stessa proprio in questi giorni: far credere all’assassino che il ragazzo ucciso a Baccaiano fosse stato trovato ancora vivo, e avesse detto qualcosa di importante. Poco prima, nel corso del primo episodio, era stata lei a sottolineare: questi sono delitti contro le donne. E in questo senso il destinatario della lettera del Mostro, la sola certamente autentica secondo le ricostruzioni ufficiali, non è casuale. Quello che il serial killer nel settembre del 1985 non sa è che Silvia Della Monica ha da poco lasciato le indagini. Restano con tutta probabilità gli indubbi significati di genere nella scelta del Mostro di mettersi in contatto proprio con lei, l’unica donna, come interlocutrice. Per quel bluff, quel sasso nello stagno lanciato tre anni (e tre duplici omicidi) prima, ma non soltanto.
La (ri)scoperta dei bossoli
A creare la connessione con il duplice omicidio del 1968 sono i bossoli di proiettile allegati al fascicolo dell’omicidio Locci-Lo Bianco, che danno agli inquirenti la conferma che il primo delitto del Mostro sarebbe quello di Signa, e alla serie il suo focus centrale. Si è molto dibattuto negli anni se fosse naturale dopo tutto quel tempo, e con una sentenza passata in giudicato, trovare i reperti ancora lì. Anche in questo caso, due scuole di pensiero. La prima, che fosse normalissimo averli trovarli e altrettanto logico non averli distrutti, non essendo mai stata trovata l’arma del delitto. La seconda, che normale non lo fosse affatto: piuttosto una fortunata combinazione, si dirà in seguito. Una duplicità di letture che la serie non approfondisce: strano o no, i bossoli sono lì. Ma dato che rappresentano l’elemento decisivo per identificare il delitto del 1968 come il primo del Mostro di Firenze, sono due interpretazioni che fanno tutta la differenza del mondo.
Così oscuro da essere vero

Antonio Tintis interpreta Giovanni Mele. Foto: Emanuela Scarpa/Netflix
Una delle sequenze più inquietanti e ad alto tasso adrenalinico della serie non è strettamente legata agli omicidi del Mostro di Firenze: è la scena del giro in macchina di Giovanni Mele, fratello dell’uomo reo confesso del delitto Locci-Lo Bianco, assieme alla donna che l’indomani lo denuncerà, convinta che sia lui il Mostro. Dalla cena in taverna al cimitero semi-abbandonato vicino Montefiridolfi, una scena talmente bella e terribile non può che essere frutto dell’inventiva degli sceneggiatori, si direbbe. Incredibilmente, no. È tutto realmente accaduto in ogni particolare, tutto nelle risultanze del verbale: la cena, il giro in auto, il camposanto, la corda nel bagagliaio. Un racconto dai particolari agghiaccianti, e ricostruito dalla serie con ritmo e atmosfere da grande cinema. E soprattutto coerente al centimetro con i fatti riferiti dalla donna.
Piccoli piedi scalzi
È uno dei nodi centrali nella ricostruzione della notte di Signa, e di tutto ciò che ne consegue. Non solo in rapporto all’omicidio in sé, ma all’indagine sui delitti del Mostro di Firenze nel suo complesso. “Il mi’ babbo è ammalato a letto, e la mamma e lo zio sono morti in macchina”: il piccolo Natalino venne davvero trovato inspiegabilmente solo e senza scarpe al casolare dove chiese soccorso? Nessuna intrigante trovata o libertà narrativa: la risposta è assolutamente sì. Ed è altrettanto complicato spiegare come il bambino, se non accompagnato fin lì da qualcuno, abbia camminato scalzo per oltre due chilometri su strada non asfaltata, o comunque accidentata, in quella notte senza luna del 1968. Esattamente come sottolineato nella serie dal maresciallo dei Carabinieri. Uno dei grandi misteri della notte del delitto di Signa, il primo della serie, e il primo nella serie.













