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‘Nine Perfect Strangers’: oltre alla (prestigiosa) superficie ci sarà di più?

Dopo il boom di ‘Big Little Lies’, prosegue la ‘renaissance’ di Nicole Kidman in tv (e dello showrunner David E. Kelley). Ma non è detto che la nuova serie Prime Video riesca a mantenere le aspettative

Foto: Amazon Studios

L’enorme successo della prima stagione di Big Little Lies, dalla messa in onda a inizio 2017 all’inarrestabile trionfo agli Emmy nell’autunno dello stesso anno, è considerato l’inizio della “Kidmanaissance”: la rinascita di Nicole Kidman, che a ben vedere dagli schermi non se n’era mai completamente andata, ma era stata colpita dal “morbo dell’invisibilità” che “misteriosamente” affligge le dive hollywoodiane dopo i quarant’anni, quando l’industria smette di offrire loro parti interessanti e i tabloid iniziano a concentrarsi ossessivamente su rughe, maternità e interventi di chirurgia estetica. In quel favoloso 2017, Kidman ha recitato anche nell’Inganno di Sofia Coppola, Il sacrificio del cervo sacro di Yorgos Lanthimos, La ragazza del punk innamorato di John Cameron Mitchell, la miniserie sequel di Top of the Lake di Jane Campion (con questi quattro titoli, quell’anno, era presente a Cannes da protagonista assoluta) e Sempre amici, il remake statunitense dell’exploit francese Quasi amici.

E da lì non si è più fermata, infilando uno dietro l’altro progetti diversissimi come Boy Erased, Destroyer, Aquaman, Il cardellino, la seconda – meno fortunata – stagione di Big Little Lies, Bombshell, The Prom, la miniserie The Undoing – Le verità non dette e Nine Perfect Strangers, che parte oggi su Amazon Prime Video con i primi tre episodi (gli altri cinque arriveranno poi uno a settimana). Tra i tanti progetti in lavorazione, Kidman ha anche un biopic scritto da Aaron Sorkin in cui interpreta Lucille Ball, figura fondamentale della televisione anni ’50: quasi un “ringraziamento” al piccolo schermo che le ha portato fortuna.

Ma se, giustamente, si parla tanto di Kidmanaissance, nessuno cita la “Kelleynassance”, ovvero il ritorno in forze dello sceneggiatore e showrunner David E. Kelley. Anche lui, a dire il vero, non è mai stato davvero in inattività, ma rispetto ai travolgenti sfarzi degli anni ’90 – quando era il re assoluto dei legal drama, con capisaldi come L.A. Law, The Practice, Boston Legal e il cult Ally McBeal, oltre alle incursioni in altri generi procedurali come Chicago Hope e Boston Public – i titoli da lui prodotti nel nuovo millennio – Harry’s Law con Kathy Bates, la sitcom The Crazy Ones col compianto Robin Williams, tra gli altri – non hanno mai sfondato (e moltissimi sono stati cancellati dopo una sola stagione). Invece, dopo Goliath (sempre su Prime Video) e soprattutto Big Little Lies, Kelley è ora richiestissimo, quasi ogni canale o piattaforma streaming sembra volerne un “pezzetto”: tra il 2017 e oggi ha sfornato Mr. Mercedes (da noi su StarzPlay), la già citata The Undoing sempre con Kidman (Sky e NOW), Big Sky e Cambio di direzione (Disney+) e ora, appunto, Nine Perfect Strangers su Prime Video, mentre su Netflix è attesa The Lincoln Lawyer.

C’è un terzo nome nell’equazione Big Little Lies/Nine Perfect Strangers, ed è quello di Liane Moriarty, scrittrice di bestseller, australiana come Kidman. Big Little Lies – in italiano Piccole grandi bugie, pubblicato da Mondadori proprio come il più recente Nove perfetti sconosciuti – era il suo più grande successo, incluso nell’ambita lista di bestseller del New York Times e per questo scelto dalle produttrici Kidman e Reese Witherspoon e da HBO per diventare una miniserie. All’uscita di Nove perfetti sconosciuti, i diritti erano già stati opzionati da Nicole, intenzionata a ripetere la formula vincente, nel frattempo onorando anche un lucroso accordo produttivo stretto dalla sua Blossom Films con Amazon Prime Video.

E dunque, eccoci qua: nove perfetti sconosciuti – una scrittrice in declino, un ex campione di football dipendente da antidolorifici, una coppia in crisi formata da un’influencer e da un neo-milionario, un uomo super scettico e dagli obiettivi poco chiari, una donna di mezza età frustrata e appena divorziata, una famiglia all’apparenza normale, composta di padre, madre e figlia teenager, in realtà tormentata da un grave lutto – entrano in una spa. Non è l’inizio di una barzelletta, e non è neanche una spa normale: la Tranquillum House offre, dietro lauto compenso, un ritiro di dieci giorni nel mezzo della natura, senza telefoni cellulari o altri contatti col mondo esterno, con un fitto programma di yoga, meditazione, agopuntura, massaggi e idromassaggi, passeggiate lungo il fiume e attività varie ed eventuali. Dieci giorni dopo i quali – assicurano i gestori e il passaparola dei precedenti clienti – gli ospiti torneranno alla civiltà completamente trasformati.

Soprattutto perché, a guidarli, c’è lei, Masha, una misteriosa guru di origine russa, ovvero una Nicole Kidman eterea e inquietante come l’elfa Galadriel, lunghi capelli biondi e leggeri abiti velati che ondeggiano al vento mentre si muove silenziosa e onnipresente negli spazi architettonicamente impeccabili della Tranquillum House. La “leggenda” racconta che Kidman, durante l’intera lavorazione della serie – avvenuta nel meraviglioso scenario naturale della Byron Bay, nel Galles del Sud, rispettando diligentemente una rigida quarantena anti-Covid – non sia mai uscita dal personaggio, rivolgendosi a chiunque con l’accento dell’Est, gli sguardi intensi e le frasi sibilline di Masha.

Melissa McCarthy è Frances. Foto: Amazon Studios

Con Big Little Lies la serie ha in comune soprattutto la “superficie”: l’estetica lussuosa e patinata, la predilezione per ambienti e stanze da sogno, superbamente arredati, e per scenari naturali tanto sublimi da mozzare il fiato. E poi, il suo maggior punto di forza: il cast, e dunque la recitazione. Melissa McCarthy – anche co-produttrice, su invito della stessa Kidman – interpreta, in inedita ma riuscitissima sottrazione, la protagonista Frances, ovvero la scrittrice di bestseller, ovvero una sorta di alter ego di Liane Moriarty (l’ha confermato la stessa autrice). Ma tutto il resto del cast è pieno di grandi nomi e di performance al massimo delle potenzialità: soprattutto i sempre impeccabili Michael Shannon (il padre di famiglia dall’ostentato ottimismo) e Bobby Cannavale (l’ex star sportiva amareggiata e scontrosa), ma anche Regina Hall in contro-casting (la “casalinga” disperata), i già affermati Samara Weaving e Luke Evans (l’influencer e lo scettico misterioso), gli emergenti Melvin Gregg e Grace Van Patten (il neo milionario vincitore della lotteria e la ragazza adolescente), l’ottima attrice australiana Asher Keddie (la madre in lutto), oltre ai due aiutanti di Masha, interpretati da Tiffany Boone e da un Manny Jacinto in un’interpretazione talmente diversa dal suo Jason di The Good Place da farvi quasi dimenticare che si tratti della stessa persona.

Rispetto a Big Little Lies, però, Nine Perfect Strangers mette in campo atmosfere thriller molto diverse: là c’era da capire chi fosse morto, e perché, e come, all’interno di una comunità precisa ma non isolata e delle sue dinamiche sociali, di genere e di classe; qua c’è un senso di ansia costante ma rarefatto, l’ipotesi costantemente sospesa che ci sia qualcosa di sinistro dietro quest’esperienza idilliaca, ma senza che per lungo tempo sia dato di capire esattamente di cosa si tratti. Masha/Nicole, che spia costantemente i suoi ospiti con videocamere piazzate ovunque, fa analizzare quotidianamente il loro sangue, mescola qualcosa di non specificato ai loro smoothie mattutini e guida da lontano i loro comportamenti senza che se ne accorgano, è una pericolosa sociopatica, oppure un genio? O sono forse gli eccessi della “cultura del wellness”, tanto decantata in questi anni, a essere di per sé inquietanti? Le prime puntate si prendono il tempo di tratteggiare i personaggi, promettendo un’escalation di rivelazioni sul loro passato e su quello di Masha capaci di rendere la serie l’equivalente televisivo di un page turner, quei romanzi impossibili da metter giù in cui Moriarty generalmente si distingue. Per ora abbiamo una “superficie” sfavillante: saprà anche scendere in profondità?

Bobby Cannavale e Luke Evans in ‘Nine Perfect Strangers’. Foto: Amazon Studios

L’unica cosa certa è che Nine Perfect Strangers è la prova che, oltre alle renaissance di Nicole Kidman e David E. Kelley, il successo di Big Little Lies ha portato anche a una solida tendenza seriale, una prestige television elegante fatta di grandi attori, confezioni lussuose, misteri appassionanti, un’anima da mélo familiare e indagini nel cuore nero della ricca borghesia americana (volete un altro esempio? Il progetto della sodale di Kidman, Reese Witherspoon, Little Fires Everywhere: tratto da un bestseller, ambientato tra i super ricchi di provincia, con il filo teso del thriller ad ancorare la trama, e Witherspoon e Kerry Washington a rubarsi vicendevolmente la scena). Una tendenza di cui Kidman e Kelley sembrano voler essere alfieri. Ma attendiamo ancora che la ricetta riesca bene come la prima volta.

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