Entrare di nuovo alla Nevermore Academy, per dirla con Mercoledì, è come tornare sulla scena di un crimine: sai già dove sono nascosti i corpi, conosci gli scheletri negli armadi (letteralmente) del campus, eppure, in qualche modo, temi la delusione del seguito e allo stesso tempo sei impaziente di scoprire quale nuova apocalisse si abbatterà sullo schermo.
Ecco, niente paura: con questa prima parte della seconda stagione, la serie più deliziosamente lugubre in circolazione evita l’effetto more of the same (che poi, diciamolo: avercene, di more of the same così). Anzi, prende di petto la sfida di espandere il mondo addamsburtoniano, scavando più a fondo nelle radici della protagonista e aprendo le porte, anche quelle più scricchiolanti, alla sua leggendaria famiglia, Morticia e zio Fester su tutti (ci torniamo).
È come se i nuovi episodi avessero preso la scossa (pun intended) e avessero deciso di essere più elettrizzantemente dark che mai. La nostra eroina, però, è sempre fortissimamente lei: lo sguardo impassibile, il sarcasmo asciutto come credo, le treccine e il nero d’ordinanza a farle da divisa e un carisma per cui mille personaggi (e attrici) teen (e non) pagherebbero, forse anche con la vita, per restare in tema. Non che Jenna Ortega apprezzerebbe l’entusiasmo: «Non mettetemi su un piedistallo», sibila Mercoledì agli altri studenti che, dopo averla vista salvare la Hogwarts degli outcast nella prima stagione, ora la venerano come nuova it girl: «La popolarità non segue le leggi della fisica: più la allontani, più ti cerca». E pare che, come il suo personaggio, manco Jenna voglia essere trovata.
Prima, però, uno sguardo all’estate di Miss Addams, passata a caccia di un serial killer che fa lo scalpo alle sue vittime e ne ricava bambole ornamentali. È interpretato da un disturbante Haley Joel Osment (sì, il bambino di Il sesto senso), che riesce nell’impresa di essere insieme tenero e spaventoso, una sorta di Geppetto dello squartamento. Un’introduzione molto in stile Mercoledì alla nuova stagione di Mercoledì, perfetta per una serie che continua a usare il macabro come forma di poesia. Tim Burton, che firma la regia del primo e del quarto episodio (con Paco Cabezas), resta il cantore degli outcast, il visionario dei freak che danzano nell’ombra, il regista che riesce a farci amare la morte come fosse un abbraccio vintage, il creatore di improvvisi lampi grotteschi che sdrammatizzano e insieme amplificano l’emotività dei protagonisti.
Foto: Netflix
Non è back to school a Nevermore se il primo giorno non si resuscita almeno uno zombie col cuore meccanico (courtesy of Pugsley): e allora, anno scolastico nuovo, nuovi demoni, misteri e terrificanti corvi stalker per Mercoledì. Oltre a una presa in carico sempre più consapevole dei suoi poteri psichici, che la mette in conflitto con la sua compagna di stanza, la lupa addomesticata Enid (Emma Myers), antitesi colorata e intrinsecamente teen della nostra nichilista preferita. Se la prima stagione ci aveva consegnato una Wednesday detective, qui il giallo si fa ancora più nero, come le sue stesse lacrime (e ci fermiamo qui). Ha persino inventato una nuova sindrome: FOBI, fear of being included, ovvero la paura di essere inclusi. LOL.
A mettere ordine nel caos (almeno in teoria) arriva un nuovo preside: Barry Dort, aka uno Steve Buscemi incendiario (di nuovo: letteralmente), che per lanciare il falò inaugurale la tocca pianissimo e cita «le parole del più grande outcast americano, Bruce Springsteen: non puoi accendere un fuoco senza una scintilla». E via di Dancing in the Dark. Musicalmente infatti, la serie resta attentissima al mood. Ci sono i soliti richiami dark wave, qualche perla punk, Dean Martin e una promessa per la seconda parte della stagione: l’arrivo di Lady Gaga nei panni di Rosaline Rotwood, leggendaria insegnante di Nevermore. Non si è ancora vista in scena, ma il marketing ha già dato ai fan pane per i loro denti: un nuovo pezzo e le voci insistenti su un videoclip diretto da Tim Burton all’Isola delle Bambole messicana. Se Bloody Mary aveva acceso il culto, Dead Dance promette il rito. Restiamo in religiosa attesa.
Fred-Armisen (Fester) in ‘Mercoledi 2’. Foto: Netflix
Nel frattempo, Mercoledì se la deve vedere con mammà Morticia (magnifica Catherine Zeta-Jones, rispetto al Gomez di Luis Guzmán, che convince meno), tra frizioni generazionali e segreti di famiglia. Mentre Fester (azzeccatissimo Fred Armisen) aggiunge ironia straniante al dramma adolescenziale, perfettamente a suo agio tra crisi epilettiche a intermittenza e un’inquietudine da entomologo pazzo. I nuovi comprimari sono ben dosati: dalla ragazzina invisibile più creepy in circolazione (burtonianissima), al nerd licantropo, fino alla ragazza sirena in piena fase Euphoria. Ma è sempre lei a reggere l’universo narrativo: Jenna Ortega. Se Tim Burton è il poeta, lei è la sua (nuova) musa. L’unica, inimitabile goth girl della Gen Z. Quello che Winona Ryder è stata per la Gen X e i Millennial, Ortega lo è per i post-TikTok: un’icona involontaria, una presenza magnetica che riesce a far sembrare ogni battuta una sentenza scolpita nella pietra (tombale).
Mercoledì resta la serie della generazione del disincanto. La protagonista non cerca approvazione, non vuole like, non desidera essere capita. E proprio per questo diventa, ancora una volta, il simbolo di chi si sente fuori tempo e fuori posto. Come dice Morticia in uno dei momenti più riusciti della stagione: «Essere un emarginato non riguarda ciò che puoi fare. È uno stato mentale». Un mantra per tutti i freak, gli inadatti, i malinconici, i burtoniani di questo mondo.
