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Meno male che Omar Sy c’è, ma ‘Lupin’ ha ancora qualcosa da dire?

L'attore è sempre l'asso della manica della serie poliziesca francese targata Netflix. Che però avrebbe potuto osare di più con questa terza parte
Omar Sy in 'Lupin 3'

Foto: Emmanuel Guimier/Netflix

All’inizio della nuova stagione di Lupin (dal 5 ottobre su Netflix), un paio di reporter discutono sul modo migliore per coprire la “saga di Assane Diop”, il ladro dei ladri, che ormai è diventato una celebrità, un eroe di culto in Francia. Mentre i due ripercorrono la sua storia fino a quel momento – la serie ha debuttato nel 2021 ed è stata da subito popolarissima – uno di loro suggerisce che, dopo così tanti colpi di scena, “non c’è più niente da dire”.

Non vi sorprenderà affatto sapere che i giornalisti, in effetti, troveranno nuove cose da dire su Assane. Per gli sceneggiatori di Lupin invece il compito è decisamente più impegnativo. La serie rimane divertente, grazie al carisma di Omar Sy nei panni di Assane e all’ingegnosità di molte delle rapine. Come il secondo lotto di episodi, però, gran parte sembra la ripetizione dei cinque episodi iniziali, ma meno elettrizzante.

Ritroviamo il nostro che si nasconde dalla legge dopo che la sua identità è stata rivelata alla fine della scorsa stagione. Come sempre, c’è una buona dose di umorismo, voluto o meno (*), nell’idea di un uomo così bello e così alto, capace di muoversi inosservato, a volte con travestimenti minimi, a volte addirittura a viso scoperto. (In una scena, un impiegato di banca lo riconosce quando non è mascherato e lui finge di essere un sosia di Assane la cui vita viene costantemente sconvolta da persone che lo scambiano per un famigerato fuggitivo.)

Cerca di persuadere l’ex moglie Claire (Ludivine Sagnier) a prendere suo figlio Raoul (Etan Simon) e scappare con lui, ma lei è troppo frustrata dall’impatto che i suoi crimini ha avuto sulle loro vite. L’investigatore della polizia Youssef Guedira (Soufiane Guerrab) ormai è ossessionato dai libri su Arsenio Lupin che ispirano le rapine di Assane, ma i suoi colleghi sono diffidenti nei suoi confronti. E nei flashback vediamo come l’adolescente Assane (Mamadou Haidara) inizi a dedicarsi seriamente all’“arte del furto” dopo che suo padre è finito in prigione. E Assane viene ricattato da un misterioso avversario per rubare oggetti di inestimabile valore.

(*) A un certo punto, Assane sostiene che essere un uomo nero sulla quarantina lo rende effettivamente invisibile. Che siate d’accordo o meno con il quadro più ampio, la maggior parte degli uomini neri sulla quarantina non assomiglia a Omar Sy.

Il fatto che Assane non sia padrone del proprio destino è senza dubbio il cambiamento più grande rispetto alle stagioni precedenti. C’è un buon livello di tensione nel suo dover ballare al ritmo di qualcun altro. Allo stesso tempo, è lasciato a sé stesso sul progettare i furti di questi oggetti, con l’aiuto del fidato gadgetista Benjamin (Antoine Gouy). Lupin gode ancora una volta immensamente nel mostrare le rapine e solo dopo farci vedere davvero come il suo eroe sia riuscito a metterle a segno. Alcune sono più assurde di altre – in particolare un trucco in cui Assane dice alla polizia esattamente quando e dove colpirà la volta successiva – ma l’energia della storia e la presenza sullo schermo di Sy le fanno funzionare.

Il problema riguarda più il mondo intorno ad Assane. Claire, Raoul, i poliziotti e persino l’adolescente Assane erano tutti interessanti di per sé all’inizio della serie. In questa fase, però, le scene con un ensemble più ampio spesso sembrano tassative, sia per impostare i punti successivi della trama che – semplicemente – per evitare di lavorare troppo su Sy (*). C’è una sottotrama particolarmente buffa su Benjamin che trasforma Assane con un travestimento degno di Mission: Impossible, in modo che possa trascorrere del tempo con Claire e Raoul senza che loro sappiano chi è (**). È insieme un sollievo e una preoccupazione che ogni scena in cui non è presente Assane ci siano altri personaggi che parlano di lui, perché dimostra quanto sia importante e centrale, ma sottolinea anche che gli altri character non sono neanche lontanamente altrettanto interessanti.

(*) Nel gioco della critica tv lo chiamiamo “il problema di Dexter“, dalla serie che nelle sue prime stagioni era fantastica quando Michael C. Hall era sullo schermo e pessima ogni volta che l’attenzione si spostava su tutti gli altri colleghi della polizia di Miami, in modo che Hall potesse riprendere fiato.

(**) Questa parte fornisce un altro motivo per cui guardare la versione francese sottotitolata anziché quella doppiata. Il travestimento prevede pure un distorsore vocale elettronico (di nuovo thanks to Ethan Hunt e soci). Nella versione sottotitolata, Assane suona molto diverso nei panni di questo alter ego, mentre non c’è alcun cambiamento distinguibile nel doppiaggio.

La stagione si conclude con un scossone nello status quo ancora più significativo della rivelazione al mondo dell’identità segreta di Assane. Le stagioni successive potrebbero divertirsi con la nuova situazione in cui si trova l’eroe o potrebbero risolvere tutto velocemente per riportare le cose alla normalità. La buona notizia è che, finché ci sarà Sy, Lupin avrà un certo livello di qualità, anche se non sembra più così frizzante o convincente come qualche anno fa.

Da Rolling Stone US

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