Ma quanto è brava Julia Garner? | Rolling Stone Italia
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Ma quanto è brava Julia Garner?

L’ultima (ennesima) conferma è il gran finale di ‘Ozark’ su Netflix. Ma il suo curriculum (scarno, il che è segno d’intelligenza) prova che forse è davvero la migliore della sua generazione. Un ritratto (giustamente) di parte

Ma quanto è brava Julia Garner?

Julia Garner

Foto: Rich Polk/Getty Images for IMDb

Azzardo già la risposta: Julia Garner è la migliore attrice della sua generazione. Dove per sua generazione intendo i quasi-trentenni (cosa sono? Millennial? Generazione Z? Vabbè, chi se ne importa), un gran bel gruppo che annovera anche Zendaya, Saoirse Ronan, Kaitlyn Dever, Florence Pugh, Margaret Qualley, Chloë Grace Moretz, Elle Fanning. Tutte brave, per carità, nessuno lo mette in dubbio, però Julia Garner è decisamente diverse spanne sopra, nonostante una filmografia non eccessivamente nutrita (apro una parentesi: le filmografie che non è necessario scrollare per me di solito sono buon segno, dimostrano che i ruoli vengono scelti con parecchia cura), più focalizzata sulla serialità che sul cinema.

Garner è la Ruth Langmore di Ozark, uno dei personaggi più cazzuti della storia delle serie, in una serie che è una delle più belle produzioni targate Netflix. Creata da Bill Dubuque e Mark Williams e giunta alla sua quarta nonché ultima stagione (la prima parte, composta da sette episodi, è uscita lo scorso 21 gennaio; la seconda andrà in onda presumibilmente dopo l’estate e comunque entro il 2022), Ozark ha tanti, tantissimi pregi che val la pena elencare in ordine sparso.

Julia Garner nella stagione finale di ‘Ozark’. Foto: Steve Dietl/Netflix

L’intelligenza di capire quando è giusto farla finita: soffrirò parecchio, sì, ma allungare ulteriormente il brodo con altre stagioni sarebbe stato deleterio. L’avermi fatto capire cosa significa «lavare il denaro sporco»: non dico avessi pensato a storie di lavatrici e ammorbidenti, ma poco ci mancava. L’essere un thriller pazzesco, e dio solo sa quanto io ami i thriller pazzeschi. Un cast incredibile, sia per quanto riguarda i nomi già rodati (Jason Bateman, Laura Linney, Janet McTeer) che per le nuove leve (Charlie Tahan, Skylar Gaertner). E poi c’è lei, ultima ma non ultima, la “mia” Ruth Langmore: una bifolca del Midwest cresciuta in una roulotte insieme a degli avanzi di galera che sa di valere molto più dei reietti alcolizzati da cui è stata allevata e, appena intravvede l’opportunità di smarcarsi da quella vita merdosa, la coglie al volo.

Ambiziosa, pratica, assetata di soldi e potere ma furba abbastanza da non lasciarsene accecare, intelligente, smaliziata, impavida, crudele, sfacciata, fredda, calcolatrice, egoista: per Ruth imbracciare un fucile da caccia e piantarti una pallottola in testa è naturale come per me bere un Nescafé la mattina, e Julia Garner è di una bravura mostruosa nel darle un volto (e un corpo). Non ne sbaglia una, Julia, ebrea newyorchese colta e benestante, nell’impersonare questa irresistibile redneck: la voce e l’accento strascicato e aperto; i “fuck” che intervallano ogni frase; le posture; lo sguardo; l’andatura; la mimica facciale.

Garner, sebbene nella vita reale rappresenti l’opposto di quella white trash che ritrae, risulta talmente vera e credibile che, quando mi sono imbattuta nella sua prima campagna per Miu Miu, nel 2016, per poco non cascavo dalla sedia. Nella mia testa lei era Ruth Langmore, chi diavolo era quella ragazza sofisticata con la giacca di pelle marrone e la borsa rossa matelassé sottobraccio?

Julia Garner nella campagna Miu Miu 2016

In un’intervista del 2017, Garner racconta d’aver iniziato a prendere lezioni di recitazione a quindici anni per superare la timidezza (Ruth Langmore timida? Ma stiamo scherzando?): doveva essere proprio un’ottima allieva, perché oggi sulla mensola di casa sfoggia ben due Premi Emmy come miglior attrice non protagonista in una serie drammatica, oltre a svariate nomination ai Golden Globe, Screen Actors Guild Award e Critics’ Choice Award. In cinque anni, Ruth Langmore è passata dall’essere un personaggio secondario ad avere il medesimo peso di Marty Byrde (il personaggio di Bateman), e il merito va soprattutto all’interpretazione di Garner, che nel frattempo ha macinato ruoli e riconoscimenti.

Piccolo passo indietro: nel 2016 è in un episodio della quinta stagione di Girls (Lena Dunham avrà tanti difetti, ma in quanto a scoprire talenti come lei nessuno mai), dopodiché nel 2018 è apparsa in Maniac, la miniserie di Cary Fukunaga con Emma Stone e Jonah Hill, e in Dirty John, la serie antologica creata da Alexandra Cunningham (entrambe Netflix). Nel 2019 ha partecipato a Modern Love (Amazon Prime Video) nell’episodio diretto da Emmy Rossum, e lo stesso anno era anche in The Assistant, il film di Kitty Green realizzato sull’onda del MeToo e dello scandalo Weinstein (il più riuscito della lista, aggiungo), affiancata dallo splendido Matthew Macfadyen (il mitico Tom Wambsgans di Succession).

Julia Garner in ’The Assistant’ (2019). Foto: Bleecker Street

La sua straordinaria performance, giustamente elogiata da critica e pubblico, le è valsa una nomination agli Independent Spirit Award e l’attenzione di Shonda Rhimes, che l’ha scelta per il ruolo principale nella miniserie Inventing Anna, basata sulle vicende di Anna Delvey, la (finta) socialite che ha fregato il jet-set di New York e che arriverà su Netflix il prossimo 11 febbraio. Prossimo progetto in cantiere, Apartment 7A, thriller psicologico di Natalie Erika James prodotto da John Krasinski. E molti “madonnari” vorrebbero lei a interpretare la stessa Miss Ciccone nel futuro biopic diretto dalla stessa popstar: un azzardo? No, perché Julia può fare davvero tutto.

Sposata con Mark Foster, cantante dei Foster The People, Garner è attentissima a dosare le sue apparizioni pubbliche e la sua presenza sui social: su Instagram condivide poco, non è diarroica, rimane schiva come una diva d’altri tempi. O come Ruth Langmore. Un motivo in più (manco ce ne fosse stato bisogno) per amarla senza se e senza ma.

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